I. Il ruggito del coniglio

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La vibrazione insistente dello smartphone di Giuseppe fu in grado di attirare la sua attenzione nonostante l'inscalfibile concentrazione che riusciva a impiegare quando svolgeva il suo lavoro. Il telefono vibrò insistentemente e lui, prima di distogliere lo sguardo dalle centinaia di occhi dei suoi studenti che lo osservavano, esitò un istante, risoluto nella prosecuzione di quel delicato passaggio della lezione.

Era la segreteria della scuola che lo stava cercando.

Giuseppe e Sibilla avevano consegnato entrambe i recapiti telefonici per essere contattati dalla scuola di Isotta in caso di necessità – come praticamente tutti i genitori –, ma non erano mai stati chiamati, per quello ritrovarsi quella chiamata lo fece trasalire per un istante.

«Perdonatemi un momento, è... è urgente. Torno subito.»

I giovani in aula bisbigliarono tra loro e Giuseppe fece in fretta a sgattaiolare via dai loro sguardi incuriositi. Forse era insolito vedere l'ex Presidente del Consiglio e della Commissione europea tornare a insegnare e rispondere al telefono durante la lezione? Giuseppe non indugiò a lungo su elucubrazioni che, francamente, non gli interessavano, perché un filo di ansia s'insinuò tra le corde del cuore. Uscì nel corridoio e si avvicinò all'ampia finestra che dava sulla piazza principale del complesso della Sapienza di Roma. Il cielo era plumbeo, carico di nugoli bassi pronti a rovesciare secchiate d'acqua sulla Capitale.

«Pronto?»

«Buongiorno, parlo col Professor Avvocato Conte?»

«Sì, sono io. Con chi parlo?»

«Salve, sono la dottoressa Sabotino, la vicepreside dell'Istituto Visconti. La contatto perché sua figlia ha avuto un comportamento fortemente scorretto e avremmo tempestivamente bisogno della presenza di un genitore qui a scuola, dalla preside»

Isotta aveva avuto un comportamento scorretto a tal punto da finire dalla preside? Ma in quale mondo? O meglio, che cosa diavolo era successo? Il filo di ansia si fece spesso come una sorta di cappio e Giuseppe, in un primo momento, non fu in grado di rispondere.

«Professor Conte, abbiamo chiamato anche sua moglie, ma non è raggiungibile»

«No, no... lei... lei sta lavorando. Anche io sto lavorando, ma... arrivo tra poco. Datemi il tempo di sistemare gli studenti e arrivo, d'accordo?»

«D'accordo. A dopo, Professore.»

Doveva respirare; respirare a pieni polmoni e stare calmo, non c'era motivo di preoccuparsi, no? Forse era meglio mantenere la calma e cercare di non perdere la ragione. Non aveva mai trasecolato in vita sua in qualsiasi situazione più articolata o decisamente grave: aveva tenuto infuocati tavoli di confronto politici, aveva gestito per primo nel mondo occidentale una pandemia e si era seduto al tavolo della mediazione di diverse divergenze europee e internazionali. Aveva sempre mantenuto il suo solito temperamento solido, risoluto e flemmatico possibilista e mai bigio, ma quando si trattava di sua figlia... chiaramente non perdeva completamente il senno, ma qualche piccolo infarto riusciva a evitarlo giusto per miracolo.

Tornò in aula, dove i suoi studenti lo attendevano, chi sistemando già gli appunti e chi – letteralmente – cazzeggiando con i vicini di banco.

«Purtroppo oggi non potrò fermarmi per i soliti chiarimenti nel quarto d'ora accademico, mi dispiace. Domani mattina cercherò di recuperare le domande di tutti, d'accordo?»

Qualcuno annuì, i più disinvolti lo ringraziarono asserendo a voce anche per gli altri. Terminò quindi la sua lunga lezione, raccolse alcuni effetti personali e li sistemò frettolosamente nella ventiquattrore consunta: si allontanò di gran lena dall'aula e, nel frattempo, contattò un taxi che potesse portarlo direttamente a scuola da sua figlia, proprio accanto al Pantheon. Era una scuola statale, il veto sulle scuole private era stato alzato da Sibilla fin dal primo inserimento nel mondo scolastico di Isotta. Da quel punto di vista, era forse fin troppo manicheo e prevenuto l'atteggiamento di sua moglie nei confronti delle scuole private, ma dopo aver ascoltato le sue ragioni, Giuseppe convenne con lei la medesima scelta. Abbastanza frequentemente gli istituti a pagamento – in particolar modo quelli della Roma bene – diventavano coacervo di ragazzini e ragazzine di "buona famiglia", di gente senza un minimo di contatto con la realtà e che proiettava per osmosi ai figli la medesima risma cognitiva sprezzante. E la qualità dell'insegnamento era una chimera, altro che garanzia. In una scuola statale, Isotta, avrebbe sviluppato ugualmente il proprio pensiero critico, avrebbe imparato e studiato da insegnanti altrettanto affidabili e sarebbe stata a contatto con gente del mondo reale. Senza contare che a casa viveva in un ambiente culturalmente più che stimolante, e si notava. Isotta stava crescendo bene, senza particolari criticità comportamentali, infatti Giuseppe non si spiegava quella chiamata così improvvisa e inaspettata.

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora