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Qualche mese dopo...

Il nostro legame è più affiatato che mai, siamo letteralmente inseparabili.

Abbiamo passato tutta l'estate insieme, ma purtroppo mi accorgo con il passare del tempo che non sto totalmente guarendo dalla mia malattia.

Sto bene, sono spensierata, e Ashley e Melissa mi trattano come se fossi su un piedistallo data la mia situazione.

Mi chiedono continuamento come sto, se necessito di qualcosa, o se sento di poter ricadere di nuovo in quel tunnel nero come la pece.
Appena chiedo il loro aiuto corrono in mio soccorso, tralasciando tutto il resto che hanno da fare, solamente per me, e lo apprezzo così tanto che a volte mi sento in colpa.
Ho caricato un peso talmente grande sulle loro spalle, che non so se riuscirò mai a sdebitarmi.

Eppure a volte, quando mi ritrovo di nuovo sola nel mio rifugio, ho continuamente voglia di riprendere in mano quella lametta. Ormai sono svariati giorni che non la tocco nemmeno e pensavo di essere quasi riuscita a disintossicarmi, ma c'è continuamente questa fottuta voglia di liberarmi, e di risentire quel dolore sulle mie braccia.

Continuano a scorrere i giorni come se avessero fretta, e a lungo andare mi ritrovo oggi, a non farcela più. Devo tagliarmi ancora.

Mi siedo sul letto, incrocio le gambe e sospiro. Apro lentamente il cassetto come se il rumore mi inquietasse e alzo con cautela i libri che sovrastano la lametta, e una volta presa tra le mie mani, rimango a guardarmela per circa dieci minuti buoni.
Non voglio farlo, sto guarendo, e so per certo che se ricominciassi sarebbe peggio, ma non ce la faccio, la mia mente mi spinge a farlo dicendomi che ne ho un estremo bisogno. Continuo a guardarla e subito dopo sposto la visuale sul mio braccio: è pieno di cicatrici che non se ne andranno mai. Il dolore che ho provato nella mia vita, e che in seguito ho scelto di esternare, sarà per tutta la mia vita lì, sulle mie braccia a guardarmi, e a ricordarmi che cosa ho passato, e a cosa probabilmente, un giorno dirò di aver superato.

I minuti scorrono rapidamente e sono ancora qui a guardarmi la lametta. Non ho la forza di metterla via, non ci riesco, tutto questo è più potente di me; i miei occhi verdi come lo smeraldo cominciano a inondarsi di lacrime e me ne cade una sulle cicatrici. Corrugo il viso intento ad esplodere in un forte pianto silenzioso, e faccio il primo taglio; indirizzo il mio viso verso l'alto e chiudo gli occhi, mentre percepisco completamente la lametta scavare nella mia pelle ormai distrutta. Respiro profondamente, quasi come un sospiro di sollievo. Sono a casa. Quella lametta e quella sensazione sono la mia casa.

[...]

Con mio grande piacere la scuola è ricominciata da qualche giorno, e mi sento uno straccio.
Non ho minimamente voglia di andare a scuola e ho paura che Ashley e Melissa scoprino della mia ricaduta nell'autolesionismo.
Ho fatto finta di niente durante i primi giorni, cercando di essere perennemente di buon umore e senza apparire pensierosa, ma ormai quelle due mi conoscono troppo bene, e hanno già capito che in fondo c'è qualcosa che non va.

Durante la lezione di storia dell'arte comincio a fare strani pensieri sulla lametta che aspetta il mio ritorno a casa e mi manca il respiro, devo uscire da quest'aula. Mi dirigo in bagno e chiudo la porta appoggiandomi al muro, e osservo il vuoto verso l'alto, come se chiedessi un aiuto da chi, forse c'è o forse no. Non so cosa fare, sono totalmente deconcentrata e voglio solo starmene a casa, a parlare tra me e me.
Improvvisamente la porta del bagno si apre di botto facendomi sobbalzare dallo spavento, e vedo entrare Ashley e Melissa.

«Dakota stai bene?» mi chiede Melissa guardandomi spaventata.
Ho gli occhi lucidi e tremo, ho paura.
Provo davvero troppo timore per dir loro che ci sono ricaduta, dopo tutto quello che stanno facendo per me.

Mi giro lentamente verso di loro cercando di non cadere a terra e le uniche parole che mi escono dalla bocca sono «Mi dispiace davvero...».
Sento che comincia a girarmi la testa, sento le orecchie ovattarsi e la vista oscurarsi e poco dopo, cado a terra.

-

Cosa diamine è successo?
Tengo ancora gli occhi chiusi e sento che il mio corpo è sdraiato su un materasso alquanto scomodo.
Cerco lentamente di aprire gli occhi ma li richiudo immediatamente quando delle luci molto forti quasi mi accecano.
Con un po' di difficoltà, riesco ad aprire totalmente gli occhi e vengo sopraffatta dal colore bianco.
Pareti bianche, lenzuola bianche, armadietto bianco...
Ragionando per qualche secondo, riconosco di trovarmi in ospedale.

«Come ti senti?" mi chiede una voce che non riesco a riconoscere.

Ruoto con calma la testa da una parte all'altra della stanza per capire chi fosse quella voce maschile e adulta che sta parlando con me.
È un uomo circa sui trenta, taglio militare color castano e occhi ambrati.

Continua a guardarmi in attesa di una mia risposta, gli dico di sentirmi discretamente bene.

«Hai avuto un mancamento mentre eri a scuola, te lo ricordi?» mi chiede in seguito.

Certo che me lo ricordo, cavolo, ho sbattuto così forte la testa che credevo di rimanerci.

«Ricordo ben poco dottore ma sì, sicuramente non ricordo come sono arrivata fin qui» rispondo seccata guardandomi ancora intorno.

Vedo fuori la vetrata della stanza le mie amiche, mi stanno guardando e cercano di scrutarmi per capire come stessi.

«È stato comunque un calo di pressione, ti abbiamo rimesso in sesto e tra poco potrai uscire.»

Il dottore esce dalla stanza dopo aver fatto un breve controllo e dà alle mie amiche il permesso di entrare, e così avanzano.

Una volta entrate chiudono la porta e si avvicinano a me, sono certa che stanno per dirmi qualcosa, e ho l'impressione di sapere cosa stanno per dirmi...

«Li abbiamo visti. I tagli dico, li abbiamo visti» comincia Melissa.
Mi sento nuovamente mancare per la preoccupazione di ciò che vogliono dirmi, e prendo a sudare freddo.

«Perché non ci hai detto niente? Sai che devi chiamarci se ti senti giù, noi siamo qui per te» conclude Ashley.

«Ragazze mi dispiace veramente tanto ma, non saprei nemmeno spiegarlo. So solo che devo farlo, ne ho bisogno e non riesco a smettere.»

Sono preoccupata di sapere quello che stanno pensando e ciò che avrebbero detto, ma è la verità. Io mi sento così. Non riesco a smettere.

C'è qualcosa nella mia testa che mi spinge a farlo ancora, come fosse una droga.

La possibilità di guarire dalla mia malattia stava già svanendo, non ho abbastanza forza per dire basta, mi sento così stupida.

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