Capitolo 17

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Fu il mal di schiena a svegliarmi quella mattina. Il mal di schiena e la sensazione di essermi dimenticata qualcosa. Mugugnai qualche lamento mentre cercavo di stiracchiarmi nel piccolo spazio a mia disposizione. Mi ero di nuovo addormentata sul divano. Solo che questa volta non mi ricordavo se mi ero addormentata guardando un film o lo sport.

Aprii gli occhi e mi accorsi di essere avvolta nel mio plaid rosa shocking. Quando avevo preso il plaid rosa shocking?

E poi i ricordi della sera precedente mi investirono in pieno. Trent. Trent al bar, Trent sul tetto, Trent nell'attico e Trent sul mio divano. Lui che mi prende la mano e io che mi addormento, con la mano di Trent ancora arpionata alla mia. Ero vagamente consapevole che lo avevo tirato a me quando aveva detto che era ora di andarsene, e di avergli chiesto di passare la notte con me - niente di sconcio incluso, eh! E che allora Trent si era riseduto e, senza lasciarmi la mano, si era addormentato accanto a me.

Tutto bellissimo, ma adesso dov'era?

Mi alzai dal divano e cercai in cucina, e poi in camera mia e nel bagno e poi... poi il mio appartamento era finito. Pensai di raggiungerlo al piano di sopra, ma un altro particolare attirò la mia attenzione. O meglio, l'assenza di un particolare. Nessuno che mi faceva le feste, per esempio, o che abbaiava vicino la ciotola, o che se ne stava spaparanzato sul divano...

«Posey!» urlai, e ripresi a mettere a soqquadro il mio appartamento, ma Posey non c'era in cucina, non in bagno, né sotto il mio letto né nell'armadio.

Cazzo, cazzo, cazzo. Mi venne il dubbio di cercare nella mia cabina doccia, ma prima che potessi tornare in bagno suonò il campanello. Corsi all'entrata e lì accanto vidi che mancava il guinzaglio.

Aprii la porta e Trent mi sorrise subito. «Buongior...»

«Non è il momento! Vado di fretta.»

«Cos'è successo?» chiese, ancora sulla porta, il tono preoccupato.

«L'ho cercato ovunque e non c'è», risposi abbassandomi sotto al divano. Una parte di me era consapevole che quell'alano non sarebbe mai entrato lì sotto, ma... la prudenza non è mai troppa. «Si è stancato di me. Ha preso le sue cose ed è scappato di casa, ovvio!»

«Ho paura a chiedere a chi tu ti stia riferendo», alzò un braccio e l'appoggiò allo stipite della porta.

«Posey! Posey!» risposi concitata, già infilata nei mobili della cucina. «A proposito, non è che è passato da te?»

«Il tuo cane?»

«Posey.»

«L'alano arlecchino?»

«Lui.»

«Alto più o meno così?»

«Trent!»

Lui rise. «Potrebbe essere questo?» chiese e indicò quella montagna di peli che se ne stava seduto sulla soglia, accanto a lui.

«Posey!» mi fiondai su di lui avvolgendolo con le braccia. «Cucciolo!» dissi e riuscii a stento a trattenere le lacrime per il sollievo, quando mi leccò la faccia. «Allora non ti sei stancato di me! Pensavo avessi preso le tue cose e...» mi interruppi quando mi resi conto che non solo stavo parlando con il cane – cosa abbastanza normale per i miei standard -, ma che stavo intavolando con lui un'intera conversazione. Mi schiarii la voce e mi rialzai. «Be', insomma, è qui», conclusi.

Trent lottava, neanche troppo strenuamente, per trattenere una risata. Che infatti risuonò fragorosa appena ebbe chiuso la porta di casa alle sue spalle.

«Non c'è niente da ridere! Pensavo fosse scomparso.»

«No, tu pensavi che – cito testualmente – "si fosse stancato di te, avesse preso le sue cose e fosse scappato"», ripeté staccando il guinzaglio dal mio cucciolo.

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