Io, Maera Durante, coi piedi a terra e un fiore tra le mani.
Mi appresto a finire di registrare le memorie della nostra crocifissione proprio qui, di fronte alla lapide di un'innocente strappata all'infanzia.
Vi è stato detto "Irina Azarova", vero? Rettifica: lei era Irina Schneider.
Ray Bodeman è accanto a me, ascolta la voce della sua coscienza che finisce di immortalare in questa registrazione audio l'epilogo delle nostre sorti, sboccate in una rabbia senza fondo e senza coperchio.
Abbiamo contro le teste a capo delle maggiori multinazionali al mondo. Continueranno a far sparire i nostri legali finché io e Ray ci atterremo al contratto iniziale, le cui clausole di follia non erano mai state specificate, in verità.
Intrattenimento, pubblicità, fondi. Servivamo a questo.
Nestlé e Monsanto, due piovre succhiatrici del ventre della Terra, dei suoli e delle acque, del creato strappato a Madre Natura. Vogliono me e Ray per la spedizione di sopravvivenza in Amazzonia, ma io auguro all'umanità di non trovare più neanche una singola, misera falda d'acqua potabile. Non se lo merita. Perché noi siamo il cancro di questo pianeta interrotto, grigio e spento nel profondo; noi umani siamo il feto che ha distrutto il ventre intorno, la nostra Terra.
Irina Schneider era colpevole di far parte di questa razza senza scrupoli, colpevole di avere un padre profondamente radicato al folle concetto di superiorità razziale: la neonata eugenetica, e non accettava una figlia marchiata dallo stigma dell'epilessia e della relazione extraconiugale. No, Irina era troppo scomoda per un infame neonazista circondatosi di cose perfette, facciate da preservare, e Irina era la crepa nel suo palazzo di cristallo.
Il valore delle nostre vite? Nessuno, non è detto che ogni cosa debba necessariamente avere un senso. Noi siamo stati numeri, pedine di una scacchiera in cui gli ultimi cavalli difendono i re di un'arena derelitta, arida: la nostra Terra.
I Social Networks, i videogames e l'esponenziale crescita economica ci hanno privato della nostra umanità, di ogni sensibilità alla violenza e alla sofferenza. La morte è spettacolo, la sofferenza è spettacolo. Questo è quanto.
Ognuno è vittima e carnefice del sistema, ma io e Ray non ne faremo più parte.
Scappare? Farsi una vita su un'isola deserta e bere acqua di cocco tutta la vita? I veri mostri sono quelli che hai dentro, non puoi liberartene, e non è solo una frase fatta. Non saremo mai in grado di eradicare gli orrori subiti, le trame intessute alle nostre spalle, la vergogna! La vergogna di essere stati carne da macello per cannibali. Vergogna dell'aver inconsapevolmente intrattenuto miliardi di spettatori avvezzi alla violenza. Alla ricerca di qualcosa di nuovo, dopo aver sperimentato di tutto ed essere regrediti alla preistoria: è successo proprio questo, all'umanità.
La storia si ripete, vanificando ogni progresso di civiltà in una sola nave infestata da microfoni, microspie, microcam e "difetti" di fabbrica ben pensati e collaudati.
La Salvari, comunque, ha rollato ma non è affondata. È stata rimorchiata, ormeggiata a Montecarlo e consacrata a museo. Lei, il nostro teatro di scempio, provvederà a fare ancora soldi sulle nostre pelli.
Innumerevoli amanti del "true crime" si scattano simpatiche foto sotto l'albero maestro dov'è stato trovato Leif, con tanto di grottesco plastico in cera a dichiarare la morte della religione, dell'etica e dell'umanità stessa.
Il disgraziato era perito nel tentativo di fuggire con una scialuppa, dalla Salvari? No, dalla sua ex-compagna, Ana Gavan. Era stata lei a trovarlo, a sgozzarlo come un capretto e a decidersi, giorni dopo, a sistemarlo attaccato al palo: un monito che Ulrika Bachmann non aveva colto.
A cosa è servito? A niente, dato che il comandante della Salvari si è poi suicidata nella cabina, morendo mischiata allo stesso sangue della sua storica rivale in amore.
Devo dire che la Salvari ha il suo fascino; un tempio sconsacrato popolato dai miei compagni di equipaggio che, lo sento, sono ancora lì a infestare quella dimensione d'ingiustizia cosmica.
Mamma, papà, questa registrazione deve pur finire.
Penso di aver lasciato intendere abbastanza, sulla nostra decisione di toglierci la vita. Io e Ray non saremo parte di tutto questo, non vivremo un secondo di più in questa onta esistenziale, in questo dolore senza senso e senza cura. Il suicidio è l'unico atto di libertà che il sistema ci concede, l'unico sentiero lastricato di debolezza, sì, ma è pur sempre una reale presa di posizione contro il peso di questa esistenza.
Dichiaro di voler essere cremata, e che le mie ceneri siano sparse ai piedi di uno splendido albero sempreverde. Voglio che sia la terra a nutrirsi di me e rendermi ancora parte del creato, in una forma o nell'altra.
In ultimo, consiglio ai visitatori della Salvari di recarsi nella famosa "cabina Bachmann" dove, prima di togliere il disturbo, Ana e i suoi demoni hanno lasciato una scritta scarlatta sulla parete in fondo, appena sotto all'oblò:
" Liberaci dal mare "

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Liberaci dal mare
Gizem / GerilimSette uomini, sette donne, una nave e il baratro sulla follia. Imbarcati in un viaggio apparentemente senza fine, isolati e in rotta per l'ignoto... Maera Durante è una biologa cinica e adultera. Il suo unico obiettivo è lo stipendio a fine missione...