1
Oh quante sono incantatrici, oh quanti
incantator tra noi, che non si sanno!
che con lor arti uomini e donne amanti
di sé, cangiando i visi lor, fatto hanno.
Non con spirti constretti tali incanti,
né con osservazion di stelle fanno;
ma con simulazion, menzogne e frodi
legano i cor d'indissolubil nodi.2
Chi l'annello d'Angelica, o piú tosto
chi avesse quel de la ragion, potria
veder a tutti il viso, che nascosto
da finzïone e d'arte non saria.
Tal ci par bello e buono, che, deposto
il liscio, brutto e rio forse parria.
Fu gran ventura quella di Ruggiero,
ch'ebbe l'annel che gli scoperse il vero.3
Ruggier (come io dicea) dissimulando,
su Rabican venne alla porta armato:
trovò le guardie sprovedute, e quando
giunse tra lor, non tenne il brando a lato.
Chi morto e chi a mal termine lasciando,
esce del ponte, e il rastrello ha spezzato:
prende al bosco la via; ma poco corre,
ch'ad un de' servi de la fata occorre.4
Il servo in pugno avea un augel grifagno
che volar con piacer facea ogni giorno,
ora a campagna, ora a un vicino stagno,
dove era sempre da far preda intorno:
avea da lato il can fido compagno:
cavalcava un ronzin non troppo adorno.
Ben pensò che Ruggier dovea fuggire,
quando lo vide in tal fretta venire.5
Se gli fe' incontra, e con sembiante altiero
gli domandò perché in tal fretta gisse.
Risponder non gli volse il buon Ruggiero:
perciò colui, piú certo che fuggisse,
di volerlo arrestar fece pensiero;
e distendendo il braccio manco, disse:
— Che dirai tu, se subito ti fermo?
se contra questo augel non avrai schermo? —6
Spinge l'augello: e quel batte sí l'ale,
che non l'avanza Rabican di corso.
Del palafreno il cacciator giú sale,
e tutto a un tempo gli ha levato il morso.
Quel par da l'arco uno aventato strale,
di calci formidabile e di morso;
e 'l servo dietro sí veloce viene,
che par ch'il vento, anzi che il fuoco il mene.7
Non vuol parere il can d'esser piú tardo,
ma segue Rabican con quella fretta
con che le lepri suol seguire il pardo.
Vergogna a Ruggier par, se non aspetta.
Voltasi a quel che vien sí a piè gagliardo;
né gli vede arme, fuor ch'una bacchetta,
quella con che ubidire al cane insegna:
Ruggier di trar la spada si disdegna.8
Quel se gli appressa, e forte lo percuote;
lo morde a un tempo il can nel piede manco.
Lo sfrenato destrier la groppa scuote
tre volte e piú, né falla il destro fianco.
Gira l'augello e gli fa mille ruote,
e con l'ugna sovente il ferisce anco:
sì il destrier collo strido impaurisce,
ch'alla mano e allo spron poco ubidisce.9
Ruggiero, al fin constretto, il ferro caccia;
e perché tal molestia se ne vada,
or gli animali, or quel villan minaccia
col taglio e con la punta de la spada.
Quella importuna turba piú l'impaccia:
presa ha chi qua chi lá tutta la strada.
Vede Ruggiero il disonore e il danno
che gli averrá, se piú tardar lo fanno.10
Sa ch'ogni poco piú ch'ivi rimane,
Alcina avrá col populo alle spalle:
di trombe, di tamburi e di campane
giá s'ode alto rumore in ogni valle.
Contra un servo senza arme e contra un cane
gli par ch'a usar la spada troppo falle:
meglio e piú breve è dunque che gli scopra
lo scudo che d'Atlante era stato opra.11
Levò il drappo vermiglio in che coperto
giá molti giorni lo scudo si tenne.
Fece l'effetto mille volte esperto
il lume, ove a ferir negli occhi venne:
resta dai sensi il cacciator deserto,
cade il cane e il ronzin, cadon le penne,
ch'in aria sostener l'augel non ponno.
Lieto Ruggier li lascia in preda al sonno.13
Alcina, ch'avea intanto avuto aviso
di Ruggier, che sforzato avea la porta,
e de la guardia buon numero ucciso,
fu, vinta dal dolor, per restar morta.
Squarciossi i panni e si percosse il viso,
e sciocca nominossi e malaccorta;
e fece dar all'arme immantinente,
e intorno a sé raccor tutta sua gente.
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Ludovico Ariosto - Orlando furioso
Historical FictionL'Orlando Furioso è un poema in ottave, che si inserisce nel filone cavalleresco, un genere molto popolare in Italia tra il Quattrocento e il Cinquecento. Ariosto vi lavorò dal 1505 al 1532, l'anno che precedette la morte del poeta. Le prime notizie...