Capitolo 10

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Le lacrime mi rigavano ancora le guance. Quante volte avevo pianto da quando ero in quella casa?

Non credevo ancora a quello che era successo, ma sapevo di dover uscire da lì. Entrai nella stanza decisa, non volevo piangere mai più. Almeno in quella casa.

Ma fu difficile non farlo davanti ad una scena così terrificante. Una piccola Kelly di 8 anni che veniva picchiata e violentata sul suo lettino rosa, nella sua cameretta d'infanzia, dal suo patrigno ubriaco Kevin.

Rimasi pietrificata, rivivere quei momenti era inatteso, impreparato e mortificante. La piccola me si stava dimenando e cercando di sottrarsi a quelle mani sporche, a quel uomo sporco e privo di umanità.

Quando la porta si chiuse all'improvviso dietro di me, cosa che le porte erano solite fare in questa casa, il mio patrigno e violentatore si fermó e si giró a guardarmi.

"Guarda guarda chi si è unita alla festa, la cara Kelly" disse Kevin con un sorriso beffardo sul viso.

Era proprio come me lo ricordavo. Erano anni che non lo vedevo, da quando mia madre decise di cacciarlo di casa dopo aver saputo cosa mi faceva.

Mamma...

"Lasciami stare" lo ammonii, riferendomi sia alla me del presente sia a alla Kelly di 8 anni, che mi fissava con gli occhi imploranti e colmi di lacrime.

"E cosa mi fai se non lo faccio, mi fai vedere le tette? Ah a proposito, vedo che sono diventate belle grandi" affermó leccandosi le labbra e indicando la mia abbondante quarta di seno.

Rabbrividii, non avrei permesso a quel mostro di torturarmi e ferirmi ancora.

All'improvviso mi ricordai della mazza da baseball che da piccola tenevo sotto il letto. Mia madre me la diede dicendo di usarla se qualcuno voleva farmi del male. Come poteva immaginare che la persona che mi faceva più del male era quella a cui lei aveva infilato la fede al dito?

Incominciai a correre verso il letto, sperando che la mazza da baseball fosse lì. Con una scivolata riuscii ad afferrarla. I tagli che avevo sulla gambe mi bruciarono, ma non ci feci caso. Dovevo sistemare un vecchio affare.

Kevin era lì imbambolato a guardarmi, forse non si aspettava tutta questa agilità.

"Tu nasconditi" gridai alla piccola Kelly indicando il mio tavolino bianco al centro della stanza. Lei si fiondó sotto il tavolo e si coprì gli occhi con le manine.

"E tu" indicai Kevin "vai al diavolo".

Lo colpii forte, con tutta la forza che avevo e ripetutamente sulla testa, sulla schiena e sul suo pancione molliccio. Mi faceva schifo.

"Muori pezzo di merda" gridai.

Lanciai un occhiata alla piccola me e vidi che si copriva le orecchie. Mi ero dimenticata che a 8 anni il mio linguaggio era ancora puro e casto, a differenza del mio corpo a causa di quello stronzo che stavo massacrando.

Mentre lo stavo uccidendo a mazzate mi venne da ridere, una risata spontanea e allegra. Sapevo che quel uomo non mi avrebbe più ferito. Non ci avrebbe più ferito.

Guardai il corpo senza vita del grassone sul pavimento di legno chiaro. Non mi sentivo in colpa, non mi sentivo un mostro. Anzi, mi sentivo soddisfatta del mio lavoro. Buttai la mazza da baseball sporca di sangue per terra, ma la ripresi in mano subito quando notai una piccola telecamera appoggiata al cassettone vicino al letto.

Quindi il malato che mi teneva lì si divertiva a guardarmi soffrire eh?

Distrussi la telecamera con la mazza.

"Non mi dovevi toccare questo tasto" sussurrai più a me che a lui.

Mi ricordai solo allora che c'era ancora la piccola me sotto al tavolino, che mi guardava con riconoscenza.

Le tesi la mano.

"Forza, andiamo via da qui" le presi la manina e ci incamminammo verso la porta.

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