Capitolo 19

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Anche se stentavo a crederci, ero sul letto di Trent. O meglio, eravamo sul letto di Trent, io e lui. E ogni tanto saltava da noi anche Posey. Non volevo stare da sola quella notte, non ne avevo più la forza, e semplicemente, dopo cena, ci eravamo diretti alla sua stanza e ci eravamo accoccolati.

E per "accoccolati" intendo che eravamo stesi, l'uno di fronte l'altra, con un buon mezzo metro a distanziarci, e le mani intrecciate. Era bello, profondo: mi piaceva.

«Ti sento vicino», sussurrai nella penombra della camera.

«Vuoi che mi sposti?»

Scossi il capo, muovendomi verso di lui, posai il viso sulla sua spalla e respirai il suo profumo intenso. Trent sapeva di buono, di buono e di tantissime cose che desideravo. «Non ancora. Penso che prolungare l'esposizione gradualmente possa migliorare la situazione.»

Trent ridacchiò, una risata secca e mascolina. «Mi sento radioattivo.»

«È quello che sto cercando di togliermi dal cervello, se collaborassi...» scherzai, perché in realtà non lo sentivo radioattivo neanche un po', ma avevo bisogno di un pizzico di leggerezza al momento.

Le confessioni di quella sera avevano cambiato qualcosa tra di noi. Era un po' come quando mi aveva detto di suo padre. Quel momento aveva segnato il passaggio dalla zona conoscenza-barra-amicizia a "costruiamo qualcosa", solo che non me n'ero accorta subito.

Ora lo sapevo. E stavo costruendo anche io, aggiungevo mattoni all'opera che creavamo ogni giorno. Solo che il mio mattone doveva essere più grande del suo, perché aveva cambiato la stabilità della struttura, e ora dovevamo trovare un nuovo equilibrio.

Trent mi posò una mano sul fianco e prese ad accarezzarmi la schiena, dal basso verso l'alto e viceversa, con calma e lentezza. «Scusami», disse, ma non sembrava per niente dispiaciuto. «Due minuti e mi stacco.»

Per tutta risposta posai la testa sul suo petto, lui mi strinse a sé in un abbraccio tenero, lasciandomi qualche bacio tra i capelli. «Va bene», dissi. «Comunque avevo dei sospetti, ma ora posso constatarlo con certezza.»

«Cosa?»

«Come materasso faresti carriera», scherzai e azzardai una mano sul suo petto e poi sul suo addome teso, duro. Lo accarezzai anch'io, traendo forza da quella vicinanza inaspettata ed ipnotizzante.

«Grazie, lo metterò sul curriculum.»

«Sì, dovresti.» Strofinai la testa sul suo petto e vi affondai il viso. Inspirai di nuovo, come una drogata in sindrome d'astinenza. «Alto due metri, addominali d'acciaio, cuscino comodo. Sei perfetto, Trent.»

«Sai, devo ancora abituarmi ai complimenti.»

«La prossima volta che vedi Ryan, diglielo, che te li faccio. Mi ha trattata da pazza per tutto il tempo. A quanto pare le persone credono che io ti maltratti.»

«Un po' lo fai. Ma la cosa aggiunge pepe», scherzò e prese ad avvolgersi una ciocca dei miei capelli tra le dita, seguendo l'onda naturale. «E la prossima volta glielo dirò.»

Sentii un brivido percorrermi la schiena. La prossima volta. Sì, l'avevo detto io per prima, ma sulla sua bocca quella promessa aveva un altro peso. «Grazie.»

«Ne abbiamo già parlato, non devi ringraziarmi.»

«Non devo ringraziarti mai?» lo punzecchiai, perché la sua teoria sull'argomento mi scocciava.

«Okay», concesse, con un sorrisetto a distendergli la bocca. «Ma non per queste cose.»

«Ah, no? E per che cosa dovrei ringraziarti?»

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