Capitolo 10

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«Ho bisogno del tuo cellulare.»

Due giorni. Due giorni erano passati da quando avevo spiegato tutto a Trent e da quando ero uscita dalla sua cucina con una mezza convinzione che lui facesse sul serio. Solo che da allora non l'avevo più visto o sentito. Fino a questo momento almeno, quando aveva bussato alla mia porta alle sette di lunedì sera con la sua faccia da schiaffi in bella mostra.

«Buonasera, Trent Macaulay. Cosa posso fare per te?» domandai con un pizzico di sarcasmo.

Lui mi scoccò un sorrisino furbo. «Il tuo cellulare, Elle Clarke. E prima che tu me lo chieda, l'ho letto sul campanello», disse indicando l'oggetto incriminato. «Quando ti ho portato la pizza quel sabato.»

Incrociai le braccia al petto e sospirai. «Non ti darò il mio telefono.»

«È per una cosa importante», incrociò anche lui le braccia, imitandomi.

«E cioè?»

«Hai bisogno del mio numero», lo disse come se fosse un dato di fatto.

«Quando?»

Alzò gli occhi al cielo. «In generale, ne hai bisogno.»

Questo qui stava impazzendo, era palese. O forse aveva bisogno di un breve riassunto delle puntate precedenti. «Trent, sono passati due giorni dall'ultima volta che ci siamo visti. Ti ricordi, vero, di sabato mattina, quando mi hai convinto che fosse una buona idea raccontati tutti gli affaracci miei e che potevamo affrontare tutte le difficoltà insieme? Non che mi aspettassi un anello dopo sabato, però neanche che mi ignorassi per due giorni interi. E adesso piombi in casa mia e pretendi il mio numero senza neanche salutarmi?»

«Non ti ho chiesto il numero. Ti sto dando il mio», fece per entrare in casa, ma glielo impedii.

«Perché dovrebbe servirmi il tuo numero?»

«Non è evidente?»

«Non per me.»

«Perché ci stiamo frequentando.»

«E da quando?»

«Da quando ti ho detto che avrei fatto di tutto per convincerti, sabato mattina», rispose ovvio. Sul serio non si rendeva conto che con quel discorso aveva complicato tutto piuttosto che sistemare le cose, visto che si era dato per disperso un attimo dopo?

Okay, non è che volessi fare la fidanzatina morbosa - perché prima di tutto non eravamo fidanzati e in secondo luogo non era da me la morbosità - ma quando uno ti dice che farà di tutto per aiutarti in una battaglia personale... diciamo che un pensierino ce lo metti. Avevo immaginato che venisse a cercarmi entro domenica, sarei anche andata a bussare alla sua porta, ma la sua auto non era giù al palazzo. Né la mattina né la sera. Oggi avevo accuratamente evitato di controllare se fosse al suo posto ed ero filata dritta all'università. Ho una dignità anch'io.

«Ah, allora ti ricordi di quello che hai detto e fatto sabato mattina... prima di scomparire per due giorni e per poi entrarmi in casa. Senza. Neanche. Salutarmi», ribadii il concetto, così, per sicurezza.

«Ciao, Elle. Come hai passato la domenica? Fatto qualcosa di interessante?», si appoggiò allo stipite della porta e mi scoccò un sorrisetto impertinente. Fin troppo impertinente.

«Hai finito?»

«Non ero qui. Sono tornato a casa di mia madre sabato sera per sbrigare alcune faccende di famiglia e sono rimasto fino a stamattina. Ho dovuto accompagnare mia sorella a scuola e parlare con i suoi professori. Sono preoccupati per il suo rendimento e mia madre non può incontrarli. È stata una cosa improvvisata. Mi sono accorto di non avere il tuo numero quando ero già lì. Non ho proprio pensato che potessi non averlo, perché mi sembrava assurdo che fossimo ancora a quel punto, visto che ormai ti avevo detto che volevo averti tutta per me.»

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