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Or, se mi mostra la mia carta il vero,
non è lontano a discoprirsi il porto;
sì che nel lito i voti scioglier spero
a chi nel mar per tanta via m'ha scorto;
ove, o di non tornar col legno intero,
o d'errar sempre, ebbi già il viso smorto.
Ma mi par di veder, ma veggo certo,
veggo la terra, e veggo il lito aperto.2
Sento venir per allegrezza un tuono
che fremer l'aria e rimbombar fa l'onde:
odo di squille, odo di trombe un suono
che l'alto popular grido confonde.
Or comincio a discernere chi sono
questi che empion del porto ambe le sponde.
Par che tutti s'allegrino ch'io sia
venuto a fin di così lunga via.3
Oh di che belle e sagge donne veggio,
oh di che cavallieri il lito adorno!
Oh di ch'amici, a chi in eterno deggio
per la letizia c'han del mio ritorno!
Mamma e Ginevra e l'altre da Correggio
veggo del molo in su l'estremo corno:
Veronica da Gambera è con loro,
sì grata a Febo e al santo aonio coro.4
Veggo un'altra Genevra, pur uscita
del medesmo sangue, e Iulia seco;
veggo Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella rivulzia al sacro speco:
veggo te, Emilia Pia, te, Margherita,
ch'Angela Borgia e Graziosa hai teco.
Con Ricciarda da Este ecco le belle
Bianca e Diana, e l'altre lor sorelle.5
Ecco la bella, ma più saggia e onesta,
Barbara Turca, e la compagna è Laura:
non vede il sol di più bontà di questa
coppia da l'Indo all'estrema onda maura.
Ecco Genevra che la Malatesta
casa col suo valor sì ingemma e inaura,
che mai palagi imperiali o regi
non ebbon più onorati e degni fregi.6
S'a quella etade ella in Arimino era,
quando superbo de la Gallia doma
Cesar fu in dubbio, s'oltre alla riviera
dovea passando inimicarsi Roma;
crederò che piegata ogni bandiera,
e scarca di trofei la ricca soma,
tolto avria leggi e patti a voglia d'essa,
né forse mai la libertade oppressa.7
Del mio signor di Bozolo la moglie,
la madre, le sirocchie e le cugine,
e le Torelle con le Bentivoglie,
e le Visconte e le Palavigine;
ecco qui a quante oggi ne sono, toglie,
e a quante o greche o barbere o latine
ne furon mai, di quai la fama s'oda,
di grazia e di beltà la prima loda,8
Iulia Gonzaga, che dovunque il piede
volge, e dovunque i sereni occhi gira,
non pur ogn'altra di beltà le cede,
ma, come scesa dal ciel dea, l'ammira.
La cognata è con lei, che di sua fede
non mosse mai, perché l'avesse in ira
Fortuna che le fe' lungo contrasto.
Ecco Anna d'Aragon, luce del Vasto;9
Anna, bella, gentil, cortese e saggia,
di castità, di fede e d'amor tempio.
La sorella è con lei, ch'ove ne irraggia
l'alta beltà, ne pate ogn'altra scempio.
Ecco chi tolto ha da la scura spiaggia
di Stige, e fa con non più visto esempio,
mal grado de le Parche e de la Morte,
splender nel ciel l'invitto suo consorte.10
Le Ferrarese mie qui sono, e quelle
de la corte d'Urbino; e riconosco
quelle di Mantua, e quante donne belle
ha Lombardia, quante il paese tosco.
Il cavallier che tra lor viene, e ch'elle
onoran sì, s'io non ho l'occhio losco,
da la luce offuscato de' bei volti,
è 'l gran lume aretin, l'Unico Accolti.11
Benedetto, il nipote, ecco là veggio,
c'ha purpureo il capel, purpureo il manto,
col cardinal di Mantua e col Campeggio,
gloria e splendor del consistorio santo:
e ciascun d'essi noto (o ch'io vaneggio)
al viso e ai gesti rallegrarsi tanto
del mio ritorno, che non facil parmi
ch'io possa mai di tanto obligo trarmi.12
Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei,
e Paulo Pansa e 'l Dresino e Latino
Iuvenal parmi, e i Capilupi miei,
e 'l Sasso e 'l Molza e Florian Montino;
e quel che per guidarci ai rivi ascrei
mostra piano e più breve altro camino,
Iulio Camillo; e par ch'anco io ci scerna,
Marco Antonio Flaminio, il Sanga, il Berna.
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Ludovico Ariosto - Orlando furioso
Historical FictionL'Orlando Furioso è un poema in ottave, che si inserisce nel filone cavalleresco, un genere molto popolare in Italia tra il Quattrocento e il Cinquecento. Ariosto vi lavorò dal 1505 al 1532, l'anno che precedette la morte del poeta. Le prime notizie...