Erano ormai le dieci quando la vibrazione del telefono fu spenta. La sveglia aveva continuato a rimbombare come i colpi di un martello per tutto l'appartamento ed il comodino, dalla prospettiva di un ragazzo assonnato e già colto da un sentore di mal si testa, pareva doversi sfaldare sotto all'insistenza della canzone che fuoriusciva dalla piccola cassa. Era una delle peggiori musiche preimpostate che esistessero, Izuku provava un odio profondo nei suoi confronti, ma non aveva mai trovato la voglia di cambiarla. La sua era stata una rinuncia fin dall'inizio, un po' come quando si salvano i numeri in rubrica; si inizia col nome e qualche indicazione sul ruolo che quella persona occupa nella tua vita, cose del genere erano comuni nella sua rubrica, e dall'inizio del primo anno di università, giusto tre mesi prima, non si era mai posto il problema di dover cambiare qualcosa. Sembrava che tutti quei compagni che aveva conosciuto e con cui aveva scambiato poche parole sarebbero stati contraddistinti dalla solita formula "nome + corso" in eterno. Così la suoneria restava la stessa, idem per la rubrica, con lo stesso carattere monotono di sempre.
Intorno alla quarta liceo, in un'ora buca di inglese, nel casino della classe impossibile da controllare per la supplente, aveva preso coscienza della quantità di persone che conosceva, non le aveva mai contate, ma sapeva che erano tante e che dei loro nomi non gli importava molto. A lui bastavano i visi, solo quelli, erano l'essenziale indispensabile alla memoria e ciò che più lo spingeva a guardarsi attorno alla ricerca di amicizie. Aveva notato Todoroki per questo motivo. La sua compostezza ed i tratti sottili erano particolari nulli di fronte alla sua eterocromia. Il fatto che lo scuro del grigio, accompagnato da un contorno intonso di pelle chiara, facesse contrasto con la strana cicatrice in cui era inscritto il suo compare azzurro, questo era oggetto di puro interesse estetico. Al primo anno di superiori Izuku lo aveva seguito con gli occhi per le prime settimane prima di ritrovarsi a parlare amichevolmente ed esprimere l'ammirazione che nutriva per quella sua unicità. "Sai? Mi piacerebbe disegnarla" per lui era cosa spontanea da dire, il signor Toshinori lo spronava sempre a non vergognarsi di voler rappresentare qualcosa, anche se questa toccava l'intimità di una persona, come la storia dietro un volto, i suoi segni e le sue espressioni, la matita era solo una matita, non poteva indagare in modo inappropriato, non più del dovuto. Dietro ogni opera d'arte c'è sempre qualcosa che non capiamo. Noi artisti, e ci terrei che tu non ti escludessi da quest''insieme, siamo dotati di una particolare sensibilità nell'assorbire e nell'esprimere quello che ci sta attorno, a volte senza nemmeno capire dove si può arrivare. Il dubbio della critica parte da questo.
Le parole del suo amico, suo maestro di disegno, gli risuonavano in testa come un mantra ogni qualvolta il desiderio di catturare qualcosa con la grafite lo cogliesse. A prescindere dal distacco di età, il signor Toshinori era una persona con cui Izuku si intendeva a meraviglia e, per quanto l'animo ribelle da adolescente che si ritrovava cercasse di prender vie diverse da quelle disegnate dai suoi consigli, doveva sempre riconoscere la cura che il professore dedicava a certe piccole perle di saggezza. Quell'uomo amava parlare, essere ascoltato, non c'era occasione che non cogliesse per riempire il silenzio con qualche studiata frase che cadeva come l'ultima pennellata su di una tela e concludeva ogni discorso lasciato sfumare nel grigiume di una calma ruvida di carta sporca di neri punti di sospensione. Izuku non lo interrogava mai riguardo ai propri dubbi, non era da lui cercare aiuto, ma in qualche modo si ritrovava a pensare a Toshinori come un punto di riferimento affidabile, un uomo in grado di dargli gli spunti giusti senza intromettersi nella sua vita. Persino quando i pomeriggi passati alla Grand Rue erano diminuiti il riccio non aveva smesso di riflettere sulle sue parole.
Poiché il mondo delude in apparenza e in concretezza, ma nella rappresentazione ritrova un'essenza che gli uomini hanno disimparato a percepire.
Allora aveva capito come non vergognarsi dei propri desideri, proprio come il professore gli aveva detto fra mille frasi sottointese nei suoi lunghi discorsi, e negli anni aveva continuato a chiedere alle persone e al mondo di farsi rappresentare dalle sue mani, in un timido tratto a cui solo le sue dita potevano dar forma. Quel lunedì mattina sentiva il bisogno di disegnare come una necessità dirompente, in grado di distrarlo dall'insopportabile sveglia ed obbligarlo a prepararsi con una fretta assurda, tanto che neanche in venti minuti si era ritrovato fuori dall'uscio di casa. Mano stretta attorno allo spallaccio della borsa, chiave in tasca e sguardo fisso sullo spioncino della porta. Espirò pesantemente contro il piccolo vetro ovale, schiacciò un piede sullo zerbino in un gesto privo di senso, il suo sembrava un rituale alquanto strambo per salutare l'appartamento e decidersi a scendere le scale. La testa lo proiettava già fuori, intento a camminare lungo la via, ma il corpo si sentiva ancora rigido come una corteccia nel muoversi e lo scontro fra la vitalità del pensiero e la durezza dei muscoli aveva prodotto in lui il bisogno di concedersi a due attimi di pazzia per grattare lo zerbino con la suola degli anfibi e spingere fuori dai polmoni l'aria calda che aveva raccolto nell'appartamento. Si strinse nelle spalle e si sistemò meglio lo spallaccio della borsa in pelle prima di racimolare qualche energia per scendere le scale procedendo verso un freddo, terribile e sfiancante inizio settimana. Purtroppo, avrebbe dovuto abituarsi in pochi minuti al nuovo giorno.
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La Petite mort -Dekubaku-
FanfictionLa carta brucia velocemente, un po' come gli uomini, un po' come i loro pensieri. Non tutto può essere conservato, non si è abbastanza capienti per essere tanto ingordi ed in fondo le persone si fabbricano ad un prezzo così basso che non si può pret...