𝑪𝒉𝒂𝒑𝒕𝒆𝒓 𝒕𝒘𝒆𝒏𝒕𝒚-𝒔𝒆𝒗𝒆𝒏

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«Allora Giappone, dove sei stato oggi?» chiese America, cercando di sciogliere un po' la tensione che si era andata a creare nell'aria.
Giappone alzò lo sguardo dal suo piatto e rispose.
«Da una persona, avevo un conto in sospeso.»
«Detto così sembra tu l'abbia uccisa quella persona.» ci scherzó su America. Giappone non rispose e li voltò verso Germania.
«Germania, hai dato la mia lettera a Italia?» chiese Giappone e Germania annuí, per poi non dire più nulla per tutto il resto della serata, lasciando spazio a un silenzio anormale, quasi triste.

[•••]

Germania dopo cena si rifugiò all'interno della sua stanza e digitó il numero dell'ospedale in cui Italia era ricoverato a tempo indeterminato.
«Pronto?» rispose una donna, molto probabilmente un'infermiera.
«Salve, vorrei parlare per qualche minuto con un paziente se possibile.» disse Germania e l'infermiera gli chiese alcuni dati per potergli fornire la risposta.
(A quanto avevano capito tra le tante regole che aveva quell'ospedale era che se avevi molti problemi nel tuo percorso e una cattiva condotta, non ti lasciavano usare il telefono. Italia non poteva rientrare tra le persone che lo meritavano, ma neanche tra quelle che non lo meritavano poiché era arrivato da pochi giorni.)
«Certo, ora glielo passo.» disse l'infermiera. Un minuto dopo passò il telefono a Italia.
«Ciao.» disse Italia e Germania instintivamente sorrise.
«Come stai?» chiese sdraiandosi sul letto e mettendo il vivavoce.
«Me la cavo, tu?» chiese Italia e Germania sospirò.
«Mi manchi.» disse e Italia sospirò.
«Anche tu.» sussurrò Italia.
«E gli altri?» chiese successivamente Italia.
«C'è solo ed unicamente silenzio.» disse e Italia si rattristò alla notizia.
«Puoi chiamare i miei fratelli? Voglio assicurarmi che vada tutto bene, almeno fra noi tre.» chiese e Germania annuí, andando in salotto a chiamare i fratelli di Italia, ovvero Portogallo e Spagna.

«Ciao Italia. Come stai?»disse Spagna, mentre Portogallo rimase in silenzio.
«Me la cavo, voi?» chiese e Spagna non seppe cosa rispondergli. Lui e Portogallo non parlavano da qualche giorno, a casa regnava il silenzio e soprattutto nessuno osava tirare fuori l'argomento Italia.
«Anche noi ce la caviamo.» rispose Portogallo, notando la scena muta del fratello accanto a lui.
«Ho saputo che in casa c'è poca vita, come mai?» chiese Italia e Portogallo sospirò, stanco per tutta quella situazione. Desiderava ardentemente che tutto si sistemasse durante la notte, così che tutto tornasse alla normalità.
«Per via della tua assenza.» rispose Spagna e Italia sospirò.
«Se tutto va bene, tra due anni sarò di nuovo lì. Voi nel frattempo cercate di rendere la casa un posto accogliente, e soprattutto non bisticciate. Francia mi ha raccontato cos'è successo.» disse Italia.
«Francia è venuto a trovarti?» chiese Portogallo.
«Sí, mi ha chiesto scusa.» rispose Italia.
«E tu?» fece un'altra domanda Portogallo.
«L'ho perdonato.»
«Perché? Ti ha reso l'infanzia uno schifo.» protestò Portogallo.
«Non l'ho fatto per lui, ma per me. Se voglio uscire di qui tra due anni, devo lasciarmi alle spalle tutto questo malessere.» disse e caló un silenzio strano. Era la prima volta che Italia prendeva una decisione per se stesso e per nessun altro. La prima volta che parlava con loro apertamente del suo stato mentale. Voleva andare avanti e stare meglio. Prima era bloccato in mezzo alla nube, ma ha trovato una torcia che lo stava aiutando ad uscirne.
«Il dottore mi ha detto che è stato Romania a far notare i miei vecchi casi di tentato suicidio all'ospedale e convincerli a farmi ricoverare a tempo indeterminato.» disse Italia, interrompendo quel lungo silenzio.
«È stato Romania?» chiese incredulo Spagna. Sapeva che suo fratello Romania era uno stronzo, ma non pensava si sarebbe spinto a tanto.
«Come ha potuto quello stronzo?» chiese Portogallo pieno di rabbia.
«Va bene così. Ho bisogno di un aiuto per eliminare certe cose dalla mia mente.» li rassicurò Italia.
«A te va bene così? Non provi neanche un po' di rabbia?!» esclamò Portogallo quasi fuori di se.
«Ero arrabbiato. Quando l'ho scoperto ho avuto una crisi. Ma ora, pensandoci a mente lucida lo dovrei solamente ringraziare.» disse Italia sorridendo.
«Domani vi va di venire a farmi un po' di compagnia nel pomeriggio?» chiese Italia e Spagna annuí.
«Mi manchi.» disse frettolosamente Portogallo, per poi uscire dalla stanza. Spagna ridacchiò e Italia ampliò il suo sorriso. Amava la timidezza di Portogallo nel dire questo tipo di cose.
Spagna e Italia continuarono a parlare per dieci minuti, dopodiché tornò Germania nella stanza e la telefonata terminò.

"L'altro ieri Germania mi aveva dato la lettera di Giappone, devo ancora leggerla" pensò Italia.
La prese e cominciò a leggerla a mente:

"Caro Italia,
Ti scrivo perché non riuscirei mai a dirti questo tipo di cose a voce (proprio per questo sono uno scrittore, è la mia unica dote naturale).
In tutti questi anni quando ero solo (quindi quasi sempre la sera) mi venivi tu in mente, pensavo a cosa stessi facendo, dove fossi e se ti ricordassi di me. Quando Germania ti aveva ritrovato e aveva capito che avessi bisogno di aiuto, mi sono sentito un po' in colpa. So perfettamente che non sono io quello che ti ha ridotto così, ma se magari in quelle sere in cui ti pensavo avessi provato a cercarti? Magari non saresti a questo punto. Ovviamente so che non dovrei darmi colpe, ma a quanto pare il cervello umano delle persone empatiche funziona così, sai di non avere colpe eppure ti dai colpe. Sai perfettamente di non averle, eppure ti convinci senza volerlo del contrario. "E se non avessi fatto questo?", "O se avessi fatto questo?", "Perché non ho dato il 100% di me per impedirlo?" quando magari non potevi neanche essere a conoscenza di ciò che accadeva alla persona amata. Se non vivessi questa cosa in prima persona, troverei la cosa molto esilarante e senza senso.
Il punto del discorso non era che ti ho pensato in questi anni ma bensì che io ci sono. Lo so, lo so. Dire "Io ci sono" è ovvio, banale, ma è la verità. Io ci sono e ci sarò finché non morirò per cause naturali (o per via di un assassino, chissà).
Ti voglio bene, ricordatelo sempre.

Giappone"

Italia sorrise e ripiegò la lettera, felice di sapere che Giappone gli voleva bene.

[•••]

«Italia, il dottore Svizzera è pronto a riceverti!» lo avvertí l'infermiera. Italia la ringraziò e andò verso l'ufficio del dottore.
«Buongiorno Italia, oggi come stai?» chiese il dottore Svizzera e Italia disse che stava meglio di ieri. Il dottore sorrise perché capí che questa volta non gli aveva mentito.
«Dottore, ho deciso che dopo i miei diciotto anni uscirò di qui.» disse Italia, sicuro di se. Il dottor Svizzera inarcò un sopracciglio, incuriosito da quel cambiamento improvviso e drastico del suo comportamento e della sua improvvisa determinazione.
«Come mai?»
«Perchè ho deciso che d'ora in poi lavorerò per poter stare meglio e pensare al futuro, con le persone che amo.» disse e iniziarono la loro vera e propria seduta, dove Italia gli parlò apertamente dei suoi tentati suicidi. Cosa lo aveva portato a farlo, cosa pensava, ogni cosa, ogni minimo dettaglio.

«Italia, sono soddisfatto di questa seduta. Hai parlato molto e hai deciso di collaborare. Spero continuerai così fino alla fine.» disse il dottore Svizzera e Italia annuí. Uscí dall'ufficio e ritornò nella sua stanza.
Quando entrò però vi trovò Australia, svenuto per terra. Vicino al suo corpo c'erano dei pezzi di vetro e due pacchetti di pasticche.

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