III -Spezzati-

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I gradini erano nuvole quel primo giorno di scuola, se ne rese conto una volta superata l'ultima rampa di scale. Izuku aveva camminato su sentieri di vita, non in lunghi corridoi per giungere all'aula della seconda ora. Si riesce a pensare a così tanto in pochi minuti, i secondi gli erano parsi anni, gli stessi che aveva ripercorso.
Era cresciuto velocemente, non sapeva se compiacersene o sentirsi mortificato. Aveva dato molto, preso molto, ma quella lontana mancanza restava al suo interno come un seme mai germogliato. Cosa non aveva fatto? Cosa non provato? I muri spogli dell'accademia gli si stringevano addosso in quei pochi metri che lo avrebbero condotto alla classe del professor Yamada. Il frastuono delle sue ore si poteva sentire per l'intero piano, nonostante la porta chiusa il pizzicare delle dita sulla sua vecchia chitarra doveva di sicuro star disturbando le altre lezioni, ma chi aveva la voglia di lamentarsi otteneva solo una scrollata di spalle ed un "Non sai vivere" da quei capelli a punta biondi.
Insegnava inglese ed era unico nel suo genere. Ogni sua ora iniziava con il solito tintinnio metallico della sua giacca in pelle borchiata e ornata di catene, il tonfo del suo amplificatore sulla cattedra e uno smagliante sorriso.
A dirla tutta era il più semplice insegnante dell'accademia, talmente semplice che per lui, dedicare una canzone ai suoi studenti, non era nulla di inusuale. Essere un ottimo conoscitore della lingua gli conferiva quell'aria da forestiero inimitabile per chiunque e dava un ottima dimostrazione di pronuncia. Quel chiasso non chiasso, musica di spirito, si espandeva gentilmente nell'aria odorosa di carta e pittura.
Izuku mosse gli ultimi passi, prima di posare le dita sulla maniglia, al ritmo di Under the bridge dei Red hot chili peppers. Era uno dei gruppi che il professor Yamada proponeva più spesso, era palesemente uno dei suoi preferiti e che meglio gli riusciva in performance.
Era una fortuna, si disse il riccio prestando orecchio alle prime strofe della canzone, che fosse arrivato in tempo per ascoltarlo.
Spalancò la porta e con un cigolio si intrufolò in aula, i fogli per l'iscrizione stretti in mano a mo' di giustifica per il ritardo. Lo sguardo del professore calò delicatamente su di lui e mostrò i denti fra barba e baffi ispidi e mal cresciuti. Che essere fuori dal comune, lui, che se ne stava seduto a gambe incrociate ad insegnare musica ove non ci sarebbe dovuta essere e salutava chiunque entrasse con un cenno, quasi ad invitare le persone a condividere con lui le note che suonava.
Izuku ne raccolse una manciata in un respiro e gli sorrise chinando il capo prima di prender posto alla terza gradinata di panche e ripiani. Non voleva disturbare in alcun modo, perciò tastò piano il pavimento in legno.
Guardatemi - sembrava dire - e ascoltatemi. Muoveva la testa, ciocche di capelli gli cadevano in fronte, aveva un'aria più scombinata del solito, un grumo di parole nei polmoni, fili di voce in gola, ogni strofa al suo posto. Ad ogni boccata d'aria che prendeva chiudeva gli occhi e allungava il collo mettendo in mostra il viso di un vagabondo, di chi non ha visto tutto, ma riesce a capire...capire tutto.
Sedendosi, Izuku vagò con lo sguardo. Erano i soliti, assonnati studenti che stavano assistendo al breve concerto. Qualcuno delle ultime file sbadigliava, ma nessuno osava distrarsi. Il professore riusciva davvero a portare un soffio di vitalità impossibile da non cogliere. Ogni espressione distesa e rilassata, ogni ticchettio di unghie e battito di suola che causava ne erano la prova. La loro era solo stanchezza estiva che si trascinava oltre la propria stagione e ritardava nel lasciarli. L'autunno non era riuscito a lavarla via con le prime piogge, ora pizzicava le spalle delle persone per spingerle a lasciarsi andare un'ultima volta.
<I don't ever wanna feel like I did that day. But take me to the place I love, take me all the way> la voce dell'uomo di mezz'età faceva eco, rimbalzava sulle pareti, cercava di risvegliare l'animo degli alunni e di prepararli al secondo anno. Chissà cosa l'aveva spinto a scegliere proprio quella canzone, nessuno poteva saperlo. La testa, sotto alla chiara massa scombinata, era un mistero per ogni persona lì presente e vi era il dubbio che persino il signor Yamada il più delle volte non pensasse, ma si facesse solo trasportare dalla corrente. Le parole, l'insegnamento, i sorrisi, viene tutto da sé, non è così che funziona? Non è così che gira il mondo?
Il riccio si domandò per parecchi minuti sul come potesse vivere al di fuori dell'accademia un uomo come lui. Era una costruzione di quel luogo, un'illusione fatta per farli vivere lungo le strade di Los Angeles in una fantasia distante chilometri da dove si trovavano. Da ogni ritornello traspariva il senso di un vissuto misterioso, che poteva esser vero abbastanza per far capire che l'estate avesse lasciato qualcosa non solo ai giovani, ma a chiunque si fosse gettato nel caldo umido di Ginevra alle porte di luglio. Stava dando un addio a ciò che era stato, ma non specificava nulla, le note erano solo confessioni sottointese. Quasi si percepiva l'asfalto secco e caldo, il sole di mezzogiorno, la schiera di case dai cortili curati, il letto grigio di cemento del fiume, lo sguardo lontano di Anthony Kiedis mentre pensava e vagava giù e su dai ponti della città riflettendo sul come sfuggire agli intoppi della vita.
Più avventura, più attenzione nelle proprie azioni...Izuku percepì un brivido gelido salirgli lungo la schiena, come ad annunciargli l'arrivo imminente dell'inverno e a farlo sentire più incerto sui propri passi di quanto fosse mai stato. La stagione invernale stava già avanzando e ramificandosi nelle vie, lo notava dalla brina nel parco nelle mattine più fredde, poco a poco ogni centimetro della sua grande culla sarebbe stata inghiottita da fiori di neve e dal fumo dei palazzi, unico baluardo difensivo contro le basse temperature. Pensò al suo appartamento. Una casa non casa, sempre nello stesso quartiere dove era cresciuto, alte pareti bianche, scarpe ammassate all'ingresso, un paio di vecchi anfibi gettati sull'usurato parquet scuro e lì, accanto alla porta, un termostato rotto. Si figurò l'immagine di un se stesso raggomitolato sul divano in mille coperte stretto ad una tazza di caffè, i calzini da casa consumati sulle punte delle dita ormai entrate in ibernazione. Doveva assolutamente far aggiustare il riscaldamento.
Uno sbuffo e la canzone era quasi finita, un'occhiata alla finestra e le ragnatele lo salutavano cavalcando la corrente che entrava dagli spifferi, una preoccupazione e tutto poteva crollare. Non sapeva cosa significasse un tale pensiero, ma desiderò fortemente che nulla sopraggiungesse a disturbare l'apparente equilibrio che aveva raggiunto. E riguardo alla sua incompletezza? Non era quello il momento per farsi domande, in fondo le sensazioni che si provano a metà strada fra il vecchio ed il nuovo, sotto la fascia dei trent'anni, sono spesso solamente macchie d'inchiostro sulla pelle. Sono marchi che vanno via con il passare della pioggia e se in autunno non ve ne era stata a sufficienza, Izuku sperava che un temporale arrivasse da lì a poco per confortarlo.
Ecco l'assolo di chitarra, ecco la cadenza che si poteva concedere solo il professor Yamada, ecco che l'inseguimento dei ricordi riprese colore fra le mani ruvide del ragazzo che si stringeva ciocche di ricci viridi e tratteneva con ogni forza che aveva le proprie gambe dall'alzarsi e portarlo via da quel posto.
Proprio sotto al soffitto bianco del corridoio appena percorso, oltre la porta appena aperta, sotto al ponte che credeva potesse tenerli legati, lui e Katsuki si erano dimenticati cosa volesse dire perdere e ottenere.
Sotto quel ponte Izuku si era dimenticato del proprio amore.
<Mi hai sentito?> la sua premura nel chiederlo non aveva portato alcuna nuova espressione sul volto del biondo. Come una presa in giro, l'acqua correva giù a non finire, correva giù dai palazzi ed era assurdo come a distanza di mesi Izuku desiderasse che la madesima doccia fredda lo trasmutasse in un nuovo giovane. Il tasto di reset non era facile da premere, si era rifiutato di farlo per settimane, non lo avrebbe toccato neanche quella mattina.
Il cigolio delle Oxford di Katsuki sulle piastrelle aveva risuonato nell'ambiente come un lamento, il riccio sentiva le prime scosse arrivare e far smuovere il suo animo. Polvere e fini granelli di pietra avevano iniziato a crollare al suo interno grazie al prolungato silenzio del suo interlocutore.
Le labbra sottili di Katsuki erano immobili, il rosato che le contraddistingueva era disteso e non pareva volersi schiarire alla pronuncia di una qualche risposta. Ombre e luci del temporale che bagnava l'edificio inondavano le pelli dei due ragazzi ed Izuku si sentiva zuppo di aspettative.
Katsuki aveva solamente puntato meglio i piedi per terra mentre lui si sentiva sollevare sempre più in alto dal battito d'ali che custodiva nel petto in un pulsare movimentato.
Infine lo vide infilarsi le mani in tasca, scuotere la testa e allontanare lo sguardo dal suo. Si perse sulla scacchiera che li separava e, risalite le gambe del riccio, tornò a fissarlo con maggiore espressività.
<Ti scongiuro, rispondi> aveva implorato ancora. Stava iniziando ad odiare la tortura dell'attesa, a desiderare di potersi avvicinare al suo compagno, amico, conoscente, Kacchan, e tirargli fuori a forza i pensieri che in quel momento stava custodendo con plateale avidità. Di nuovo, lo capì, si stava facendo beffa di lui.
Ma per quante maledizioni facesse confluire in gola, tutto ciò che fuoriusciva dalle sue labbra erano preghiere d'amore.
<Non è vero> la voce sembrò distante decine di metri, quando toccò le orecchie di Izuku il gusto acido della delusione iniziò a risalirgli in bocca.
<Tu non mi ami> se la prima affermazione poteva esser mal interpretata, la seconda, il fatidico chiarimento, lo lasciò in balia di una nausea assurda. Desiderare qualcosa di diverso per lui, volere che il suo coraggio fosse ricambiato, non erano speranze da cercare nei due tondi rossi che contemplava incredulo.
Con Katsuki non si poteva scherzare, era un concentrato di schiettezza e calore ustionante, che si fosse sentito preso in giro dalla sua affermazione? Ma Izuku non voleva giocare col fuoco, voleva afferrarlo e chiudere la mano tra le fiamme, scottarsi e restarvi dentro. Possibile che per il ragazzo che aveva davanti non fosse più di una comparsa nella sua vita? Si meritava tanta indifferenza dopo anni di conoscenza, mesi di tormenti e tentazioni?
Si domandava, giorno dopo giorno, cosa lo avesse portato a quel rifiuto che suonava più come un'accusa. Aveva i suoi motivi, Katsuki, per essere tanto diretto nel mortificarlo, eppure di malincuore Izuku non voleva soffrire. Lui desiderava vivere il momento, pentirsene subito e cambiare pelle dalla mattina alla sera per continuare a sprecare ore di vita ad inseguire la stabilità a cui anelava. Il complicato ragazzo a cui rivolgeva sentimenti contrastanti era diverso. Lui voleva vedere, ascoltare, toccare con chiarezza ed Izuku pensò di essere l'opposto dei suoi ideali. Chissà perché - si diceva con ironia - quel momento fu il più doloroso ed il più felice che avesse vissuto. Si era reso conto da subito, fissando l'andamento disinvolto con cui il biondo aveva girato i tacchi e lo aveva fatto vergognare del proprio ardimento, di quanto quel suo buttarsi senza riflettere lo avrebbe segnato. Rimase solo, coperto da riflessi d'acqua, a contemplare i rivoli che scendevano dai vetri. Assorto com'era, imbambolato e stordito, la lama della realtà si conficcò a fondo nel suo petto. La sua realtà, la sua speciale realtà, quella che conosceva, che esplorava, che amava, era finita. Era arrivato in terre inesplorate, il come era mistero per la sua mente, ma non per il corpo che ancora fremeva per andare avanti, affaticare i muscoli e asciugare lacrime che non riuscì a versare fin quando non raggiunse il bagno all'angolo, l'unico del piano. Era pur sempre un ragazzo, per lui il mondo era incompleto e senza riguardi per i sentimenti dei nuovi arrivati. Per lui che si affacciava alla finestra della crescita le proprie parole erano aspre se dette ad alta voce. Credo di amarti. Si sarebbe maledetto mille volte e altre mille volte avrebbe sospirato sollevato di aver deviato dal percorso che si era prefissato.
Appoggiato pesantemente alle mattonelle chiare vicino al lavandino sussultò quando il suono di una maniglia a scatto gli fece intuire di non esser solo ai servizi. Si nascose dietro alla propria massa di ricci e, chino sul lavabo, finse di starsi lavando le mani dopo la pausa bagno. Strofinava e strofinava, ma senza sapone e l'acqua era calda, fredda, non riusciva a regolarla. Lo studente al suo fianco fu molto veloce, efficiente rispetto a lui. Izuku lo invidiò tantissimo per la nonchalance con cui si sciacquò ed asciugò; sentire i suoi passi allontanarsi gli fecero pensare che per quello sconosciuto a cui non aveva rivolto un solo sguardo, ma di cui aveva ascoltato ogni gesto, l'agitazione non esistesse. Stava vivendo solo lui l'ansia, il nervosismo, la serietà del dedicarsi ad un pianto silenzioso, stava facendo incetta di ogni emozione dell'accademia e non voleva essere ingordo, ma le emozioni erano un piatto che aveva imparato a gustare con troppo piacere.
Era finito lì, a pochi mesi di distanza, nella stessa scuola, nello stesso piano, a gambe incrociate su una panca. Contemplava il disastro che lo aveva sconvolto, scomposto e ancora non ricostruito. Si era preso una parte di lui, sentiva che in fondo non l'avrebbe più recuperata e nell'ascoltare il professor Yamada finire gli ultimi accordi pensò che fosse così per chiunque. Le persone hanno il vizio di rubare anche ciò che si crede protetto; si è un territorio inviolabile, così si dice, eppure è fin troppo facile rovistare dentro agli umani.
Katsuki aveva sottratto ad Izuku l'opportunità di vedere ricambiato il suo primo ti amo, ma solo più avanti il riccio avrebbe capito che quel dialogo non era stato altro che un breve farneticare di illusioni giovanili. Il fatto è che ognuno vive a modo suo, ama a modo suo, scoprire il come viene col tempo e questo non è clemente per tutti. Lui divora ogni cosa, è un ingordo spettatore del mondo.
Izuku aveva cercato di imitarlo, aveva salito scale proibite e pensava di poter inghiottire quel che voleva, chi voleva, come voleva. Tuttavia aveva la brutta abitudine di lasciarsi trasportare dagli eventi e troppo spesso era stato afferrato da dita che fino all'ultimo lo facevano dubitare delle proprie azioni. Era sua intenzione essere consumato, consumare, usare ed essere usato? Ma di questo si dimenticava ogni volta e finiva continuamente a passare notti insonni, a svegliarsi in case buie che all'alba avrebbe lasciato, a farsi beffa di una vita che non poteva apprezzare. In un certo senso era il mondo a guidarlo nelle sue vie, a manovrarlo e come un burattino i suoi arti erano legno rigido nelle mani di sconosciuti.
Avrebbe continuato farsi scegliere o avrebbe scelto?
Quando mesi addietro si era posto la domanda, un nome era già affiorato fino alla sua gola e gli aveva stretto le corde vocali. Katsuki. Lo avrebbe preso, fra le mille cose che ancora non aveva avuto avrebbe scelto ciò che non poteva desiderare. Il perché di una tale follia è una storia di cui avrebbe preferito seppellire le parole. Forse l'inverno l'avrebbe aiutato a dormire, a non sognare, solo per dargli tregua, per dimenticare il come fosse finito a seguire i movimenti di un ragazzo dai fili dorati che più distante da lui non avrebbe potuto essere. Katsuki era fautore di menzogne, le stesse che il riccio si era raccontato per lunghe sere colme del vento primaverile. Queste gli avevano asciugato la lingua, seccato la gola e tolto la voce. Non era pronto a rivederlo, se ne rese conto e sospirò ringraziando che il suo persecutore non fosse presente.
Il professore farneticava di qualche regola grammaticale poco più in basso e ad Izuku sarebbe piaciuto riuscire a seguire una lezione senza saltare da un pensiero ad un altro, da una preoccupazione all'altra, ma evitare quei due tondi color del più caldo tramonto estivo era faticoso, tanto da causargli mal di testa.
Per la prima volta l'aula dell'accademia gli sembrava troppo grande, vuota a causa della mancanza del biondo, calma e terrorizzante. Persino i suoi amici, dalle file più in basso, erano lontani anni luce dal suo animo. Uraraka prendeva lunghe righe di appunti, si consultava con Iida, Todoroki se ne stava con le spalle dritte, gomiti piegati, mani strette a reggere il mento. I loro volti erano fantasmi, i loro gesti vaghi ed inconclusivi, non si erano girati una sola volta a chieder consiglio. Izuku li giustificava, era pur sempre il primo giorno, era sicuro che sarebbero venuti da lui l'indomani e che le conversazioni sarebbero riprese da argomenti scolastici e racconti delle vacanze. Lo aspettava un secondo giorno normale, monotono ed insoddisfacente, ma dopo tutto era questo che voleva, non era così?
Non aveva ancora finito di pensare agli eventi dell'anno precedente, forse più tardi, a fine giornata, si sarebbe seduto in balcone e avrebbe fatto la pazzia di concedersi alle proprie memorie. Lo avrebbero deturpato, violentato, mangiato vivo e ne era consapevole. Desiderava quel piacere che era anche dolore, ne aveva bisogno per capire il se stesso di allora, quello che era diventato e quello che sarebbe stato.
Ritornò al Natale del primo anno, alla terrazza di Veiryer, alle frasi di Katsuki perché tutto da allora aveva iniziato a girare attorno a quel rigido ragazzo. Divorzio. Una parola di divisione, per Izuku era qualcosa di famigliare, ma anche di ignoto. Suo padre era morto, non poteva dire di poter capire la situazione del suo vecchio amico, eppure gli piacque da subito il poter pensare che quei due loro vissuti li potessero avvicinare.
Il fatto che Mitsuki e Masaru litigassero non era cosa nuova, ma prima di allora i loro problemi si risolvevano da soli, con un buon bicchiere di vino ed una scrollata di spalle. Izuku non osò chiedere cosa li avesse portati ad una così drastica decisione, ma si ritrovò a riflettere sui suoi di genitori. Discutevano anche loro, magari con meno enfasi di quelli di Katsuki, ma lo facevano e pur non ricordando bene le parole che usavano sapeva che l'argomento della discussione era sempre lo stesso: i continui viaggi di Hisashi. Stava spesso fuori casa, sebbene alcune volte riuscisse a coinvolgere l'intera famiglia ciò ad un certo punto non bastò più ad Inko che voleva qualcosa di più stabile. Però i suoi erano rimasti insieme fino all'ultimo.
<Perché me lo dici?> la curiosità era troppo forte, aveva dovuto chiedere. Il biondo grattò la ringhiera e la neve sotto le sue mani si sciolse colando a terra.
<Dovevo dirlo a qualcuno> non aggiunse altro, eppure Izuku capì che Katsuki non avrebbe potuto parlare con nessun altro, non di una cosa del genere.
Il riccio aveva lasciato andare il colletto della sua felpa, aveva fatto un passo indietro, il disagio di un dialogo simile lo stava investendo. Da troppo tempo erano distanti, la speranza di riavere qualcosa del proprio passato era un'illusione a cui non sapeva se cedere o meno.
<Tu cosa farai?> la domanda fu diretta, prima che Izuku potesse rimangiarsela Katsuki si era già teso ed irrigidito. Scosse la testa, come a dire che la risposta non fosse pronta.
<Starò un po' con mia madre, poi si vedrà. Io potrei anche fregarmene, l'età per farlo l'ho superata da un po'. È naturale, credo, volersene andare e lasciare tutto in mano agli altri>.
Quello scambio di frasi gli era rimasto impresso, Izuku credeva di non aver alcun diritto di avanzare prestese, ma da allora aveva desiderato sempre più che Katsuki tornasse a parlargli. Nel marasma di avventure che quasi si constringeva a vivere era spuntato come un filo d'erba in una distesa di cemento. Dopo quel Natale era successo così tanto e così poco, era difficile riuscire a riordinare i ricordi, temeva che alcuni andassero persi. Com'è vedere la propria famiglia spezzarsi? Non lo sapeva, in fondo nemmeno il biondo poteva comprenderlo appieno. Aveva detto che gli sembrava di star perdendo ogni cosa, tuttavia in quel tono afflitto il riccio aveva colto un principio di confusione. Sentire il proprio mondo andare a rotoli era solo l'inizio e Katsuki pareva averlo intuito. Aveva paura di non riuscire più a parlare con la madre, con il padre come una volta, paura di mettersi in mezzo alle loro discussioni, paura di scontrarsi con due persone che in quel momento si rifiutava di riconoscere. Mitsuki e Masaru erano sì marito e moglie, ma da quando quello scorbutico bambino dai capelli ispidi era entrato nelle loro vite non erano più solo due coniugi. Katsuki si chiedeva se avessero considerato un aspetto tanto importante prima di chiamare gli avvocati. Izuku li sentiva, i pensieri del biondo, pur non decifrandoli appieno li leggeva. In parte Katsuki aveva ragione, loro due erano stati in grado di guardarsi negli occhi senza astio almeno per quella sera. Ragazzi senza famiglia, lo erano entrambi seppur in modo differente.
Dalla morte di Hisashi, Izuku non era più stato in grado di rivedere la Inko di un tempo e capì in pochi minuti che lo stesso sarebbe avvenuto per Katsuki. Ma dopo quelle brevi vacanze cosa avrebbe potuto fare? Quello era un istante di debolezza per due amici che piano avevano visto il proprio legame spezzarsi, non era permesso prolungare il sollievo che una sigaretta era stata in grado di concedergli.

Perdonate l'attesa, le vacanze sono state brevi, ma intense e ho notti intere di sonno da recuperare (─

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Perdonate l'attesa, le vacanze sono state brevi, ma intense e ho notti intere di sonno da recuperare (─.─||)
Non credo interessi, ma suppongo che ciò influenzerà gli intervalli fra un capitolo e l'altro, perciò vi comunico che mi sono iscritta all'università e a breve cambierò città. Invece di sentirmi agitata sono piuttosto calma, credo che cambiare aria mi farà bene e magari riuscirò ad avere più tempo per me stessa ed in particolare per scrivere.
Nuovo viaggio, nuova storia, wattpad è stato con me al liceo e così sarà per i prossimi anni immagino (ecco la solita storia: una volta entrati nel girone delle ff non se ne esce più).

Parlando della storia, vorrei sperare che gli avvenimenti siano chiari nonostante il passato ed il presente continuino ad intervallarsi, quasi a voler prevalere l'uno sull'altro. Ciò è del tutto intenzionale. Tra un poco avrà inizio una parte importante che farà da solida base e spiegazione al punto in cui Izuku si è bloccato (in senso figurato): la confessione a Katsuki.
Una risposta così tagliente da parte del biondo non era completamente inaspettata, ma non posso rivelarvi più di tanto.
Sono curiosa di sentire la vostra opinione al riguardo, perciò vi saluto.
Alla prossima (。̀ᴗ-)✧

La Petite mort -Dekubaku-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora