Il liceo non era stato un periodo felice, questo Izuku lo ricordava. Le medie, che erano state un alto e basso fra le cattiverie dei suoi compagni ed il conforto della madre e del signor Toshinori, erano passate in un battito di ciglia ed era stato troppo poco il tempo di stacco prima dell'inizio di un nuovo ciclo scolastico. Contrariamente da quel che si poteva pensare, né lui, né Katsuki intrapresero un percorso privo di incertezze. C'era stato un tempo in cui Izuku non era stato totalmente sicuro di dedicarsi agli studi umanistici come beni culturali, disegno, pittura o scultura, portava con sé fin dall'infanzia la paura di star solo seguendo le orme del padre. Ma il signor Toshinori lo spronava, più di Inko, nel farsi carico del proprio talento ed insisteva nel dire che rispetto ad Hisashi lui fosse più portato per l'atto pratico e immediato dell'arte. E lui non avrebbe mai fatto il critico, questo era un sollievo. La madre era stata piuttosto ininfluente nella sua scelta di far domanda all'Accademia, dopo tutti gli anni passati a tenerlo stretto a sé come se fosse un tesoro inestimabile aveva forse iniziato ad allentare la presa. Lo consigliava e questo bastava. Quando arrivò a casa la lettera di accettazione non festeggiò, né lo disse ai suoi amici; andò a piedi a La Grand Rue e tese il foglio di carta al signor Toshinori. Solo quando questi gli sorrise si concesse di lasciar uscire la felicità trattenuta e per la prima volta sentì di aver preso la strada giusta. Presto sarebbe arrivata la fine del liceo e l'incertezza sul cosa sarebbe diventato da lì a un anno lo elettrizzò per giorni.
Per Katsuki, d'altro canto, sapeva che non era stato così semplice. Nonostante i loro rapporti si fossero interrotti da anni, restava pur sempre cosciente di come il suo vecchio amico subisse le pressioni dei genitori. Mitsuki pretendeva il meglio per e dal figlio, senza vie di mezzo, e prevaricava sulla figura più gentile del padre. Verso la fine delle vacanze estive gli era giunta voce che il biondo avesse discusso pesantemente con la madre per il fatto di aver superato degli esami per una certa borsa di studio, che aveva infine accettato senza dir nulla in famiglia. Mitsuki non aveva accolto la cosa a cuore leggero, ma se Katsuki aveva preferito fare di testa propria, eccellendo come al solito, c'erano sotto motivazioni serie. Le voci dicevano che Katsuki fosse in lista per la borsa di studio di un'altra università, più rinomata e più incentrata sui movimenti contemporanei, cosa che probabilmente lo avrebbe avvicinato al lavoro dei genitori. Mitsuki, d'altronde, non nascondeva la speranza di vedere un giorno il figlio occupare un posto di rilievo nel mondo della moda. Non importava dove, il suo era un desiderio puro che andava oltre alle preferenze e la portava sovente a riprendere Katsuki per le cose più semplici, se non addirittura quotidiane. Dal comportamento al buon uso delle parole, dal non sprecare tempo al doverne dedicare necessariamente allo studio, per il suo amico d'infanzia tutto era calcolato. Izuku, anche da bambino, capiva che al biondo dovesse mancare l'aria nella casa così grande e così ordinata che Mitsuki aveva costruito per lui. E quell'agitato bambino dai capelli sempre disordinati si sentiva in trappola, per lui le libertà scarseggiavano a tal punto che un giorno decise di crearsele. Con la fine delle medie era iniziato ufficialmente il periodo di ribellione, non solo per Katsuki, ma per tutti quei ragazzi e quelle ragazze che come lui stavano soffocando sotto le aspettative dei genitori. Izuku non ne aveva mai sofferto molto, ma per Inko veniva naturale preoccuparsi e la sua apprensione era solo una blanda forma di controllo rispetto all'intrusione che molte madri operavano nelle vite dei figli.
Katsuki aveva sperimentato le prime liti con Mitsuki, questo il riccio lo aveva sentito grazie alle chiacchere di Mina, come al solito. Non era solito che certe cose si sapessero, il biondo era riservato e sfuggente, se aveva sentito il bisogno di lamentarsi con i propri amici doveva aver raggiunto il punto d'esasperazione. Così Katsuki stava prendendo decisioni importanti da solo, cercava di divincolarsi dalla strettezza dei muri di casa e anche lui, a modo suo, si stava allontanando dall'adolescenza. Mancava ancora tanto, no? Gli anni che un tempo passavano troppo velocemente sarebbero rallentati ed il prossimo traguardo sarebbe diventato la nuova, lontana linea di partenza per un'altra fase della vita.
Tuttavia, nel pensare al ragazzo che stava ospitando e che dopo la mezza discussione avuta era precipitato in un lungo silenzio fino a tarda sera, Izuku era sempre più convinto del fatto che lui avesse perso o lasciato qualcosa indietro. Prima del divorzio, prima del tradimento di Mitsuki, ci doveva essere un tassello fuori posto, forse finito a terra e dimenticato sotto un mobile, che non gli permetteva di aver una visione completa della situazione. Ma qualsiasi cosa fosse era sepolta sotto innumerevoli strati di dura caparbietà e stanarla non era compito suo. Non era così? Izuku non era tenuto a rovistare nelle persone e tirar magicamente fuori dalle loro teste gli oscuri problemi che le affliggono. Purtroppo in lui albergava il desiderio di conoscere, un'estremo interesse che andava oltre la curiosità e che presto o tardi si sarebbe riversato su Katsuki.
E Mitsuki, la madre tanto orgogliosa che persino lui che non era suo figlio sentiva di voler rispettare, lei conosceva davvero Katsuki? Ne sapeva più di lui? Izuku ne dubitò.
Il cielo di Ginevra si era ormai scurito e la pioggia, dopo una breve pausa nel pomeriggio, aveva ripreso a scendere copiosamente. Il biondo aveva afferrato uno dei libri dalle pile in camera sua e senza dare ulteriori chiarimenti aveva passato la giornata a leggere Il dottor Sax. Izuku neanche si ricordava di averne una copia e quella che vedeva fra le mani del biondo, ancora raggomitolato sul divano, era logora e dalle pagine ingiallite; proveniva sicuramente dalla libreria di Hisashi. Le opere di Kerouac lo avevano attirato tardi, quando ormai il suo periodo di ribellione aveva quasi esaurito le energie, ma d'altronde si chiedeva se certe fasi della vita finissero davvero, se un giorno ci si potesse svegliare ed essere pienamente consci di essersi svagati abbastanza e di non aver più bisogno di avventure. Per alcuni è impossibile, per altri è difficile, per lui e Katsuki era da scoprire.
Magari loro due avrebbero sentito rimbombare nella testa quella stessa voce che inseguiva Jackie, protagonista del libro: "non sarai mai felice come sei ora nella tua ovattata innocente immortale notte divoratrice di libri dell'infanzia". E si sarebbero ricordati delle ore spese a leggere fumetti, gli stessi che stavano ammucchiati nelle scatole sotto al letto del riccio, e di quelle passate sopra pagine di decine e decine di libri, perché dovevano condividere almeno quelle di esperienze ed Izuku faceva tante supposizioni solo per arrivare a convincersi di saper davvero qualcosa in più sul conto di Katsuki. Era un bisogno insopprimibile, che gli rimestava nello stomaco ogniqualvolta gli capitasse di gettare lo sguardo al soggiorno.
Chissà se lo vede, il Dottor Sax. Il biondo aveva oltrepassato la metà del libro da poco più di un'ora, ignorava le occhiate che il riccio gli lanciava da uno degli sgabelli in cucina, sempre a sorseggiare caffè, anche freddo. Izuku aveva rinunciato ad approcci più diretti e aspettava che fosse lui a farsi avanti, in qualsiasi modo. Allora aveva preso il tomo de La storia dell'arte di Gombrich e si era rassegnato al dover finire quel maledetto capitolo lasciato in sospeso. Ma le nozioni non gli entravano in testa e aveva solo osservato le ombre allungarsi sulle pagine mentre la giornata finiva. Il pranzo si era risolto con un panino privo di gusto e se non avesse messo il pezzo di pane sotto al naso di Katsuki era convinto che lui non avrebbe mangiato nulla; la cena, ora, era una prospettiva che dava ad Izuku un gran appetito, ma temeva che a chiedere al biondo se anche lui avesse fame avrebbe rotto definitivamente la quiete della casa. Così preferiva chiedersi se il Dottor Sax fosse visibile a Katsuki, perché Izuku ne avvertiva la presenza da quando quel libro era comparso fra le sue mani. Stava negli angoli scuri della casa, nello scarico del lavandino, nella porta del bagno che pendeva un poco e che, se non chiusa per bene, si apriva da sola con un cigolio raccapricciante.
Ed il Dottor Sax urlò quando Katsuki pressò le pagine e schiacciò la vecchia rilegatura sul tavolino. Izuku trattenne il respiro per quel gesto inaspettato, il medesimo che gli aveva visto compiere in biblioteca la sera prima e che lo portò a chiedersi se il biondo trattasse così tutti i libri. Quanta violenza per della misera carta. Ma andava bene, pensò tra se e se, così era solo quella materia inanimata a perire sotto al malumore del ragazzo.
Nel momento in cui Katsuki si levò dal divano Izuku per poco non trasalì; l'ansia lo assalì dal nulla, dalle ombre della cucina, dove il Dottor Sax non c'era più perché dileguatosi di fronte alla figura del biondo. Il Dottor Sax doveva aver paura dei fantasmi.
Il ragazzo si stiracchiò velocemente e allungando le membra ignorava ancora lo sguardo del riccio. Poi Izuku smise di esser teso e sbadigliò, senza sonno e senza stanchezza, forse per noia. Il pomeriggio era stato vuoto, ne avvertiva il peso solo adesso che lo spettro era tornato a farsi beffa della sua ospitalità.
Ma quello spettro indossava la sua tuta, leggeva i suoi libri, respirava la sua aria, e ancora non gli aveva dato motivo di cacciarlo. In fondo non era sgradevole, né scomodo, ed in quell'allungare le braccia sopra la testa dava ad Izuku le vertigini. Non sapeva proprio cosa aspettarsi. Katsuki avrebbe potuto decidere di nuovo di volersene andare, ma anche di girarsi e riprendere posto sul divano. Izuku percepiva il nervosismo salire e scendere; tutto, finché non si fosse abituato, pendeva dalle labbra del biondo. Vuoi sparire? Vuoi restare per cena? Vuoi un altro libro da leggere? Non ci capisco più niente. Però a guardarlo era un essere troppo sottile per riuscire a scombinargli a tal punto i pensieri. Katsuki si stagliava nella stanza come un ramoscello, chiaro e flessibile, e nella luce calda della piantana vicino alla poltrona sembrava pronto a piegarsi come se la cosa non lo potesse spezzare. Se già si era domandato come potesse piangere un fantasma, ora il riccio si chiedeva come potesse spezzarsi. Era uno degli strani poteri sovrannaturali del biondo, quello di non poter esser scalfito dalle lame e dalle forze del mondo. Izuku ne era certo: se Katsuki non fosse stato forte oltre ogni misura non sarebbe mai arrivato fino al suo appartamento. C'era una volontà potente dietro alle sue azioni, la percepiva, anche se nei momenti in cui parlava della madre vacillava. Forse, quando Mitsuki si sarebbe ripresa, Izuku avrebbe dovuto affrontare il fatto che con molta probabilità Katsuki sarebbe sparito di nuovo.
<Ho bisogno di fumare>. E con questo afferrò la giacca in pelle e si precipitò fuori dalla porta a vetri. A quel punto Izuku non sapeva più se ridere o piangere. Scivolò giù dallo sgabello e abbandonò La storia dell'arte sull'isola senza alcun rimorso. Guardò fuori, sul balcone, dove Katsuki aveva già estratto sigaretta e accendino. Mentre dava fuoco alla paglia Izuku si rese conto che la pioggia, di nuovo, aveva preso una pausa. Il biondo aveva annunciato di dover usufruire dell'aria esterna ed il clima si era sottomesso senza obiezioni. La logica era limpida.
Izuku, come Katsuki, non si era cambiato nel corso della giornata e ancora si trascinava la cintura della vestaglia mentre si avvicinava alla porta finestra a passo felpato. Mise il naso fuori.
<Ma tu non ceni?> ancora una volta la voce tagliente di Katsuki lo toccò come uno spillo. Era talmente appuntito da trafiggerlo senza che lo toccasse direttamente. E a parlare a quel modo, a guardare la città notturna, sembrava rivolgersi verso qualcosa di nascosto, qualcosa che Izuku percepiva come interno, recondito, intimo. Per la prima volta da quando il biondo aveva messo piede in casa si chiese il perché ospitasse nel proprio soggiorno un essere tanto pericoloso e imprevedibile.
<Mh?> fece quasi a disagio.
<Il pranzo non era granché -gli fece buttando giù la cenere e prendendo un gran respiro attraverso il filtro- ma puoi rifarti con la cena> ed espirò a lungo. Il fumo salì verso il cielo, si confuse presto fra le nuvole che coprivano le stelle, ed il riccio si trattenne dal chiedergli di allungargli una sigaretta. Era bravo a resistere, lo faceva da tanto, ma Katsuki era davanti a lui, stretto nelle spalle e con quell'aria evanescente di chi cerca di non pensare a niente finendo inevitabilmente di pensare a tutto, ed il desiderio del fumo si attaccava a quell'immagine come una calamita. Ebbe la strana idea di doversi allontanare prima che le proprie gambe lo conducessero più vicino all'odore del tabacco. Ma ne aveva viste tante di persone con il filtro fra le labbra e non aveva mai sentito il bisogno di soddisfare la voglia passeggera di un tiro. Perciò non era il fumo, no? Era Katsuki, in tutto ciò che conteneva, a fargli venir voglia di un simile vizio.
Quel piccolo cilindro che teneva fra indice e medio si adattava perfettamente alla forma della sua mano, se non del corpo intero, e rifletteva l'idea che Izuku aveva del biondo. Katsuki si teneva da solo, fra le proprie dita, perché come una sigaretta si fa consumare dai respiri lui faceva in modo di lasciare la propria cenere alle persone. Lui si dava, quasi non importava il motivo, perché l'azione era talmente forte da annullare la causa. Katsuki aveva il dono di attrarre lo spazio attorno a sé come un buco nero e tutto si distorceva quanto più gli si avvicinava, creando un marasma incantevole. Izuku pensava, in un piccolo angolo del suo Io messo a subbuglio dalle novità, che Katsuki contenesse molti dei propri, affascinanti interrogativi e che in fondo occorresse solo un po' di coraggio per afferrarli. Ma chi si avvicinerebbe ad un buco nero? Izuku si domandò a lungo se fosse pazzo a sufficienza per farlo.
E poi cosa voleva dire quel giorno? Cosa nascondeva il silenzio del pomeriggio? La stretta di mano che avevano avuto dava davvero un senso a quello che stava succedendo?
La loro amicizia era stata precaria per così tanto tempo che un gesto simile poteva esser al pari di un cerotto su una ferita profonda e sanguinante. Gli veniva la nausea al solo pensiero di tornare a guardare il sangue coagularsi senza grandi successi e restare nuovamente fermo ad assistere a come il passato tormentasse il presente. Finirà mai? Quel che avevano vissuto sia lui che Katsuki pregiudicava le loro condizioni attuali e la sua parte pessimista non vedeva via d'uscita per una relazione così complicata e satura di offese.
Katsuki non si era scusato, ma forse era passato troppo tempo perché un "Mi dispiace" avesse abbastanza valore. E per quanto Izuku insistesse nel dire che il loro trascorso potesse passare in secondo piano alla luce dei problemi più recenti, il suo animo cercava qualcosa nel ragazzo che aveva di fronte che potesse fargli pensare "Ora so che non volevi ferirmi. Ora ti capisco meglio. Ora ti voglio perdonare".
Non bastava quello che già sapeva? Si sentiva un Ulisse privo di virtù, che cerca e chiede senza sensibilità e prende, proprio come faceva Katsuki, perché alla fine chiedergli di ricostruire la loro amicizia poteva essere il solo modo per raccogliere conoscenza. E di tutto il sapere che avrebbe accumulato, cosa ne avrebbe fatto?
<Ti prego, dimmi che non lo stai facendo> i pensieri di Izuku furono interrotti. Katsuki aveva parlato. Tra il fumo. Nell'odore della pioggia. Con gli occhi ancora attenzionati verso il lento movimento della città.
Quel ragazzo -lo avrebbe imparato di nuovo- sapeva porre pochi, significativi punti allo scorrere del tempo.
<Che cosa?> il riccio annusò l'aria satura di petricore. Iniziava a sentir freddo lì, appoggiato allo stipite della portafinestra.
<Studiandomi> sbuffò in un nuovo respiro grigiastro.
Lo sapevi, ancora prima di metter piede in questa casa. In fondo, che cosa ti aspettavi da me?
Izuku si scosse. C'era stato troppo silenzio, troppe ore insapori per una sola giornata.
<Ci proverò. Ma dimmi, sai ancora fare...- provò ad accennare mentre Katsuki schiacciava la cicca nel posacenere bagnato che se ne stava solo e annerito sulla vecchia sedia di plastica all'angolo del balcone. Poi il biondo si girò Verso il riccio e lo fissò a lungo, con fastidio.
Izuku si fece coraggio.
<Sai ancora fare i katsudon?>. Nella sua testa la domanda aveva logica; era spontanea, inaspettata, ma non troppo.
Il viso pallido di Katsuki si stava arrossando per il gelo di febbraio, qualcosa nella sua espressione troppo seria suggeriva stanchezza. I suoi tratti erano stampati sullo sfondo della città, illuminati malamente dalla luce esterna ed Izuku si chiedeva se sarebbe stato in grado di ricordarseli alla mattina. Fu più fiducioso dell'ultima volta.
<Ho gli ingredienti in frigo. Ti va?> spiegò mentre imprimeva nella mente gli zigomi del biondo, le sopracciglia dritte, il contorno definito della mascella e si rese conto che Katsuki aveva rallentato. Il movimento di cui aveva paura, perché non riusciva a catturarlo, si agitava di meno. Non lo stai facendo, vero? Domandava a se stesso. Non studiarlo. Tu analizzi troppo, Izuku, pensi troppo, supponi troppo. Anche lui era stanco. Non aveva dormito bene, il fine settimana gli portava sempre via dei pezzi, dei pensieri che doveva tirare nuovamente a sé prima del lunedì.
<Non è strano, mangiare i katsudon a Ginevra?> ed un tono diverso, quasi divertito, scacciò definitivamente il timore che la memoria gli giocasse brutti scherzi. Avrebbe ricordato assolutamente il viso di Katsuki, ogni atomo del suo corpo ne aveva la certezza. Quel naso sottile avrebbe indicato una misteriosa direzione che Izuku voleva seguire con lo sguardo per scoprire gli angoli segreti di Ginevra.
Sì, sì! Era strano, era davvero bizzarro mangiare katsudon in quella città. Un piatto così lontano li riportava ad esser vicini. Izuku conosceva bene il profumo dell'impanatura, dell'amido del riso, e ripensava con entusiasmo a quando erano più piccoli ed Inko cucinava per loro dopo lunghe giornate di giochi. Sua madre gli aveva raccontato che quando era più giovane, in Giappone, tutta la sua famiglia cenava con i katsudon il sabato sera. Il riccio sentiva che una tradizione così vecchia fosse da tenere stretta, non necessariamente da continuare, ma da conservare nella memoria. E la sentiva un po' sua in quel momento, mentre parlava con Katsuki di cucinare quella pietanza tanto semplice e gustosa.
Anche se aveva visto il Giappone poche volte, solo in occasione di brevi periodi di vacanza, aveva fatto tesoro della felicità che quel posto gli trasmetteva. Era da lì che erano partiti i suoi genitori, da cui erano partiti quelli di Katsuki, ed era bello pensare che in qualche modo ci si potesse sentire meno lontani dalle proprie origini e dal passato solo per aver guardato in cucina e aver visto quei pochi ingredienti. Combinati nel modo giusto sapevano di casa.
<E va bene, ci penso io. Ma prima voglio un'altra sigaretta> asserì Katsuki ed Izuku annuì, anche se in fondo era contrariato dal come un secondo filtro fosse comparso fra le sue dita. Fissò malamente la mano del biondo.
<Se siamo amici evita commenti. Mi bastano già quelli di mia madre>.
<Lo sa?> si accigliò il riccio. Lui era sempre stato attento a non farsi scoprire, anche se il fumo non aveva mai corso il rischio di diventare qualcosa di più di una debolezza momentanea.
<Non dovrebbe? Ha problemi più gravi a cui pensare. Ti sei già dimenticato del vino?> non aveva ancora acceso la paglia, tastava un po' il filtro, Izuku non capiva. Era certo che qualcuno come Mitsuki avrebbe tirato per le orecchie Katsuki, intimandogli di smettere prima di rovinarsi i polmoni.
<Ogni tanto fuma anche lei. È odioso, ma le lascio fare anche questo. Le permetto troppo, non è vero? Lo hai detto anche tu prima>.
<I vizi ce li creiamo da soli e li consumiamo da soli> si limitò a commentare. Katsuki, alla fine, rimise la sigaretta nel pacchetto.
<Adesso fai l'uomo vissuto? Ti prego, Izuku, risparmiarmi certe frasi>.
<Tu non farmele dire>.
<Tsk> fece un piccolo schiocco con la bocca, poi si girò e posò i gomiti sulla ringhiera. Ora il riccio lo vedeva meglio, si stagliava come uno schizzo in gesso sul cartoncino blu della sera.
<Potrei restare per un po'>.
<Sono stato io ad invitarti. Me ne farò una ragione>.
<Anche se mia madre mi lasciasse entrare, non tornerò al mio appartamento> gli spiegò. Sembrava più sicuro di prima.
<Riempirò una borsa con vestiti e libri e recupererò un mazzo di chiavi> sembrava un avvertimento. Era come se gli stesse dicendo: "Una volta che permetti al fantasma di entrare, non te ne liberi facilmente". Era come se lo sapesse, di esser visto come uno spettro, come se fosse ben conscio della propria evanescenza e sapesse come controllarla. Sarebbe rimasto, almeno per il momento, poi un giorno avrebbe attraversato una parete scomparendo nel nulla. Izuku avvertiva la precarietà del loro equilibrio.
<Quello -disse indirizzando lo sguardo verso il soggiorno- è un divano letto, giusto per informarti>.Katsuki prendeva ancora decisioni. Le sventolava davanti al riccio e diceva di non voler guardare indietro. Un giorno era lì, in casa sua, un altro per le strade di Ginevra e non sentiva nostalgia dei luoghi in cui era stato. Aveva risolutezza e anche una grande paura di perdere tale qualità. Cose come il divorzio dei genitori ne minavano le fondamenta pesantemente e le conseguenze erano molteplici. La solidità dei muri iniziava a vacillare, entravano persone e mettevano in disordine le stanze, era Katsuki a lasciarle fare. Ogni nuovo incontro era momentaneo e scalfiva a malapena le sue difese. Ma l'intonaco si rovinava, i mattoni pure, con il tempo qualcosa sarebbe crollato. Izuku, da parte sua, sperava di non dare l'ennesimo colpo alle pareti. Si conosceva abbastanza per affermare di essere un pericolo, perché per sapere doveva scavare e scavare voleva dire togliere terreno da sotto i piedi del biondo. Non ci si rende mai conto di aver tolto troppo fin quando non si raggiunge il limite ed il riccio non conosceva il limite di Katsuki. In fondo non lo aveva mai scoperto, il Kacchan di una volta non conosceva il termine impossibile. Era in grado di affrontare tutto ed era strano pensare che una tale forza fosse scomparsa, a meno che non fosse mai esistita; quell'invincibilità che gli attribuiva stava acquistando l'aspetto di un'illusione infantile. Quelle convinzioni che si fanno i bambini, sulla crescita e sul futuro, perdevano credibilità con l'avvicinarsi dell'età adulta. È un concetto così banale e così vero. Izuku odiava l'ovvio, l'omologazione e le frasi di circostanza. Combinazioni di parole come "Andrà meglio" e "Sei cambiato" riducevano l'imprevedibilità della vita ad un debole intervento del caso, che cercava fiaccamente di dare unicità al mondo. Katsuki ed Izuku volevano di più, eppure questo stesso desiderio li ricopriva di banalità.
*frase tratta da Hey Jude, brano dei Beatles del 1968. Il titolo originale era Hey Jules e McCartney la scrisse per il figlio di Lennon, Julian, così da aiutarlo a superare il divorzio del padre e Cynthia Powell.
Mi dispiace essere più assente del solito. So che ci sono lettori che continuano a seguire la storia e non smetterò di pubblicare, un po' per voi e un po' per me stessa.
Recentemente sono cambiate tante cose nella mia vita, ho risolto alcuni problemi e ne ho trovati di nuovi e per quanto mi sforzi di muovermi sento sempre di esser ferma in un punto.
In questi due anni abbiamo vissuto le esperienze che tutte sommate basterebbero per un decennio, ho ragione?Parlando della storia, credo che il tempo dei chiarimenti si stia esaurendo. Confido nel fatto di esser riuscita a trasmettere le giuste emozioni e di aver fatto capire quanto complicata sia la situazione. Lo so, siamo al 17° capitolo e ancora non è chiaro il rapporto fra Izuku e Katsuki, ma è necessario prenderla con calma. Ho sperimentato io stessa il ritorno di alcune amicizie e tutt'ora ho molti punti interrogativi al riguardo. La domanda fondentale per me è già stata posta: Come ci si comporta? Immaginate. È complicato rapportarsi a chi si conosce, ma da lontano e di cui si sa molto e non abbastanza. Questo vale sia per il riccio che per il biondo. C'è imbarazzo, disagio e paura. Le novità ormai danno solo preoccupazioni. Però vorrei raccontare di un impegno, di come ci si possa mettere in gioco in certe situazioni e di come non si possa restare ancorati al passato per giudicare il presente.
Spero che siate pronti per i prossimi mesi, auguro il meglio a chi dovrà affrontare l'esame di maturità e a chi, come me, sarà in sessione.
Pochi giorni fa è iniziato il mese del Pride e come al solito sono troppo incasinata con i viaggi (sono fuori sede) per riuscire a presenziare alle manifestazioni più vicine. Se voi potete, beh, alzate la voce anche per me, che nel mio piccolo cerco di dare supporto.❤️🧡💛💚💙💜🖤🤎🤍
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La Petite mort -Dekubaku-
FanfictionLa carta brucia velocemente, un po' come gli uomini, un po' come i loro pensieri. Non tutto può essere conservato, non si è abbastanza capienti per essere tanto ingordi ed in fondo le persone si fabbricano ad un prezzo così basso che non si può pret...