V -Vorrei di più, non so da chi-

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In vero, Izuku non sapeva cosa pensare.
I primi mesi d'accademia erano volati e a gennaio aveva ormai la certezza di trovarsi a fluttuare su di un mare di ombre. Sua madre si era trasferita, così aveva fatto anche lui, alcuni pacchi stavano ancora chiusi nel corridoio del nuovo appartamento, non aveva accennato a volerli aprire. Si era portato troppe cose dietro, troppi vestiti, troppe scarpe, troppi libri che, per mancanza di spazio, se ne stavano al buio dentro un involucro di cartone. Non erano tutti suoi, molti erano appartenuti ad Hisashi e per quanto Inko avesse provato a farlo desistere dal portarseli appresso, aveva risolto col prenderli in massa e far una gran fatica per portarli su al quinto ed ultimo piano. Ormai era novembre, l'inizio di un nuovo ciclo di intenso studio, si sarebbe mai deciso a fare qualcosa per quel disordine?
Quei pesanti tomi portavano con loro il sapore di una casa che era stata venduta e, nell'idea di Izuku, ormai persa. Il padre aveva lasciato un'impronta invisibile sul passato suo e di sua madre, un'impronta di cui non si parlava mai e che sovente affaticava il riccio, solo per il pensiero che, ad aver ancora entrambi e genitori, avrebbe potuto condurre una vita diversa. Non gli era mai bastato, non gli sarebbe mai bastato quello che la sua aveva offerto ed aveva ancora da offrire; il suo era il punto di vista di chi sentiva e sapeva, chissà per quale ragione, di avere una parte mancante. Per il riccio era stato facile pensare che la sua fosse sempre stata Hisashi, la sua figura, i suoi ricordi sbiaditi che avevano lasciato spazio ad un intonaco scrostato.
Doveva avere i suoi libri con sé, anche se aveva capito da tempo che in fondo il padre non poteva più fargli da ancora. Fu negli anni delle medie che perse l'appiglio, con le prime difficoltà, le prime cotte e le prime, vere burle di cui era vittima. Che fosse per dispetto o meno, per educazione o per la sua indole molle, da piccolo aveva ignorato a lungo i segnali di un rapporto sbagliato con chi gli era stato accanto alla scomparsa di Hisashi.
Katsuki non lo aveva mai trattato con tatto e questo non era stato un problema fin quando le pesanti pacche sulla spalla divennero sgambetti ed i richiami, detti quasi con prepotenza, di trasformarono in insulti a cui non dette da subito il giusto peso. Quel ragazzino dai capelli ispidi come spighe era scomparso al mutare della marea, proprio quando, e di questo ne era ancora certo, entrambi avrebbero potuto aiutarsi a crescere.
C'era una ferita tra di loro, invisibile, ma percepibile e nessuno dei due voleva prendersi il rischio di sanarla e scoprire se i punti di sutura avrebbero tenuto o ceduto. Avevano maturato una di quelle distanze che difficilmente si sfaldano, che lasciano il segno dei cardini sulle porte dell'anima e di quel varco, infine, restano solo detriti di una promessa infranta. Se l'erano scordata, non era così?
Dire che sarebbero andati avanti assieme, che avrebbero scherzato a lungo sui propri falli, festeggiato per i successi, che avrebbero viaggiato il mondo e che si sarebbero dedicati l'uno all'altro come fratelli erano state parole al vento, di questo Izuku se n'era convinto. Alcune amicizie vengono inghiottite dalla crescita. Se lo era già detto, di non dar peso a certi pensieri, eppure il dolore non dolore, insapore, era la traccia che certi legami interrotti lasciavano e nessuno si curava di alleviarne il fastidio. Si ricordava di un vecchio stereo nello studio di Hisashi, di quanto fosse rovinato e di come avesse preso a non funzionare; interrompeva una canzone dietro l'altra, le saltava nel mezzo del ritornello o prima del climax, fermava bruscamente melodie che a stento riecheggiavano ancora nella mente del riccio. Così era stato per lui e Katsuki: divisi da un salto, in modo secco, rotto e privo di delicatezza, con quel suono stridulo dei freni di una macchina e delle sue ruote consumate sull'asfalto. 
Cosa importava più di quelle chiacchere a tarda serata, delle notti passate l'uno a casa dell'altro? E cosa importava il fatto di riuscire a guardarsi senza sorridere per i bei momenti passati assieme? Erano troppo giovani, troppo ingenui per capire che le persone sono fatte per incontrarsi, dividersi e solo a volte per ricongiungersi. Così doveva tutto passare, tutto doveva scorrere fra le loro dita e non lasciare macchia, eccezione non era fatta per i più recenti avvenimenti.
Ma tornavano sempre a tormentarlo, come aghi di memorie, e ancora rimestava nel brodo di esperienze che aveva nel piatto. Guardava avanti e guardava indietro, di tanto in tanto venivano a galla parole, conversazioni lontane ed episodi troppo pesanti da mandar giù. Quella sera di Novembre era la volta della prima tappa, la piccola pedana da cui aveva cominciato a correre.
Come ogni nuovo anno, il primo mese di Gennaio era sempre stato strano. Si trattava del mese più freddo, del più tiepido al di sotto delle pesanti coperte che si stringeva addosso la sera e dell'inizio, così avrebbe scoperto, del periodo più enigmatico della sua vita.
La sua era l'età degli sbagli e degli azzardi, delle vie facili e difficili che portano lontano, verso cosa non lo aveva mai voluto sapere.
Izuku non si era mai innamorato, aveva solo donato baci, innumerevoli "qualcosa di più" e silenziosi addii in punta di piedi. Credeva che ciò fosse l'essenza della tarda fanciullezza, la monotonia di ragazzi e ragazze che, all'insegna del cambiamento, venivano colti dal desiderio di condividere se stessi e ghermire la vita ai propri simili. I giovani sono ladri di tempo che si rincorrono fra parole non dette e confessioni a fior di pelle, vivono di grandezza, di fallacia e di approssimazione. 
E Izuku aveva approssimato tanto a Gennaio, talmente tanto che sulla bilancia su cui si reggevano ragione e istinto una delle parti si trovava costantemente ad essere il peso maggiore.
Katsuki si era fatto strada da solo, non era buffa come cosa?
Aveva vissuto lontano da lui, aveva donato anche lui baci, vagato per la città, fatto esperienze sbagliate e persino per quella testa dura l'adolescenza aveva disseminato mine lungo il cammino. I richiami, le convocazioni dal preside, i voti sempre alti, ma mille voci di corridoio a fare da sfondo, pochi amici ed un ben misero modo di dimostrare affetto, gli sbuffi a lezione, le liti nei corridoi con persone che Izuku non aveva mai visto, la scontrosità e la riservatezza, l'inadeguata conversazione prima della vigilia, quindi l'improvvisa notizia del divorzio di Mitsuki e Masaru, il silenzio del riccio e la stranezza di quel sorriso tirato mentre inspirava il fumo della sigaretta, poi di nuovo la distanza, l'ignorarsi a vicenda e l'ignorare di aver condiviso una piccola conversazione dopo anni di disprezzo quasi reciproco, infine tutto ciò li aveva portati a trovarsi in quella casa senza una reazione adeguata al contesto. Cosa dire? Cosa fare? Cosa non fare? Izuku aveva sempre pensato che fosse Katsuki il punto interrogativo più grande, quello difficile da maneggiare e che, pur se preso con le pinze, rischiava di ferirti, ma dopo tutto non si sentiva differente da lui.
Izuku lo aveva visto crescere, forse inconsciamente e ormai era tardi per riavvolgere il nastro. Aveva catturato con gli occhi ogni suo cambiamento, registrato un lungo film di risate, dialoghi, giochi, discussioni, prese in giro, rancori e sguardi cercati ed ignorati. Raramente Katsuki guardava dritto in camera, chissà perché il riccio si affrettava a voltarsi dall'altra parte.
Da costante che era stato, era diventato uno di quei sentieri lontani che di tanto in tanto tornano in mente e fanno sorgere dubbi e domande. Izuku non aveva mai conosciuto nessuno come Katsuki.
Sui gradini d'uscita di quella casa pensò in un attimo a tante cose e realizzò quasi infastidito che oltre a quel pessimo ragazzo non aveva mai avuto amici da bambino. Era bizzarro il come ad anni di distanza si fosse ritrovato a ripensare ai vecchi tempi e, per una volta, non solo ai torti che gli aveva fatto.
Erano davvero cresciuti distanti, ma dopo tutto non erano maturati diversamente.
Katsuki era lassù, in quel lurido bagno, ad asciugarsi il sangue al naso e fare la vita di tutti, sospirare come tutti, arrabbiarsi come tutti, fallire nelle relazioni come tutti. Chissà chi era quel ragazzo, il riccio se lo chiese per un solo istante e subito si rispose che probabilmente né lui, né Katsuki l'avrebbero più rivisto. Era uno dei tanti, Izuku lo sapeva, anche lui aveva avuto modo di conoscere i rifiuti, le offese ed i guai derivati da conoscenze sfortunate. Katsuki aveva baciato un ragazzo già fidanzato, si era preso un pugno in faccia e aveva guardato la chioma verde di Izuku come se fosse un alieno.
Perché incontrarsi a quel modo? Perché farsi venire tanta ansia nell'ordinargli di tenere la bocca chiusa?
Izuku si mise comodo sui gradini, tirò fuori un pacchetto di Marlboro e si infilò una sigaretta fra le labbra.
Che sia questo? Si domandò.
Ma certo, nessuno lo sapeva, è un dramma che ti abbia visto?
Il riccio inclinò la testa e si guardò indietro, quasi rimpiangendo di non aver compreso all'istante il comportamento del biondo.
<Tsk. Hai baciato un ragazzo, e allora?> Sussurrò all'aria fredda dell'inverno. Lo avevi già baciato prima di questa sera, non è così? Mi hai visto e non mi hai riconosciuto, il sapore del rischio ti ha tentato e sì, hai baciato un ragazzo fino in fondo, intensamente, prima di pentirtene.
Forse ti ha confortato il fatto che fossi io in quel corridoio, forse sai che non dirò mai a nessuno quello che ho visto.
Io ti conosco, anche tu mi conosci, fai ancora affidamento su questo?

La Petite mort -Dekubaku-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora