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Una seconda esplosione seguì lo sparo.
Minho uscì dalla porta togliendosi la polvere dai vestiti, la pistola ancora carica per precauzione.
Chan gli corse in contro «Ottima soluzione alternativa.» lo derise, però era ben visibile un luccichio di approvazione nel suo sguardo.
«Corri!» lo prese per il gomito tirandolo verso la stanza da cui era appena uscito. «Che fai? Perché torniamo qui?» gli urlò Minho, per sovrastare gli spari.
«Scappiamo» disse con un tono di ovvietà in risposta. Sotto lo sguardo perso di Minho, Chan prese dagli scatoloni altre armi ed esplosivi. «Renditi utile e comprimi le spalle» gli lanciò una ricarica ed un'altra pistola «Non far avvicinare nessuno, ma cerca di non ucciderli.» gli ordinò inespressivo.
Minho si posizionò appena fuori dalla porta, raccolse tra i detriti dell'esplosione la porta scardinata, appoggiandola al muro per evitare di essere un facile bersaglio.
Chan posizionò gli esplosivi formando una cornice sul muro spoglio di fronte alla porta, l'intenzione era di aprire un varco nella parete per fuggire.
«Giù!» sparò ripetutamente agli esplosivi, poi si buttò a terra lui stesso riparandosi la testa. Minho urlò di spavento, gli spari cessarono per qualche secondo. Rialzatosi in fretta, Chan trascinò Minho dentro la stanza «Ora dobbiamo saltare» il suo tono non ammetteva repliche. Si trovavano sul bordo della spaccatura «Capisco che quelli li stiano per spararci, ma morire lanciandoci da un grattacielo non mi sembra un'idea molto ragionevole» ironizzò Minho, sperando che il piano in realtà consistesse in altro.
«Ti fidi ancora?» chiese Chan serio. «Sinceramente? Vorrei di no» quella risposta bastava, poiché Chan prese il ragazzo e saltò. Minho colto alla sprovvista urlò tutta l'adrenalina e la paura, che aveva in corpo, fuori dai polmoni. 

Delle voci ovattate lo svegliarono. Tenne gli occhi chiusi, troppo spossato per destarsi completamente.
«Sembra essersi già abituato.» Minho iniziò a distinguere le parole della conversazione. Socchiuse un occhio per capire chi avesse parlato, la pupilla era velata da uno strato opaco, gli era impossibile mettere a fuoco o distinguere le sagome. Provò ad alzare un braccio per passarsi la mano sul viso, non rispondeva ai comandi. Era in grado, unicamente, di battere le palpebre.
Le voci iniziarono a diventare più nitide, man mano che Minho prendeva coscienza di sé.
«Ora è meglio che vada,» parlò una voce a lui sconosciuta. «si è svegliato. Ci vediamo dall'altra parte.» dei passi leggeri indicarono l'allontanamento di colui che aveva appena parlato.
Chan si affacciò nella stanza, appoggiandosi con una spalla allo stipite.
«Ti sei preso un bello spavento.» lo schernì con tono, però, affettuoso, quasi dolce. Al che Minho restò stupito, non gli sembrava reale che fosse lo stesso ragazzo che l'aveva trascinato in quel luogo. Prima di poche, dure parole, ora di amichevoli.
«Ti stai già iniziando a fidare di me?» non perse l'occasione per farsi beffe di lui.
«Ragazzino attento a come ti rivolgi ad un tuo superiore.» continuò, Chan, la recita.
Entrambi risero, poi calò il silenzio nella piccola stanza. Chan fissava Minho, così non gli restò che guardare dove si trovava, per evitare lo sguardo indagatore fisso su di lui. Un lampadario, nessuna finestra, un semplice tavolino su cui erano appoggiate le cose che aveva recuperato e i suoi vestiti ben piegati, nient'altro.
Facendo leva con le braccia si mise seduto, appoggiò le mani sulla coperta lattea, erano ricoperte da lividi e graffi. Accarezzò i tagli, la mente persa in una nebbia di sonnolenza, non si accorse che Chan si era avvicinato. Lo spinse per farlo sdraiare nuovamente, Minho non oppose resistenza.
«Devi riposare, il tuo corpo non è abituato a simili sforzi.» disse Chan spegnendo la luce.
«Quanti anni hai?» fu poco più di un sussurro, ma Chan non aveva ancora lasciato la stanza, perciò lo sentì.
«Ventiquattro.» Minho rise lievemente, con il lenzuolo che gli copriva metà viso. Anche se stordito dalla stanchezza notò l'espressione confusa di Chan «Mi hai dato del ragazzino, ma abbiamo un solo anno di differenza.» Fu il turno di Chan di ridacchiare.
«Minho... sapessi cos'ho vissuto.» furono le ultime parole sussurrate mentre si chiudeva la porta alle spalle.

Minho fu svegliato, una seconda volta, da delle braccia che lo scuotevano. Spalancò gli occhi, con la paura ancora vivida impressa nei ricordi. Afferrò gli avambracci, stringendo la presa, a tal punto che le unghie lasciarono i segni nella carne. Il presunto aggressore gli lascio le spalle, per liberarsi dalla sua presa. La differenza di forza era incolmabile, Minho venne immobilizzato.
Il suo respiro era affannato, le pupille dilatate, stringeva la mandibola tanto da sentire digrignare i denti.
«Minho, respira.» era il messaggio che non riusciva a raggiungere il suo udito. Continuava a tremare nella presa salda, si sentiva in pericolo.
Un secondo paio di braccia giunse in soccorso della prima persona, che per quanto forte era in difficoltà data l'insistenza con cui Minho provava a liberarsi.
Una figura più minuta salì sul letto, bloccandogli le braccia lungo i fianchi. Sfruttò il suo stesso peso per immobilizzarlo, gli prese il viso tra le mani, costringendolo a concentrarsi sul suo viso. Appena l'immagine della persona superò il filtro di paura nella mente di Minho, egli si fermò all'istante sbarrando gli occhi.
«Rilassati, Chan è tuo alleato» parlò il ragazzo, senza togliere le mani dal suo viso. Fece cenno a Chan di lasciare la presa ed allontanarsi, così fece.
Accarezzò con movimenti circolari le guance pallide, il panico gli aveva assorbito la vita dal corpo. Lo sguardo era rilassato, di conseguenza anche Minho iniziò a far defluire il terrore, acquistando lentamente consapevolezza della situazione.
Il ragazzo spostò una mano a coprirgli gli occhi, scese cautamente dal letto rimanendo il più vicino possibile a Minho. Chan, che si trovava fuori dalla stanza, osservava silenzioso la successione di fatti, stupendosi della tranquillità insolita del ragazzo minuto.
«Sei familiare.» furono le prime parole, gracchianti, provenienti dalla gola irritata dalla rabbia, di Minho. Provò a scostare la mano del ragazzo, ma era ancora spossato dalla furia che aveva preso possesso del suo corpo.
«Ti ho portato io qui.» fu la risposta criptica che ricevette. Fece scorrere la mano via dagli occhi, lungo il viso. «Devi preparati, l'allenamento inizierà a breve.» mise entrambe le mani nelle tasche della felpa che indossava e fece per lasciare la stanza. «Dimmi il tuo nome.» Minho gli afferrò una manica, stringendo in tessuto tra le dita. Il ragazzo provò ad ignoralo, ma non riusciva a liberarsi.
Sbuffò contrariato, non era nei suoi piani uscire allo scoperto così in fretta. «Han.» ma Minho non sembrava soddisfatto, lo incitava con lo sguardo. «Han Jisung, ti appaga la risposta?» la reazione di Minho fu affermativa, lasciò andare la manica. Jisung fuggi rapidamente dalla stanza, urtando Chan. Gli sguardi impercettibili chi si scambiarono non lasciavano presagire un buon risvolto di ciò che sarebbe accaduto.
«Non stupirti del suo comportamento: ci vuole tempo perché si adatti alle persone, ma sembra che non sia più di tanto a disagio con te.» lo sguardo di Chan era comprensivo, allentò la morsa dell'imbarazzo in Minho.
«Cambiati e presentati alla sala appena fuori dal corridoio, fai in fretta.» si chiuse la porta alle spalle, lasciando Minho interdetto.
In pochi minuti si avventurò per la struttura in cui si era svegliato. Non voleva recarsi immediatamente dove gli era stato indicato, la curiosità era troppa. Iniziò ad ispezionare le stanze che si affacciavano sul corridoio buio, dava uno sguardo veloce a quelle aperte. Molte erano stanze simili a quella in cui si era svegliato, erano vuote e buie. Altre erano depositi di armi e viveri.
Troppo preso dal suo interesse non si accorse di una figura che, silenziosamente, si stava avvicinando.

Capitolo quattro

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