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Erano passati ormai svariati minuti da quando Chan l'aveva spinto in una stanza, chiudendolo a chiave. «Non fiatare, non aprire a nessuno che non sia io» gli aveva ordinato da dietro la porta nero pece.
«Dato che ti fidi di me potrai riconoscermi» lo derise, Minho però non rispose. Quelle parole lo irritavano, ma non riteneva opportuno perdere la calma in quella strana situazione. Chan sbuffò «Questa porta si può aprire anche dall'interno con una sequenza, te la comunicherò in codice» rise debolmente per aver ceduto alla proposta del ragazzo. «Mentre sarò via divertiti a cercare dove va inserito.» Furono le ultime parole che sentì prima che Chan corresse via e degli spari prendessero il posto dei suoi passi.
Rimase congelato sul posto, terrorizzato dal suono che per troppi anni aveva aleggiato nella sua mente, come un incubo che torna a presentarsi ogni notte. Si accovacciò il più lontano possibile dalla porta, strinse le gambe al petto in cerca di quel conforto che niente e nessuno era mai stato in grado di trasmettergli.
Non si accorse che gli spari erano cessati, finché non udì delle mani sbattere contro le porte del corridoio. Chan sapeva in quale stanza si trovasse, questa persona non poteva essere lui. Si mise una mano sulla bocca per evitare che il suo respiro lo tradisse, fece scorrere lo sguardo lungo le pareti. La stanza era spoglia, nessuna finestra, una debole luce bluastra ad illuminare la porta nera.
Mentre veniva trascinato lungo il corridoio aveva notato che le stanze sembravano avere tutte la luce spenta, quella persona l'avrebbe sicuramente notato. Si alzò cercando affannosamente un interruttore, le mani si avvicinavano.
Quando finalmente lo trovò dovette aspettare che il suono provenisse dalla fila di porte sull'altro lato del corridoio, solo così aveva la certezza che l'ignoto gli desse le spalle e, così facendo, non avrebbe notato la luce spegnersi da sotto la porta.

Le mani batterono contro la sua porta, si impose di restare immobile, silenzioso, doveva scomparire. «Esci fuori» ordinò una voce maschile aspra, «Chan mi ha mandato a prenderti.» concluse con un tono meno rigido. Voleva convincere Minho a uscire, voleva che andasse con lui, chissà dove, chissà da chi. Minho avrebbe potuto fidarsi, d'altronde costui aveva nominato Chan e qualcosa di lui trasmetteva un'innata fiducia in Minho. Ma l'ignoto lo spaventava, fidarsi di troppe persone era pericoloso e lo sapeva bene.
Non si scompose.
Quello che supponeva fosse un uomo passò oltre, continuando a cercare di stanarlo o aprire le porte. Quando fu abbastanza distante Minho si mosse, cercando qualche meccanismo dove inserire il codice che avrebbe ricevuto a breve. Sentì qualcun altro arrivare da dove Chan era uscito e quell'uomo era giunto. Sperò che fosse e non fosse Chan. Voleva uscire da lì, ma se fosse uscito in quel momento l'uomo avrebbe potuto trovarlo e poi sarebbe successo "lui non voleva per nulla sapere cosa".
Purtroppo o per fortuna i passi corrispondevano a quelli del ragazzo, si fermò a una decina di metri dalla stanza in cui aveva chiuso Minho. Aveva notato la figura dell'uomo, ormai alla fine del corridoio, sapeva chi fosse, sapeva quanto era pericolosa la situazione e sperava che Minho riuscisse a sentire i suoi passi. Tentò di comunicargli il piano azzardato appena pensato. Minho capì che provava a comunicare, ma non riusciva a sentire il messaggio completo, le mani, che non avevano smesso di battere, lo confondevano.
Chan ripeté il messaggio più volte mentre si avvicinava, a questo punto Minho avrebbe sicuramente capito il piano.
Era il momento di metterlo in atto.

«Scusi!» urlò Chan per attirare l'attenzione, «É autorizzato ad accedere a questo settore?» gli rise in faccia per provocarlo.
«Attento a come parli, sei solo un ragazzino.» digrignò i denti l'interpellato.
Chan fece volteggiare una medaglietta di metallo tra le dita «Ha ragione, sono un ragazzino» iniziò con voce di scherno «e sono a capo della squadra speciale.» terminò con tono tagliente, afferrando la medaglietta.
L'uomo lo sorpassò urtandolo con la spalla, era nettamente più imponente rispetto a Chan, per questo perse l'equilibrio. Venne però afferrato per una bretella del giubbotto antiproiettile «Porta rispetto.» gli soffio dritto sul viso.
In risposta ebbe una risata e poi un gancio sullo zigomo. Vacillò un poco, perlopiù colto alla sprovvista. «Non hai forse osato» ma non terminò la frase perché un altro pugno gli colpì la mandibola, un successivo il naso, facendolo sanguinare. Chan guardò soddisfatto il denso rivolo rosso gocciolare al suolo, spinse l'uomo a terra e corse verso la fine del corridoio. Si fermò alla porta di Minho, strisciando e colpendo con l'unghia la porta gli comunicò una sequenza di numeri. Ebbe il tempo di ripetere il messaggio una seconda volta, prima che l'uomo si alzasse e provasse a colpirlo.
Raggiunse l'ultima porta, sperò che Minho avesse capito il messaggio e trovato dove inserirlo. Purtroppo Jyp cambiava giornalmente il codice e la posizione del lucchetto. Infatti aveva dovuto costringere un tirapiedi a dirglielo.

Minho aveva ricevuto il messaggio, continuava a ripeterlo sussurrando per non dimenticarlo. Rovistava tra gli scatoloni di armi e protezioni. Trovò una pistola abbastanza leggera da essere maneggiabile, decise che sarebbe stata utile in situazioni simili. Cercò un giubbotto anti proiettile e lo indossò, si allacciò una cintura in vita infilando la pistola nel fodero.
Sentì un botto provenire da fuori, seguito da un mugolio di dolore. Riconobbe la voce di Chan, stava prendendo tempo e per questo veniva ferito. Doveva sbrigarsi, doveva trovare in fretta quel dannato lucchetto.

Sbuffò, era introvabile, nulla in quella stanza aveva le sembianze di un meccanismo per aprire la porta.
Perse la pazienza. In uno scatolone aveva intravisto un esplosivo al plastico. Lo incastrò nello stipite, vicino alla serratura, il detonatore non si trovava nella stessa scatola.

Continuò a cercarlo, recuperando armi utili, con il sottofondo dello scontro in corso nel corridoio. Si sarebbe sentito colpevole della sorte di Chan se non fosse riuscito ad uscire, permettendogli di scappare.
Il detonatore non si trovava in quel deposito, si concentrò a ideare un'alternativa. Riprendere a cercare quel dannato posto dove inserire il codice non lo prese nemmeno in considerazione, troppo tempo sprecato e lui l'aveva già finito da molto.
Qualcuno all'esterno sparò.
Minho imprecò ad alta voce, poco importava chi l'avesse sentito. Delle guardie stavano arrivando, senza dubbio non erano per dare supporto a lui.
La sua vita era dipendente dall'aprire quella porta. L'ansia ravvivò le immagini di morte nella sua mente, quella sofferenza, il fatto che lui stesso stava per sperimentarla, lo destabilizzarono.
Crollò a terra, urlando con le mani tra i capelli.
Poi tacque. Rialzò il capo, sbatté un paio di volte le palpebre. Prese dal fodero la pistola, ne osservò il carrello, fece scorrere un dito lungo l'impugnatura, fece dei cerchi sulla volata perdendosi nell'oscurità al suo interno. Caricò l'arma inconsapevolmente, la impugnò e premette il grilletto.
Nella stanza risuonò lo sparo, Chan venne percorso dalla paura e dallo sgomento.

Capitolo tre

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Hwang Hyunjin

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Hwang Hyunjin

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