IV - Annabeth

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Dormii una notte senza sogni, e la mattina mi svegliai con il sorriso. Forse era la lezione di storia che mi emozionava, ma di solito non ero così agitata. Nel dormiveglia, non sapevo neanche che ore fossero. Come al solito feci una sosta in bagno, e successivamente presi le scale. Avevo una casa a due piani, ma questo inganna. Non siamo ricchi, i proprietari precedenti avevano già messo le scale per la soffitta. Quello che abbiamo fatto è stato semplicemente svuotare quella soffitta per farla diventare la mia stanza da letto, dotata di lucernario e bagno personali. Per il resto, era una casa piccola e accogliente.
-Buongiorno tesoro, che ci fai sveglia così presto?- mi salutò mio padre
-Buongiorno papà. Aspetta, non mi sono svegliata presto- controllai l'ora: le 7.30 -non mi ero accorta di essermi svegliata presto, in realtà-
Effettivamente, non mi ero resa conto di essermi svegliata così presto, come mai era successo?
Mentre mi facevo il caffè ragionai sulle cause del mio risveglio anticipato. Poteva essere per un'interrogazione che mi ero dimenticata. No, quel giorno eravamo liberi da prove scritte o orali, me le ricordo tutte. C'era anche la possibilità che fosse per colpa di qualcosa che mi era accaduto, ma cosa? Era stato l'incontro con Percy...? No, non poteva essere. Insomma, perché mai doveva essere così? L'avevo a malapena conosciuto! Poi mi resi conto di una cosa. Forse Percy non si era solo affezionato, forse... insomma, aveva reperito il mio numero da Talia, mi aveva chiamata e prima di questo mi aveva parlato senza alcuna ragione alla fermata dell'autobus. Un'idea si infiltrò nella mia testa, e mi rovesciai il caffè addosso. No, non era così. Ci eravamo appena conosciuti, sicuramente non era come la pensavo io. Eppure, non avevo rovesciato il caffè solo per lo stupore, ma anche per la felicità. Per quei secondi in cui ho pensato che fosse vero, ero contenta. Dopo aver sistemato il disastro salii le scale, mi lavai i denti e mi vestii. Solitamente non ci mettevo molto, ma i pensieri di quella mattina mi avevano rallentata. Continuavo a bloccarmi davanti allo specchio con una faccia corrucciata, e due minuti dopo mi accorgevo di essere bloccata in quella posizione senza un motivo apparente. Alla fine, alle 8.30 ero pronta per uscire. I miei fratellini e la mia matrigna si erano appena svegliati, così feci in tempo a salutarli.
-Ciao, ragazzi- diedi un bacio sulla fronte a entrambi -Non fate esplodere la scuola, eh- gli dissi, sorridendo. Loro si scambiarono un'occhiata e poi mi guardarono con aria maliziosa. Rinunciai a impedire i loro piani di distruzione del mondo, e sbuffai, ridendo.
-Ciao papà, ciao Helen, ci vediamo stasera!- dissi chiudendomi la porta alle spalle.
***
Nota per me: il giovedì gli autobus arrivano in ritardo. Era strano, non era mai successo.
Ero alla fermata del bus ad aspettare da circa venti minuti, mi stavo spazientendo. Finalmente lo intravidi in lontananza. Dietro di lui una figurina correva, cercando disperatamente di stargli dietro. Purtroppo per lui, però, il bus stava prendendo terreno, avvicinandosi pericolosamente alla fermata. Non potevo permettere che quel ragazzo perdesse l'autobus. Da lontano mi sembrava di conoscerlo.
-Aspetti a partire!- dissi al conducente, appena arrivò alla fermata. Lui mi guardò con un grugno di disapprovazione, ma non chiuse le porte. Finalmente quella figurina si delineò: un corpo atletico, capelli scuri tutti spettinati e occhi verde mare. Era carino. Molto carino. Mentre si avvicinava a me, però lo riconobbi, e arrossii per il pensiero precedente.
-Percy, non ti aspettavo- dissi, con un sorrisetto -Forza, andiamo a scuola, o mi farai arrivare in ritardo- scherzai. Percy mi scoccò un sorriso, ansante, e salimmo sull'autobus insieme.
-Posso partire adesso?- chiese l'autista, con voce stanca
-Sì, grazie- dissi io.
Parlando con Percy continuai a rimuginare sul mio pensiero riguardo il suo aspetto. La verità è che sentivo ancora la presenza di Luke vicina, non riuscivo a vedere Percy come un suo sostituto. Eppure, questo non voleva dire per forza una buona cosa. Alcune volte mi tormentavano gli incubi sull'incidente, e ovviamente il più frequente era il più terribile. Sognavo la strada in cui la mia vita si era spezzata in due; Luke che si alzava dalla posizione in cui era e camminava così, con gli arti in posizioni innaturali, verso di me. Mi accusava, urlando: "È tutta colpa tua, è colpa tua se ero ubriaco e ho fatto questo incidente, è colpa tua se sono morto!!" E piano piano tutti si univano a lui: i poliziotti, i medici, la madre di Luke con le lacrime agli occhi e il trucco sbavato. Tutti venivano verso di me, come per catturarmi e farmi soffrire per quello che avevo fatto, ma io mi svegliavo sempre prima che mi raggiungessero. E ogni volta, mi risvegliavo urlando tra le braccia di mio padre.

Sabbia tra le dita Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora