Capitolo 23

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«Mi dispiace.»

Mi voltai nel letto, verso di lui. Se ne stava supino, a fissare il soffitto con una mano dietro la testa e una sull'addome. Si sarebbe potuto dire che fosse rilassato, ma leggevo la tensione in ogni suo muscolo. Aveva assunto una posizione di solito comoda, ma non riusciva a trarvi beneficio. «Per cosa?» chiesi.

«Per non avertelo detto», non rivolse ancora lo sguardo a me. Un muscolo gli guizzò sulla mascella. «Di mia madre.»

Appoggiai il volto sul suo petto e lo strinsi tra le mie braccia. «Non dovevi dirmi niente che non ti andasse.»

«È questo il punto», posò il mento sulla mia testa e una mano si insinuò tra i miei capelli. «Non sai quante volte avrei voluto dirtelo. Ogni volta che tu mi hai detto qualcosa di tuo. Ogni volta che ci avvicinavamo. Ogni volta che avevo una brutta giornata o avevo bisogno di un consiglio... non potevo chiedertelo, senza sentirmi un bugiardo.»

«Non sei un bugiardo.»

Non mi ascoltò. «Mi è pesato sul cuore per tutto questo tempo. Scusami.»

Mi sollevai e gli puntai un dito sul petto. «Se io non posso dire grazie, tu non puoi chiedere scusa.»

«Che coppia di maleducati», commentò.

Che aveva detto? Era quello che eravamo? Una coppia? 

Non mi pareva il momento di pensarci.

«Tua madre, Dalia, da quanto tempo è...»

«Un vegetale?» chiese, la sua voce intrisa di amarezza.

«Trent», lo richiamai. Lo costrinsi a rivolgermi la sua attenzione, bloccandogli il viso tra le mani. «Parlami.»

Si liberò dalla mia presa, ma poi si mise a sedere di fronte a me e finalmente mi guardò per più di due secondi. «La malattia di mio padre ha avuto un decorso veloce», cominciò. Prese a giocherellare con le mie dita, racchiuse tra le sue grandi mani, e poi sciolse il peso che si portava dentro. «E pieno di alti e bassi. La diagnosi era cancro alle ossa, condrosarcoma. Forse sarebbe ancora qui, se l'avessimo capito in tempo. Ma era un uomo così testardo... mi ricordi un po' lui anche tu», disse. Poi riprese. «Qualcosa non andava da qualche tempo ormai. Io e mia madre gli avevamo detto che doveva vedere un dottore, ma una cosa tira l'altra... e lo sai com'è. "Questa settimana non posso, la prossima sono impegnato, ma chi ha tempo per quello?"» tirò su col naso, poi prese un lungo respiro prima di continuare.

«Quando alla fine si è fatto visitare, la situazione era insostenibile e il... cancro era già abbastanza esteso, e si potevano fare solo dei tentativi di cura. Li abbiamo fatti tutti. In un primo momento hanno funzionato bene, era forte d'altronde, non c'era motivo di credere altrimenti. I primi mesi, sono trascorsi tra momenti buoni e momenti cattivi. Gli ultimi erano solo momenti cattivi. Quando se n'è andato aveva appena compiuto cinquantun anni.»

Intrecciai le dita alle sue, attonita, mentre le lacrime tentavano prepotenti di sgorgare dai miei occhi. Ma non potevo lasciare che fuggissero. Quando si sta vicino a qualcuno che soffre, che soffre come Trent in quel momento, si deve essere forti per loro. Non avevo il diritto di lasciare andare le lacrime, ero l'ultima persona al mondo ad avercelo.

«Era un uomo così dinamico. E tutt'a un tratto non riusciva neanche ad alzarsi dal letto, a fare due passi... a fare la doccia da solo», asciugai le sue lacrime con le mani e tacqui ancora per lui. «Io e mia madre ci occupavamo di tutto. Anche lei ce l'ha fatta in un primo momento. Ha retto bene. Ma quando la situazione ha iniziato a peggiorare... ha cominciato ad andare in cura. Le hanno prescritto degli psicofarmaci. E ora l'hai vista. Ho provato a parlare con il suo medico e mi ha detto che prenderli è l'unico modo per evitare che impazzisca dal dolore. Per me è già impazzita.»

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