Molti pensieri potevano andare persi nel frastuono del temporale che durante la settimana era tornato più forte di prima. Nonostante la loro età facesse supporre un animo più ribelle, erano giunti ad una conclusione piuttosto matura: potevano prendere le informazioni un po' alla volta, col contagocce, così da attutirne l'impatto. Non era passato il periodo delle lunghi notte spese in chiacchiere, ma la loro situazione era diversa, non era come un caotico ritorno a casa dopo l'ennesima festa, di quelli Izuku ne aveva passati fin troppi. La loro situazione richiedeva un approccio diverso, un approccio che avrebbero dovuto ideare in fretta. Avevano già corso troppo forse, e adattarsi non era cosa immediata. C'era bisogno di un nuovo tipo di dialogo, ma in fondo il tempo non poteva seguire le loro regole e come sempre si finiva ad affrettare le parti più importanti. L'intero arco narrativo era stato mescolato. Lo svolgimento era arrivato prima dell'introduzione e la fine non sembrava neanche così distante, ma in fondo poteva essere solo il loro istinto a suggerire una specie di apocalisse imminente e, da giovani quali erano, l'istinto si poteva sbagliare. Perciò tutto era ignoto. Katsuki avrebbe dormito di nuovo nel suo soggiorno, avrebbe bevuto di nuovo il tè che gli avrebbe offerto per un giorno in più, forse avrebbero continuato le conversazioni più importanti o ne avrebbero iniziate di nuove e come sempre non si potevano fare piani. Come il timore gli suggeriva, era possibile che il fantasma sparisse nella notte, diventando un confuso ricordo, il lascito di un sonno agitato.
Izuku non aveva più dieci anni, la realtà gli appariva ormai troppo sincera per essere ignorata. Iniziavano ad affiorare in superficie i dubbi sulle scelte prese, mentre il maltempo proclamava la sua presenza a suon di tuoni e lui teneva le mani nell'acqua del lavabo. Il livello scendeva, lo scarico gorgogliava ed inghiottiva parte della schiuma e la sua voce sembrava intrappolata nelle piccole bolle che scoppiavano. Le stoviglie erano lavate, l'ultima stava avvolta in uno strofinaccio a quadri che veniva agitato avanti e indietro lungo il bordo. Katsuki si assicurava che non restasse neanche una traccia di umidità prima di riporre l'oggetto sull'isola. Li avrebbe messi via Izuku, che sapeva quale fosse il loro posto fra le varie ante della cucina.
È sempre tanto meticoloso, come me, ma in modo diverso. Si sciacquò lo mani e lo osservò impilare l'ultimo piatto. Fissò l'isola. Due piatti, due bicchieri, due paia di posate, tre pentole di diverse dimensioni. Sono quattro giorni che va avanti così. Non era chiaro come fossero passati, ma era stato tutto talmente semplice da tenere il riccio sveglio per ore. Si alzavano quasi sempre allo stesso orario, studiavano, decidevano sul momento che cosa mangiare durante i pasti e questa convivenza aveva qualcosa di innaturale, che suggeriva ad Izuku di esser cauto più del solito.
L'indomani, di giovedì, sarebbe dovuto uscire e andare in biblioteca. Avrebbe rivisto Iida e gli altri per ripassare in vista dell'esame, ma aveva chiamato il rappresentante e si era scusato per il poco preavviso: non sarebbe stato presente all'appuntamento. Doveva aiutare la madre, aveva usato una scusa davvero banale. Ma cosa poteva dirgli? "Ospito Katsuki Bakugou a casa mia. Non me la sento di lasciarlo solo, rinuncio alla vostra compagnia per lui"...lo avrebbe preso per pazzo. Ed in fondo non poteva esser sincero neanche con il biondo, che in un paio di occasioni gli aveva chiesto bruscamente se non avesse di meglio da fare che star chiuso in appartamento. Mi preoccupo, ma a te darebbe solo fastidio saperlo.
<Hai finito il libro?> gli chiese.
<Sì, ne ho preso un altro. Hai almeno quattro scatoloni pieni di carta che non può trovare spazio qui dentro, lo sai?>. Izuku accennò una risata mentre afferrava i bicchieri e li riponeva nel mobile sopra al lavandino.
<Sono quelli di Hisashi. Non ci sarebbero stati neanche nella nuova casa di mia madre> lo chiamava quasi sempre per nome, chissà se Katsuki lo avrebbe notato. Era Hisashi, non padre, era stato un uomo troppo sfuggente perché potesse continuare a ritenerlo parte della famiglia. Solo Inko, di tanto in tanto e con un po' di malinconia, lo identificava con un "Mio marito". Katsuki non ne aveva più sentito parlare da quando la loro amicizia si era interrotta.
<Fanno disordine> commentò.
<Sì, lo so> e chiuse l'anta.
Katsuki non era più nella zona della cucina, si era già spostato verso la portafinestra. Mentre l'apriva Izuku notò che aveva lasciato sigarette e accendino sul tavolino. Questa sera non può. A modo suo, il biondo seguiva le sue stesse regole. I suoi polmoni si riempirono a fondo e quando tirò un lungo sospiro Katsuki era già fuori. Il temporale, come aveva già fatto in precedenza, si era ritirato momentaneamente. Aveva un tale potere quel ragazzo, fantasticò quasi divertito, da fare paura anche alla pioggia. L'acqua sarebbe tornata durante la notte, come una marea e tutto l'indomani sarebbe stato zuppo e gocciolante. Alla fine Izuku non era poi così pentito di aver dato buca ai suoi amici, probabilmente si era evitato una giornata umida e fredda. Ed i suoi ricci, già scompigliati per natura, avrebbero ringraziato per la scampata tortura.
Guardò oltre le vetrate. Le spalle del biondo erano strette, tutta la sua figura dava un senso di affusolato, ed i suoi colori chiari cozzavano con l'oscurità del cielo. Non si sarebbe mai abituato ad un essere del genere, che raramente inquadrava e che spesso fuggiva dalle sue domande.
Come aveva accennato, Katsuki era andato e tornato dal proprio appartamento. Aveva fatto su il necessario e aveva bussato alla porta di Izuku poco prima che incominciasse a piovere. Aveva provato a scoprire qualcosa su Mitsuki, ma il biondo era stato molto vago. "Sta bene. Dormiva, nient'altro" e poi si zittiva. Forse era vero quello che diceva, forse sua madre si stava limitando ad affrontare tranquillamente la situazione, senza troppi eccessi. Ma il comportamento di Katsuki lasciava trasparire tensione, sempre, e gli faceva dubitare delle sue speranze ottimiste.
Perché interessarsi tanto? La verità, che aveva accennato e mai ammesso, vedeva Izuku come un ragazzo profondamente annoiato, che faticava ad avvicinarsi a chi gli girava attorno. Ma Katsuki era diverso. Lui non faceva parte della sua vita, non come Iida, Todoroki o Uraraka, lui viaggiava al di là di quelle amicizie sempre lineari, con qualche trascurabile alto e basso, e ancora si faceva beffa del passato che li legava. Forse il biondo credeva, se non addirittura sperava che con il trascorrere degli anni tutto avrebbe perso importanza. Ma Izuku era di nuovo lì con lui, nella stessa città, ed era stato costretto ad accettarlo. Poteva essere questa la giusta visione d'insieme?
Izuku scrollò le spalle cercando di liberarsi della maggior parte dei pensieri che lo assillavano. Nonostante la scomodità che portava, la situazione gli dava un senso di neutralità. Come Katsuki, anche lui poteva decidere di ritirare le carte in gioco; per il momento voleva restare, questo doveva bastare come risposta a tutti i dubbi che gli turbinavano in testa.
Non seguì Katsuki all'esterno, si fece strada fra un paio di libri sparsi sul tappeto ai piedi del divano prima di ricadere a peso morto su quest'ultimo. Restò steso in modo disordinato: gamba destra piegata, quella sinistra per metà penzolante, braccia gettate sopra la testa ed un pallido soffitto da fissare. Era solo mercoledì. Il pensiero lo investì con prepotenza. Respirando piano, si rese conto per la seconda volta di come nulla fosse veramente cambiato. Continuava a studiare, a leggere, a consumare troppo caffè, a condividere aria con qualcuno che viaggiava fra l'essere troppo tangibile all'essere del tutto inafferrabile. Eppure aveva detto di non voler essere un punto di sosta, di volersi immischiare negli affari di Katsuki per quanto possibile, perché non era solo un ragazzo annoiato, no, era soprattutto stanco di essere un semplice spettatore. Quindi perché non approfittare di tutto questo? Perché non cercare qualcosa di più? Si sentiva in colpa per la vena di egoismo che stava dimostrando, ma in fondo riusciva a vedere anche i vantaggi migliori a cui poteva mirare. Posso dare anch'io, non so cosa di preciso, forse aiuto, forse solo del breve sollievo. Sento di volerlo. Vedeva un soffitto bianco, mai perfettamente liscio, che lo interrogava sul come ed il quando avrebbe capito cosa fare di preciso e che lo spingeva a cercare delle risposte. Lassù, su quella distesa rugosa, l'ennesimo foglio aspettava la sua mano. Quante ore avrebbe speso sul disegno? Ogni volta era un mistero.
Lo scatto della porta finestra lo riportò a terra. Di nuovo, non era riuscito a non pensare. Roteò gli occhi fino a raggiungere la figura del biondo e lo fissò fare un paio di passi sul tappeto. Lui ricambiò alzando un sopracciglio.
<Perché non lo lasci aperto? Il divano intendo>.
<Non intralcerebbe il passaggio?>.
<A me andrebbe bene. È fastidioso doverlo montare ogni sera>.
Katsuki alzò le spalle e prese posto sul bracciolo, giusto sopra la testa di Izuku. Era comodo? Avrebbe dovuto fargli spazio? Il riccio se lo chiese, ma non mosse un muscolo. Qualcosa gli diceva di non mostrare troppa gentilezza, non perché non sarebbe stata opportuna, ma perché il biondo, ne era certo, avrebbe storto il naso. Era così maldisposto verso gli atti più innocenti.
<Ne sei sicuro?> calcò Katsuki. Cosa voleva fare? Izuku lo aveva invitato, Izuku poteva decidere come gestire il tutto, questo almeno in parole povere. Ma forse anche il biondo vedeva oltre le semplici azioni e voleva dirgli di non esagerare. Se lo tieni sempre pronto per me, vuol dire che mi dai più potere in questo spazio. Vuol dire che non c'è alcuno scherzo, che non stai fingendo, che devo accettare il tuo aiuto per davvero. Izuku non trovò parole migliori da mettere in bocca a Katsuki.
<Sì> gli rispose con calma.
<Katsuki>.
Non gli rispose.
<Ehi, Katsuki>.
<Che vuoi?>.
<Mitsuki sta bene sul serio? Che stava facendo quando sei entrato in casa? Non ti ha chiesto perché stessi prendendo i vestiti dall'armadio o dove sei stato a dormire negli ultimi giorni?> ci doveva provare ancora una volta. Un sonoro sospiro si sparse nella stanza.
<Santo cielo, Izuku, che cazzo ti aspetti da me?>. Il riccio mise quasi il broncio mentre Katsuki si passava una mano sugli occhi in segno di esasperazione.
<Non lo so, non lo so, sì ed io non le ho risposto> elencò una serie di risposte che, come al solito, non erano esaustive quanto Izuku avrebbe voluto.
<Sei contento adesso?> fece Katsuki assai stizzito. Izuku fece una smorfia ed il biondo si sporse togliendo il soffitto dalla sua vista.
<Sei esasperante> gli disse con espressione tesa.
<Io? Può essere> e se non fosse stato sdraiato avrebbe fatto spallucce, giusto per ricordargli che lui era fatto a quel modo e che era inutile fargli appunti del genere. Anche Katsuki, d'altronde, aveva i propri difetti.
<Perché non le parli?> infine il biondo si convinse della stupidità del proprio ospite. Izuku non capiva quando smettere, non sapeva come fermarsi. Katsuki doveva aspettarselo, ma aveva scioccamente pensato che le vecchie abitudini fossero andate perse con l'avvicinarsi dei vent'anni.
Lo guardò in cagnesco, vedere quelle giade studiarlo dal basso all'alto e dal sopra al sotto lo facevano pentire di essersi affidato a delle semplici supposizioni. Izuku era ancora il ragazzo che conosceva, se lo ficcò nella testa nonostante facesse fatica a riconoscerlo. Il riccio aveva acquistato i lineamenti definiti del padre, con tanto di occhi grandi e capaci di scrutare fastidiosamente chi aveva davanti, le guance magre erano sempre cosparse di lentiggini, ma quel particolare che gli avrebbe dovuto conferire un'aria infantile si accostava semplicemente alle ombre del viso, addolcendone appena le linee. Katsuki corrugò le sopracciglia e gli dedicò l'occhiata più contorta che Izuku gli avesse mai visto fare. Che fai? Mi studi? Avrebbe voluto dire per schernirlo, ma si rese conto di quanto fosse più divertente osservarlo restare senza parole. Allungò le mani sopra la testa, tendendo le dita intorpidite, le parole minacciavano nuovamente di nascondersi.
Katsuki separò le labbra, soffiò un respiro e si scostò rimettendosi in piedi.
<Mi evita anche lei. Fa sempre le stesse domande e non ascolta le risposte. Odio tutto questo> ammise a malincuore, conscio di non poter sfuggire all'insistenza del riccio. Mosse qualche passo sul tappeto, raccolse i libri e li mise sul tavolino, guardò l'orologio che segnava le dieci passate.
<Dovresti lasciarla fare>.
<Non è quello che sto facendo?!> si voltò verso Izuku, ancora steso sul divano, gli occhi che sprizzavano esasperazione ovunque si posassero.
<Non proprio -osò commentare iniziando a tirarsi un riccio sulla fronte- ti continui a preoccupare per lei, ma di fatto non puoi fare nulla al momento>. Poteva offenderlo, lo sapeva bene, eppure trovava giusto dargli modo di confrontarsi con la realtà.
<Hai fatto lo stesso con Inko?> percepì un'ostilità nuova, quasi ferita nel tono usato. Si tirò su e posando i gomiti sulle ginocchia inspirò a fondo.
<Cosa c'entra mia madre in tutto questo?>
<Avevo ragione -disse Katsuki ignorando la domanda- nel dire che non ha fatto altro che scappare. Almeno ammettilo, Izuku, è stata una codarda>. Il riccio si tese, colto dalla sorpresa del suo attacco. Perché ritornare a quel discorso?
<Mia madre, Mitsuki non è come Inko -Katsuki si strinse le braccia attorno al busto- se la ignorassi, cosa le succederebbe? Comprerebbe una nuova casa in provincia e si ricostruirebbe una vita? No. Tua madre ha perso un marito, Izuku, ed è stato tragico, la mia ci ha rinunciato. Ho la sensazione che se rinunciasse anche a me, per la semplice paura di deludermi come ha fatto con mio padre, non lo sopporterebbe>. Le parole del biondo rivelarono più di quanto si aspettasse. Izuku percepì un'apprensione profonda, qualcosa che Katsuki non avrebbe voluto dare a vedere, ma che con il passare dei giorni diventava sempre più potente. Mitsuki era laggiù, in un appartamento dell'ultimo palazzo della via, e respirava, dormiva, viveva un po' come faceva il figlio: oggi posso, domani no. Le regole che Izuku aveva creato per sé calzavano alla perfezione, più a loro che a lui. Al biondo premeva di vedere la madre tornare quella di prima, vederla fuori dai propri spazi, essere di nuovo la donna decisa che Masaru aveva sposato. Perché Mitsuki era il punto di forza esterno che orbitava attorno a Katsuki, era stata quel satellite che gli conferiva equilibrio ed il biondo, così capì, non era pronto a scoprire di essere o meno in grado di restare sul proprio asse da solo. I mari si sarebbero alzati, le correnti oceaniche, cariche di energia, si sarebbero estinte, il suo asse di rotazione sarebbe cambiato, i ritmi biologici alterati lo avrebbero portato alla fine. Era questo che temeva?
<Se cercassi di dirle qualcosa, però, finiremmo per litigare> così crollò sulla poltrona.
Izuku si rese conto di aver iniziato a tirarsi le dita, un gesto nervoso che ormai compiva in automatico. Lui era in un limbo. Aveva aperto le porte a Katsuki, ma non era pronto ad accoglierlo ed il temporale che imperversava su Ginevra rifletteva le emozioni che albergavano nell'appartamento. Incertezza e curiosità, ma anche una buona dose di paura. Il terrore era per il futuro, per le conoscenze che dovevano venire e per quelle che erano state fraintese, per gli aspetti di una vita separata e distaccata, tanto simile all'altra che le si presentava, da esser sconosciuta. Trascurare certe scomodità le avrebbe solo accresciute, questo lo sapevano entrambi.
<Tu non le hai detto nulla, quando ha deciso di andarsene?> gli chiese.
Izuku scosse leggermente la testa e dal fissare il tappeto tornò con gli occhi su Katsuki.
Istintivamente sorrise. Ripensare ai mesi appena trascorsi lo faceva rabbrividire, ma c'era una nota di sollievo in quei ricordi. Inko era stata felice di partire, di salutare la città e tutta la vita che vi aveva trascorso, di questo ne era pienamente consapevole e tale certezza gli aveva permesso di appoggiare la sua scelta.
<Non dovevo dirle nulla. Per anni ha pensato solo a me trascurandosi. Più che codarda la definirei egoista, ma in senso buono. Pensare a se stessa è stata la cosa migliore che abbia fatto negli ultimi anni> spiegò senza voler approfondire. In fondo il biondo poteva immaginare il resto del discorso, il come ogni strada avesse portato Inko a quell'epilogo.
<La vendita della casa le ha permesso di acquistarne una nuova più quest'appartamento. Non ha lasciato andare Hisashi, ha cercato di farlo con me e sono contento che ci sia riuscita, anche se non del tutto> nel dirlo si rese conto di quanto concreta fosse la distanza fra lui e sue madre. Lo chiamava quando si sentiva sola, passava le vacanze con lei, ma la sua mano protettiva aveva allentato la presa verso la fine del liceo e la sua mancanza aveva reso la realtà un po' più tangibile. Izuku ricordava la strada per la nuova casa in cui sentiva di non aver posto, priva del vecchio studio di Hisashi ove rifugiarsi, e vedeva in Katsuki il riflesso della propria amara nostalgia. Ma la sua era ormai consumata, cosa poteva sapere di qualcosa di appena nato? La novità delle emozioni, così prevedeva, sarebbe stata sconosciuta ad entrambi. Lui, in fondo, aveva dimenticato.
Sono rimasto-
<Sei rimasto solo tu in questa città> glielo lesse in faccia, non c'era altra spiegazione, e quelle parole gli rimbombarono dentro per lunghi secondi, finché Katsuki non decise di parlare ancora.
<Non avresti preferito andartene, farti una vita altrove?> la domanda lo devastò. Non aveva mai riflettuto seriamente sulla cosa. Perché non allontanarsi? Avrebbe potuto andare ovunque, seppellire i ricordi di Hisashi, i litigi adolescenziali, trovare un secondo inizio altrove. La sua, invece, sembrava una storia fin troppo lunga, in procinto di ripetersi nelle scelte più ingenue. Trova di nuovo qualcuno che ti dia pensieri, fatti stretto nei panni dell'osservatore e prendi ciò che puoi. Per anni non aveva fatto altro. Era cresciuto in quel modo. L'istinto, nel bene o nel male, lo riportava costantemente sulla stessa strada e quell'idea di vita che si era costruito gli scorreva dentro, fin nelle vene.
Gli occhi erano caduti sulle fibre del tappeto, in attesa che fossero le labbra a muoversi. Da osservatore a oggetto di studio, era stato fatto su nella propria tela. Un nuovo pensiero lo torturò. Stava davvero seguendo le orme della madre? Non era mai andato abbastanza lontano per poter dimenticare. Alla soglia dei vent'anni si era immaginato in tutt'altra situazione e Katsuki, invece, lui sembrava voler superare certi confini, materiali e non, per il solo gusto di farlo. Katsuki poteva fare qualsiasi cosa e lui lo avrebbe guardato, come sempre.
<Ti ho odiato per questo> ancora, nessuna ammissione di colpa, solo scomode rivelazioni. Dopo tutto Katsuki non gli aveva mai spiegato nulla, che fosse arrivato il momento giusto? Izuku si tirò indietro i ricci e si strofinò il collo con più nervosismo di prima. Qualcos'altro, tuttavia, tremò al suo interno. Le viscere gli si erano strette, la pelle delle mani sembrava tirare, una nota di rabbia si aggiunse al crogiolo di emozioni che provava.
<Senti, Izuku, sono una pessima persona. Ti ho sempre giudicato e non voglio neanche chiederti scusa. Nell'ultimo anno sono persino peggiorato, perciò, visto che non ne sono capace, potresti fermarmi tu prima che ti usi come ho fatto con tutti gli altri> per una volta fu il riccio a rispondere con il silenzio. Il biondo si mosse scomodamente sulla poltrona.
<Izuku> lo chiamò.
Un senso doveva esistere. Per tutte quelle parole doveva esserci un significato, non era sufficiente pronunciarle perché fossero comprese. Non era abbastanza, nulla lo era. Mancava qualche pezzo alla macchina della vita e non era chiaro dove cercare, né in che direzione andare. L'università, come le amicizie, sembrava non aver più importanza col sopraggiungere di un'impotenza capace di sommergere due ragazzi come loro. Mancava poco, pochissimo, e sarebbero rimasti inermi.
Non mi parlare di questo. Ho voglia di silenzio, ma nessuno di noi lo ha da offrire. La scomodità era nel passato più vicino e pioveva, pioveva su tutta la città, come se il temporale fosse sempre esistito. E non era sbagliato pensare che il maltempo fosse da tempo immemore presente sopra le loro teste. Era su di loro, fra di loro, fra loro ed il mondo.
Izuku si sforzava di capire, Katsuki di esprimersi.
Il biondo sospirò, ancora lo fissava.
<Insomma. Cos'è che non capisci?> gli chiese.
<Non lo so> gli rispose subito. Le dita avevano iniziato a dolergli, le stava torturando da troppo.
<Ma tu...- Katsuki si alzò, il suono dei passi attutito dal tappeto, e si fermò davanti ad Izuku -...cosa vuoi dirmi? Devo andarmene? Devo restare? Non lo capisco>. Izuku vide i piedi nudi di Katsuki, pallidi come il resto del corpo, e percorse con gli occhi il sentiero di un paio di vene in rilievo. Ogni volta che vedeva un pezzo di Katsuki pensava a quanto fosse sottile. Non c'era definizione completa per lui, in parte scabro come carta vetrata, in parte fluido come un alito di vento, si spezzava in ogni pensiero del riccio. Ma lo seguiva, nelle linee e nelle ombre, immaginando di riportare alla luce un qualche antico disegno.
La verità, si disse, era in quello che vedeva. Sollevò il viso allungando il collo. Katsuki lo scrutava dall'alto con aria incerta, sempre teso e sempre difficile da comprendere. Gli zigomi magri sottostavano a due rubini immobili, che a loro volta trovavano posto sotto un paio di sopracciglia dritte e ben delineate. Ad Izuku sarebbe piaciuto poterle ricreare, fu un'idea spontanea, assieme a tutto il resto. Un pezzo di carta, un paio di matite, sarebbe bastato poco per catturare finalmente quel viso sfuggente. Gli ricordava il signore dell'autobus, gli ricordava di tutte le persone che era riuscito ad immortalare in giro per Ginevra, persone che non aveva più rivisto. Gli sarebbe dispiaciuto, tuttavia e a differenza di quei fugaci schizzi, di non poter più incontrare un soggetto come Katsuki. Se gli avesse detto di uscire da casa sua, ne fu certo come nulla prima di allora, sarebbe stato un addio. Nel realizzarlo sentì di non desiderare una cosa simile. Il ragazzo che gli stava di fronte doveva trovare spazio nella sua visione, in qualche modo doveva accadere. E c'erano davvero differenze insormortabili tra loro? Izuku finalmente ne dubitò, poi sussultò.
Inaspettatamente sentì qualcosa sulla guancia, una pressione che crescendo riconobbe come la mano del biondo. Il fantasma lo stava toccando, non credeva al proprio tatto. Le cellule a contatto con le dita del biondo trattenevano il respiro, percepiva un senso di attesa ignoto. Non reagiva.
Katsuki si stava chinando, le azioni erano chiare, ma lontane dalla mente del riccio. Non sapeva cosa aspettarsi, né da se stesso, né da Katsuki. Indietreggiò con la schiena quando un ginocchio si puntò al fianco della sua coscia destra, una flebile paura lo percorse. Il biondo gli guidò il mento verso l'alto, ad una spanna di distanza sembrò voler soppesare le possibilità che si stavano aprendo davanti ai loro occhi. Prendere o desistere? Ed in fondo cosa gli suggeriva di poterlo fare? In quelle pozze rosse c'era una sicurezza innata, che Izuku recepì e assorbì. Izuku perse la coscienza di sé, come il temporale andava in ombra di fronte a quella famigliare forza, le sue stesse funzioni vitali si ritraevano come marea. Katsuki vinceva sempre.
Il biondo separò le labbra e sussurrò sulle sue: <Solo perché ne ho voglia>.
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La Petite mort -Dekubaku-
FanficLa carta brucia velocemente, un po' come gli uomini, un po' come i loro pensieri. Non tutto può essere conservato, non si è abbastanza capienti per essere tanto ingordi ed in fondo le persone si fabbricano ad un prezzo così basso che non si può pret...