Capitolo 8

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Un paio di ore dopo il dolore al ginocchio era quasi del tutto passato. Ma in compenso mi ero presa una specie di raffreddore titanico. Ero riuscita a farmi una doccia veloce e ad infilarmi in un pigiama di pile, prima che la febbre salisse e mi rendesse impossibile muovermi dal letto. Nel lasciare casa di corsa non avevo pensato a portare con me una felpa o a guardare le previsioni meteo, e la pioggia e il clima quasi autunnale non mi avevano dato scampo. Soprattutto con il vento freddo che si era alzato.

Fosse stato per me avrei dormito fino al giorno seguente, ma il mio stomaco si lamentava come se non lo riempissi da ore. E così era in effetti.

Mi rigirai nel letto e tirai le coperte a coprirmi la testa, cercando di ignorare il brontolio, perché non c'era verso che mi alzassi per cucinare qualcosa.

Stavo per riaddormentarmi quando Posey, accanto a me, saltò su e corse via dalla camera. Due secondi dopo arrivò il suono del campanello.

Fantastico.

Mi alzai maledicendo me stessa e la stupida idea di andare a correre senza le dovute accortezze e arrancai fino alla porta. La aprii e... c'era Trent. I capelli scuri e corti bagnati, il giubbino di pelle che gocciolava. Immense buste della spesa al seguito.

«Ehi», lo salutai.

«Ciao. Ho pensato di venire a controllare come stavi», disse e lo vidi passare in rassegna il mio corpo ricoperto da strati di pile.

«Il ginocchio sta meglio. Cammino ancora come uno zombie ubriaco, ma sto bene. Però penso di essermi presa un raffreddore con i fiocchi», risposi. Trent non parlò. Aveva lo sguardo così preoccupato che mi chiesi come dovessi apparire dal di fuori. «Sto bene», dissi e la mia voce suonò nasale anche alle mie orecchie.

«Hai mangiato?»

«Stavo proprio per mettere su qualcosa», mentii.

«Bene. E fa' sì che sia sostanzioso.»

«Certo, capo. Ovvio.­»

Trent non riuscì a evitare un sorrisetto furbo di chi sapeva esattamente che lo stavi prendendo in giro, ma non obiettò. Mi lanciò un ultimo sguardo prima di indicare le scale. «Se hai bisogno di qualcosa sono di sopra.»

«Lo so. Non preoccuparti.» Mi appoggiai alla porta. Non ne potevo più di stare in piedi e non sapevo se fosse per i decimi di febbre o per il ginocchio. Sentivo dolore ovunque. «Mi metto a vedere un bel film e poi mi addormento.»

«E mangi qualcosa», continuò per me.

«Ah, certo», dissi monocorde.

Ancora quel sorrisetto. «Allora, vado.»

Annuii decisa e gli feci cenno di andare.

Poi successe una cosa strana.

Lo seguii con lo sguardo mentre saliva i primi scalini e il mio stomaco si lamentò ancora. Per tutt'altro motivo, stavolta.

Inizia una breve discussione con il mio io interiore in cui ci prendevamo a parolacce che sarebbe di cattivo gusto riportare. Alla fine vinse lui. O io. Non lo sapevo, ero confusa.

«Macaulay», lo richiamai, e non riconobbi neanche la mia voce.

«Elle?»

«È davvero un bel film quello che sto per vedere.»

«Davvero?»

«Davvero.»

«Com'è il titolo?»

«Ragazze a Beverly Hills», risposi con il primo film che mi passò per la testa.

«Sembra un film francese sul senso della vita...»

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