Prologo

799 65 67
                                    




Dicembre 2049



Quell'acqua liscia come l'olio, non l'avrei mai più vista così.

Sul ponte me ne stavo attonita, spettatrice di una surreale condizione in cui il confine tra solido e liquido sembrava essersi estinto; paesaggio a cui gli occhi faticavano ad adattarsi.

Bianco, vedevo solo bianco, mentre con un ridicolo binocolo tra le mani cercavo di assolvere all'inutile compito di cogliere eventuali speroni di roccia.

Quell'evanescente chiarore ambientale ci aveva inghiottiti dalla poppa alla prua e così ripensavo al mio nome, nell'irrazionale timore che anch'esso potesse fondersi alla nebbia, e perdersi per non tornare.

Non saprei dire perché i miei scelsero di chiamarmi Maera. Uno storpio anagramma italiano, il mio, assonante all'elemento che da lì a poco sarebbe divenuto il mio incubo peggiore: il mare.

Inspirai quel freddo e lattiginoso vapore acqueo iodato, continuando a guardare fisso nel nulla mi sentii in attesa, nell'anticamera dell'oltretomba.

Ero diventata biologa a venticinque anni, e sette anni dopo ero stata scelta per questa missione.

Io e altri tredici tra uomini e donne avevamo arrancato attraverso decine di test attitudinali tarati in base al sesso, all'età e al curriculum vitae. Passate le selezioni, avremmo dovuto navigare due mesi come da contratto, per poi attraccare al "porto sicuro".

Tragitto? Top secret. Destinazione? Top secret, ma tremila euro al mese non erano da buttare e bastavano per offrire la gola al guinzaglio.

Quindi eravamo lì, a guardarci in faccia in mezzo al niente.

In un viaggio surrealista, come in un sogno che feci tanti anni prima: inconsapevole di aver predetto chi, fra noi, sarebbe rimasto intero. 

Liberaci dal mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora