Ogni studente dell'accademia sapeva cosa fare all'inizio del nuovo anno. La prassi era semplice, automatica per molti e logica per le matricole.
Seguite le regole non regole, questo il messaggio che traspariva dalle voci di corridoio.
Bastava avere il mezzo di trasporto, un passaggio sicuro, abiti decenti, forse più dei soliti jeans e camicia, qualche amicizia ed uno stomaco capace di reggere ore di massacro. I sussurri iniziavano a correre dai primi di settembre, crescevano e si ripetevano lungo i corridoi dell'accademia, il gusto dell'alcol iniziava già ad essere sulla punta della lingua di numerosi studenti quando venne fuori il nome di chi avrebbe ospitato il ritrovo di inizio anno.
Si trattava di un qualche ragazzo del quarto anno, volenteroso di mettersi in mostra. Non passava mai l'abitudine, così pensava Izuku, di desiderare l'attenzione del mondo. Manie di grandezza e nient'altro, quelle feste servivano da palcoscenico a chiunque avesse quel briciolo di narcisismo di troppo e per quanto lo disgustassero da una parte, dall'altra gli facevano tornare in mente i felici ricordi delle prime uscite con i suoi amici.
Erano un gruppo di scalmanati ed impacciati adolescenti, si figurava ancora fin troppo bene le figuracce con alcune ragazze della sua vecchia classe e le espressioni scocciate dei più grandi che li vedevano girare per le vie. Erano bambini ai loro occhi, bambini un po'cresciuti a cui era concesso tutto e nulla. Faceva strano essere quei "grandi", ma nell'osservare il messaggio euforico di Ochako riguardo all'evento di capodanno Izuku si sentiva esageratamente grande, come se in una manciata di anni fosse invecchiato a dismisura e certe cose lo attirassero solo per il gusto del rischio, quello ingannatore, di poter tornare giovane e divertirsi quanto avrebbe voluto.
La castana lo aveva tempestato di notifiche al riguardo, pareva conoscere ogni dettaglio, se gli fosse stato chiesto di che colore sarebbero stati i bicchieri di carta lo avrebbe saputo. Quando Izuku le chiese da dove scaturisse una tale conoscenza dell'argomento non si stupì che il nome di Mina fosse pronto ad esser digitato. Quella ragazza dai capelli color fiori di ciliegio e look esuberanti, pur essendo al secondo anno, aveva amicizie che correvano fino al quinto e se si parlava di dover avere informazioni - esclusivamente su gossip, party e quant'altro - lei era l'enciclopedia dell'accademia. Nonostante la frivola apparenza Izuku la considerava una persona con la testa a posto, sempre allegra e disponibile verso gli altri, capace di restare mortificata per una risposta troppo brusca. Era una peccato che rientrasse nella cerchia di amicizie di Katsuki.
Eccolo di nuovo lì, seduto sul divano di casa, a fare da spettatore ai propri pensieri. Il filo della mente scorreva in un labirinto dal pomeriggio, quando era tornato a casa da un primo giorno alienante. Aveva lasciato l'accademia quasi avvilito, annoiato dalla monotonia di quelle poche ore che aveva passato lì dentro ed il cielo era nuvoloso, grigio come la cenere, ma senza alcun presagio di pioggia. Il temporale, così avrebbe presto scoperto, sarebbe passato sopra la città senza lasciar cadere una sola goccia.
Nell'infilare la chiave nella serratura e fare una stanca entrata nell'appartamento si era mosso proprio come un'automa. Togli le scarpe, mettile via, sfila la giacca, appendila, inizia a svestirti prima di arrivare al bagno, butta i vestiti a terra, apri l'acqua, buttati sotto a quella cascata non ancora calda e ripensa al libro appena finito fra i prati del parco nel tardo pomeriggio appena trascorso. Strofinandosi il bagnoschiuma addosso aveva sentito le pagine ingiallite del volume preso in prestito dalla biblioteca sfilarsi dalle sue dita e per poco non avrebbe ripetuto il gesto di chiudere il tomo, così, per chiudere anche la giornata. Era infine precipitato fra i cuscini del soggiorno, un battito ad ogni scatto di lancetta dell'orologio appeso che via via diventava un colpo, come di un bussare leggero alla porta del suo Io.
Avrebbe voluto dimenticare la speranza della mattina, la malinconia delle lezioni, i saluti dei suoi amici, la nostalgia che gli aveva afferrato le gambe e che ormai lo stava divorando. Gli mancavano disperatamente e da mesi evitava di ammetterlo, quegli sguardi evitati e quegli sbuffi che lo distraevano dalle spiegazioni dei professori, quel ragazzo che era stato presenza e lontananza, tutto. Ma pensarlo era un vizio, non una confessione e quella sera la voce era destinata a dormire, riposare talmente a lungo da poter disabituare il corpo a vibrare per produrre il più lieve lamento. Izuku avrebbe voluto esser muto da sempre, solo per non dover correre fin troppo spesso il rischio di rovinare la propria vita con un respiro. Strinse un cuscino, si rigirò tirandosi su il plaid e guardò la tazza posata sul tavolino. Era vuota, fredda ormai, un po' come lui, un po' come il ricordo che aveva di Katsuki. Una stagione, nulla di più, li aveva separati e quella pelle pallida, quei fili di grano, quei tondi di rubino erano diventati l'involucro dei suoi rimorsi.
Katsuki era fuoco freddo, diverso dalla fiamma del sole, circondato da pois luminosi che come puntine sulla bacheca dell'accademia perforavano un cielo di sughero e dispersi fogli sovrapposti. Era un riflesso sul vetro, una luna che come quella che spiccava oltre la finestra stava sorridendo ad Izuku con quel suo filo curvo di luce. Bussava ancora al suo cuore, se ne rese conto mentre ascoltava il vibrare del cellulare sul bracciolo del divano e osservava svogliatamente lo schermo accendersi e mostrare l'anteprima di un messaggio troppo lungo per essere letto.
Domani, lo leggerò domani. Procrastinare era qualcosa che odiava fare, eppure da svariate settimane questa cattiva abitudine si era insinuata nella sua quotidianità. Domani avrò voglia di farlo. Si ripeteva moniti a cui non voleva prestare ascolto. Domani andrà bene. Se lo era detto tante volte, a stento rammentava la prima notte in cui si era rivolto frasi tanto inutili. Ma certe cose sono fatte per non scomparire e molte, moltissime delle sue assurde prime volte coinvolgevano consigli non seguiti, sorrisi solitari ed il rossore di un affetto incompleto...ma soprattutto coinvolgevano il ragazzo che gli aveva restituito frammenti di vetro in cambio di un suo riflesso nello specchio dei desideri.
La sua vita, quel primo giorno di scuola, era parallela a quella di pochi mesi addietro. Incanalava le forze rimaste dalla giornata per non darci peso, tuttavia vien complicato darsi al nulla quando si torna a casa stanchi e ci si trascina fino ad una seduta comoda. Le strade della città si riempiono di persone che rientrano da lavoro e così è per la mente: un via vai continuo.
Il cellulare riprese a vibrare, questa volta con gentilezza, in un singolo brusio Ochako gli aveva inviato un messaggio di buona notte aggiungendo che si sarebbero organizzati l'indomani per la festa prevista per il prossimo weekend. Il riccio scrutava le anteprime con avidità, desideroso e non di dimenticarsi di rispondere.
Oh, se solo quell'ingenua ragazza avesse saputo, pensò Izuku, quanto odiasse certi eventi, quanto volesse declinare l'invito, non avrebbe osato rivolgersi a lui con tanta contentezza. Era euforica come al solito, affamata di nuove conoscenze e di divertimento, non sapeva che di queste cose il suo amico aveva fatto incetta fino a star male giusto l'anno precedente ad una festa che si preannunciava grandiosa come quella di cui gli aveva appena parlato.
La rammentava a tratti, subito dopo quelle fatidiche vacanze di Natale, e ne conservava la neve sciolta in un angolo della mente arido ed indisturbato. Acqua e sabbia non avrebbero dato frutti, provò a convincersene dandosi una spinta per alzarsi. Piedi scalzi e brividi ad accompagnarlo, si appoggiò stancamente all'isola della cucina per afferrare il bicchiere che aveva tirato fuori e lasciato inutilizzato. Si era promesso di non farlo, ma un brindisi si era ormai reso necessario. Doveva farlo, per inaugurare il secondo giro d'inferno in quella scuola e dar fondo al gin rimasto in dispensa da troppo tempo. Quella bottiglia scadente era un ricordo delle prime uscite, finalmente poteva dirle addio...solo a lei, essere di innocua trasparenza, non al resto dei suoi problemi.
Il liquido bastò a riempire due dita del bicchiere, lo fissò disgustato ondeggiare fra le sue mani. Non gli piaceva il gin e con un mezzo sorriso constatò di non ricordare l'esatto modo in cui un tale alcolico fosse entrato nel suo appartamento, come tante altre cose e persone in effetti.
Che vita sprecata la sua, la retta parallela al passato, piena di avventure di cui avrebbe potuto fare a meno.
Poco più di vent'anni di vanagloriosi propositi, decise di alzare il calice per questo.
Aveva fatto così anche allora? Forse sì. Parlava nella mente, non era una novità, e barcollava scherzosamente fino alla porta che dava sulla città, si appoggiava alla ringhiera del balcone ed indugiava prima di mandare giù un sorso. Era stato così davvero? Mi sono innamorato cadendo o rialzandomi?
Doveva fare qualche passo indietro per capirlo e magari qualche metro ancora per tormentarsi.
Lo aveva già detto, no? Era stato ad una festa a gennaio di quello stesso anno e lì aveva scoperto una parte di sé troppo innocente per dargli preoccupazioni, ma capace di terrorizzarlo come non mai.
Aveva camminato fra giovani donne e uomini per ore senza pensare prima di rendersi conto di aver perso di vista Iida ed il resto del gruppo ed era strano che non riuscisse ad orientarsi. Erano poche le stanze, pochi i nascondigli, lunghi i corridoi; quella casa di periferia aveva un consumato pavimento in legno ed un sofisticato stile moderno che al di sotto delle luci fredde e soffuse gli facevano pensare di star vagando su una qualche nave spaziale. Sarà stata colpa dei troppi drink? Non voleva saperlo. Musica e odore di sigarette gli stavano appannando i sensi mentre cercava di non inciampare nella calca di studenti. Aveva visto qualcuno passargli accanto, qualcuno reggersi al muro, qualcuno deambulare senza meta come lui. Certi ambienti gli davano il mal di testa, si chiedeva sempre cosa lo spingesse ad esplorarli con rinnovata curiosità ad ogni nuova occasione. Saranno state la fanciullezza, la voglia di darsi e di prendere, la sua amata tentazione ad averlo condotto sulle scale di quell'abitazione. Stava cercando un bagno, senza urgenza, voleva rinfrescarsi e prendere una pausa dal caos che lo circondava.
Sbucando nel corridoio la penombra della notte pareva voler isolare quella parte della casa rendendola un regno vibrante dei bassi delle casse al piano inferiore, un sottosopra dell'universo da cui Izuku tentava di prendere una pausa. La fortuna lo guidò dritto alla seconda porta sulla destra che da mezza aperta lasciava intravedere le chiare mattonelle che potevano appartenere solo a dei servizi. Un po' stordito aveva mosso i piedi, ma in pochi secondi questi si erano arrestati. Laggiù, oltre una distesa di moquette, nascoste dal frastuono della festa, due sagome si stavano muovendo.
Il suo corpo pizzicava - così si ricordò passandosi due dita lungo il mento per assicurarsi di non aver lasciato nessun ispido filo dopo la rasatura del giorno prima - e per cosa non lo sapeva neanche a quasi dieci mesi di distanza. Si figurò per bene la moquette su cui aveva pestato, quasi gli parve di poterne tastare la morbidezza con le dita dei piedi che stavano iniziando ad intorpidirsi dal freddo. Bevve di colpo metà del gin. Meglio prevenire che curare, meglio dimezzare il drink prima di sentire il bisogno di deglutirlo tutto in una volta.
Quella notte era riuscito ad entrare in bagno, ma con difficoltà.
Le aveva viste mentre afferrava la maniglia, i loro movimenti, seppur distanti, lo avevano raggiunto come un battito d'ali imponente e nel sollevare lo sguardo sugli appuntiti profili di quelle due persone era rimasto paralizzato.
Erano indubbiamente prese dalla foga di un bacio, uno che ad Izuku parve davvero inadeguato per un corridoio, ma perfetto per una delle stanze lì vicino. Incontrare giovani senza un minimo di pudore era qualcosa a cui non badava, non da quando incappare in simili scene era diventata un'abitudine a certi eventi mondani, addirittura un obbligo.
Il respiro soffocato di uno di loro lo raggiunse, Izuku non poté fare a meno di giudicare l'approccio del tutto sbagliato. I pochi secondi di distrazione che quei due gli avevano causato bastarono a fargli storcere il naso. Il ragazzo, così gli parve di capire dal ciuffo scuro, stava divorando senza una sola briciola di rispetto, di gusto, l'occasionale compagna di una sera che sfortunatamente si era ritrovata una belva impacciata come amante di passaggio. Gli sembrava di star osservando due corpi incapaci di combaciare. Neanche riusciva a scorgere i tratti della ragazza che stava schiacciata contro la parete con una giacca mezza sfilata ed un jeans morbido che poco lasciava intravedere.
Riuscì a distinguere comunque la voce maschile del ragazzo, ma senza capire niente, e sottile gli arrivò alle orecchie un sussurro quasi raschiato che poco ricordava quello di una ragazza. Fu questo che lo fece indugiare sull'uscio del bagno.
<Cazzo, rallenta> il ciuffo del ragazzo si scostò a quelle parole. Basse e annaspanti, Izuku ne percepì il fastidio.
Allora la linea dritta di una mascella entrò nella sua visuale assieme a due labbra sottili, si sentì improvvisamente restio a volersene andare e scomparire nel bagno. Qualcosa lo aveva attirato, un sentore, ma forse era lo stomaco che pregava affinché mettesse qualcosa sotto i denti dopo una cena a base di pasta scondita. Si era preparato di fretta per non restare a piedi dopo la terza chiamata di Ochako, aveva ritagliato il tempo giusto per darsi la miglior sistemata che potesse permettersi e per cosa? Fare da spettatore a due cozze nel corridoio della casa di chissà chi.
Nel frastuono avvertì il proprio intestino stringersi e farlo sentire vuoto come se avesse vomitato. Aveva fame sul serio, più tardi si sarebbe pentito di aver mangiato poco e niente in tutta la giornata.
Un movimento di polso lo riportò coi piedi a terra. Le dita affusolate della persona avvinghiata al collo del ragazzo si erano distese quasi a stiracchiarsi, si contorcevano in una danza affusolata nella fioca luce proveniente dall'esterno e si allungavano verso la nuca a cui giravano attorno. Aveva mai visto movimenti simili?
Traballò sul posto.
Fame? Sete? Allucinazioni? Vertigini? Ebbe la certezza che l'alcool ingerito stesse avendo un effetto più ritardato del previsto.
E quei due? Continuavano indisturbati, credevano che quell'angolo di moquette fosse loro e di certo non del ragazzo riccioluto che li fissava dall'altra parte del corridoio con le viscere in subbuglio.
Izuku stava cercando solo di mantenere la lucidità mentre percepiva i sensi annebbiarsi. E pensare che era sempre il primo a dire di non buttar giù troppi bicchieri assieme per non rischiare la stessa confusione ascensionale che sentiva maturare in quel momento.
Guardò intensamente quella mano distante, ne studiò il profilo ombroso ed il come si insinuò fra i capelli del ragazzo portandolo giù una seconda volta verso le labbra sottili che già si protendevano verso di lui. Il tintinnio metallico della cerniera della giacca che sbatteva contro la parete si zittì quando l'indumento fu lasciato cadere a terra in un tonfo e fruscio di pelle. Fu in quel frangente che gli occhi di Izuku catturarono l'immagine di una larga maglia bianca venir sollevata e lì i suoi piedi si mossero per sostenerlo meglio. Doveva gettarsi dell'acqua in faccia, doveva svegliarsi e non restare rapito da cose che aveva visto mille altre volte. Il passo che fece fu, tuttavia, udito e subito uno sguardo saettò nella sua direzione. Lo sentì strisciare sotto la sua pelle. Non era del ragazzo, era di quel viso dalla mascella fine e dritta, baluginava ad una decina di metri di distanza da lui e gli dava i brividi. Si accorse con il respiro mozzato che quell'altra persona non era una persona, ma una creatura che aveva preso il sopravvento su tutto. Dalla lentezza straziante del bacio alla presa decisa sulla vita dell'altro, ogni lembo di stoffa e di carne era diventato suo. Sembrava star giocando con il suo intrattenitore e giudicando il pubblico che li osservava. Ad Izuku comparve in testa l'idea, più che sicura, che quell'essere si fosse accorto della sua presenza da minuti interi, ma quello spettacolo a cui stava assistendo era di sicuro indipendente da lui. Accadeva spesso, sempre, alle feste: persone che si incontravano e che finivano a letto assieme, in certe situazioni il brivido di esser visti era un incentivo per prendere l'iniziativa. La cosa bella era che superato un dato orario più nessuno badava a quello che facevano gli altri.
Che assurda serata era stata quella, ma non era stata quella giusta, quella sbagliata che ancora rincorreva. Ma torniamo al ricordo di quel ritrovo d'inizio anno, dopo tutto da lì in poi le cose per Izuku iniziarono lentamente ad andare a rotoli.
Guardali, quasi mi vien voglia di tornare a casa. Lo aveva pensato, era stanco e bisognoso di una qualche svolta e star in quel posto senza voglia di bere ancora o qualcuno che anche lui potesse baciare gli faceva rimpiangere di non esser rimasto a casa. Che cosa estenuante quando le premesse sfumano e non ti resta che un solitario elenco di desideri da sfogliare. Datemi di più. Lo urlavano tutti in quella casa, soprattutto Izuku e persino la creatura che lo stava distraendo dal buco che aveva poco sotto l'addome. I ragazzi della sua età, le ragazze.. sono tutti talmente ingordi ed insoddisfatti di tutto. Che senso aveva esser lì, inseguire l'ebrezza per poi far fatica ad addormentarsi una volta tornati a casa?
Quando le mani del ragazzo si avvicinarono alla cintura della creatura ne ebbe abbastanza. Entrò nel bagno e si sbattè la porta alle spalle. Accese la luce dello specchio e poco si stupì del macello che altri avevano lasciato prima di lui, tra pezzi di carta igienica per terra e sapone viscido sul lavabo quella stanza era un disastro. Aprì l'acqua, la raccolse fra le dita e se la gettò in faccia. Ogni cellula del suo viso lo ringraziò e sembrò addirittura rinvigorire sotto davanti alla lampadina giallastra che si stava scaldando. Respirò lentamente e BAM! Un colpo secco sulla porta da cui era appena entrato lo fece sussultare sul posto, brividi freddi lo percorsero e quasi subito si impose di calmarsi. Qualche idiota, non poteva esser altro, si era poggiato malamente o forse aveva inciampato. Restò convinto di questo per pochi secondi, fin quando non sentì una voce fin troppo chiara provenire dall'altra parte.
<Vattene. Vattene via! Tu e le tue cazzo di paranoie!> grattava oltre la superficie di legno nello stesso modo delle vacanze di Natale, quando restava troppo sotto la doccia ed il suo vicino di stanza si innervosiva per l'attesa.
In quel momento non provò altro che una lieve sorpresa che presto si acquietò in uno stato di gentile tensione. Trovarsi vicino a Katsuki gli faceva lo stesso effetto di sempre che mai era cambiato dalla loro infanzia. Era inquieto, ma a proprio agio al contempo, costantemente a metà fra la voglia di condividere il proprio tempo con lui e la voglia di scappare. Certo, negli anni questo tira e molla era diventato più complicato e difficile da sopportare.
Con le mani bagnate che grondavano acqua sul pavimento se ne stava appoggiato alla parete e attendeva. Guardava la porta, ascoltava il fruscio della persona che stava oltre e più osservava le venature del legno, più si rendeva conto di star aspettando che la voce del biondo se ne andasse lontano da quel posto. Non sapeva il perché, ma dopo la conversazione che avevano avuto il giorno prima della vigilia l'aria fra di loro si era come allentata, era diventata molle abbastanza per farli convivere nella stessa casa come due coinquilini che mal si sopportano e che di tanto in tanto si ritrovano in terrazza con una sigaretta in mano o l'ennesima tazza di tè offerta dalle loro madri. Una situazione del genere gli era nuova e lo metteva a disagio, spesso si era ritrovato a sfregarsi le maniche della felpa sulle guance per il nervosismo. Cercava di fuggire da quell'ambiente e quando un paio di settimane dopo erano tornati a frequentare le lezioni Katsuki aveva ripreso a vivere come se Izuku non esistesse, quest'ultimo si era semplicemente scrollato di dosso la pesante speranza che fra loro non ci fosse solo astio. Avevano ripreso ad ignorarsi con facilità, qualcosa gli diceva che restare in quel bagno fosse la mossa giusta per continuare sulla stessa strada di sempre.
Domande come perché starà urlando? e Con chi starà litigando? passavano e se ne andavano dalla sua testa in un fluire che cancellava ogni traccia di curiosità. Erano ai poli opposti, lo sapevano entrambi ed Izuku era certo che né a lui né a Katsuki dovesse importare di come l'altro stesse trascorrendo la serata. Figuriamoci! Neanche sa che mi trovo a meno di un metro da lui. Picchiettò con le unghie sulle mattonelle, le dita erano ormai asciutte.
<Che aspetti?! Vuoi un dono d'addio? Ho solo un biglietto per mandarti a fanculo!> era più esasperato di prima, il riccio lo capiva e fantasticava su quale povera anima stesse scagliando il proprio malumore. Delicato come sempre, la gentilezza era la sua specialità, non si notava?
Un tonfo, il secondo, accompagnò dei passi. Erano pesanti, troppo pesanti perché potessero essere del biondo. Tese le orecchie per ascoltar meglio e prima che potesse capire quel che stava succedendo la voce di Katsuki si levò tagliente ed irritante.
<Se non volevi che la tua ragazza ci vedesse non te la saresti dovuta portare dietro! La prossima volta prova anche a non omettere di esser già impegnato prima di provare a farti il primo che passa! Non sto qua per soddisfare la tua voglia di cazzo!> E qui, conciso, con la vibrante melodia proveniente dal piano di sotto in corpo, Izuku sentì un pesante colpo abbattersi sulla porta.
Si figurò la smorfia di Katsuki nel pronunciare l'ultima frase, l'esasperazione del suo interlocutore e scacciò nuovamente l'interesse maturato per la conversazione che aveva origliato. Gli fu impossibile, tuttavia, fuggire da quella situazione.
Pochi secondi dopo osservò con espressione attonita la maniglia venire abbassata e si pietrificò mentre una massa di fili dorati e scompigliati gli si parava davanti, fra lui ed il lavandino. Si era precipitato in bagno come una valanga, nubi attorno alla testa e completa disattenzione per l'ambiente circostante, neanche aveva alzato gli occhi per controllare che non ci fosse nessun altro.
<Che coglione> Izuku lo sentì sibilare fra i denti, ma non si mosse. La tempesta che Katsuki si portava dietro era la norma per chiunque in accademia, ma trovarsela sotto al naso non era nei piani di nessuno, benché meno di Izuku.
Gli guardava le spalle chine sul lavabo, ne studiava i movimenti ondeggianti dati da un respiro quasi affannoso, respirava odore di alcool, di fumo, i vestiti del ragazzo che aveva di fronte ne erano impregnati. Per poco non sussultò quando Katsuki alzò un gomito e aprì con un gesto secco il rubinetto. Trattenne il respiro nel notare il proprio riflesso nello specchio cosparso di schizzi d'acqua. Era una statua, muscoli rigidi e t-shirt nera che si gonfiava e sgonfiava con i suoi polmoni.
Katsuki fece per raccogliere l'acqua ed improvviso bloccò il braccio a mezz'aria. Izuku lo sentì sospirare, sospirare sonoramente.
In due secondi il biondo sollevò il viso e si voltò mozzando il fiato allo sfortunato spettatore che aveva alle spalle. Il silenzio divenne un'inattesa barriera fra di loro.
Un volto macchiato gli si presentò davanti, un volto stanco, teso e pallido. Katsuki non sembrava curarsene, ma le iridi verdi del riccio saettarono inevitabilmente dai suoi occhi al suo naso, dal suo naso alle sue labbra. Erano dello stesso colore, tutt'e tre erano rosse, rosse come il sangue.
Dalla scura narice scendeva giù, bagnando l'arco di Cupido, un rivolo cremisi. Izuku lo contemplò più e più volte per realizzare infine che sì, Katsuki stava lasciando che la propria linfa vitale sgorgasse dal naso e scendesse dalla bocca fin oltre il mento, dal quale si preparava a cadere sulla maglia bianca che indossava. Era uno spettacolo assurdo, se ne avesse avuto il coraggio avrebbe riso perché mai, mai in venti lunghi anni lo aveva visto col sangue al naso.
Erano entrambi senza parole da pronunciare, chi più e chi meno, ma il viso di Katsuki era talmente indecifrabile da fare paura. Un po' impassibile, un po' scocciato, un po' con quel cipiglio capace di confondere i suoi spettatori. Katsuki avrebbe potuto andarsene senza dir nulla o sfogare su di lui la frustrazione che teneva in corpo.
Poi Izuku riprese a raccogliere aria e lì le sopracciglia prima corrucciate del biondo si distesero per far spazio ad un'espressione allucinata, quasi preoccupata.
<Tu - iniziò il biondo stringendo il bordo del lavandino, spalancando le fessure in cui affondavano le sue pupille rosse - che cosa hai sentito?>.
Il riccio scosse la testa subito, quasi a voler dire che non importava, che non aveva sentito abbastanza, né per capire, né per non capire.
<Quindi tutto> sospirò Katsuki raddrizzandosi con la schiena. Fronteggiava Izuku, per cosa quest'ultimo ancora non lo sapeva.
<Ci hai visti?> il riccio fece per scuotere la testa, ma si bloccò.
Non aveva incrociato lo sguardo del biondo per l'intera serata, né intravisto il suo portamento schivo fra la moltitudine di studenti odoranti d'alcool al piano inferiore, in effetti era come se si fosse materializzato pochi minuti prima dietro la porta del bagno.
<Allora?!> il biondo prese a picchiettare sulla ceramica del lavandino, le giade di Izuku caddero sulle sue nocche piegate, sulla forma affusolata delle dita e sul come si contraessero per un'agitazione ormai malcelata.
La luce dello specchio gettava ombre confuse sul dorso ed il rosso dello sguardo del biondo si contraeva in un bianco abisso perlaceo.
STAI LEGGENDO
La Petite mort -Dekubaku-
FanfictionLa carta brucia velocemente, un po' come gli uomini, un po' come i loro pensieri. Non tutto può essere conservato, non si è abbastanza capienti per essere tanto ingordi ed in fondo le persone si fabbricano ad un prezzo così basso che non si può pret...