Nessuno ama le mattine d'inverno. Qualcuno le odia, che sia per il gelo o per la solitudine delle vie, qualcuno cerca di viverle con indifferenza, evitando le folate di brezza pungente, alcuni le ammirano pensando a quanto siano belle. Ma questi ultimi non le amano, le osservano solo passare come polvere al vento, attendendo che il caldo arrivi per poter desiderare il ritorno della stagione fredda. Loro rincorrono l'amore, ma non lo afferrano mai.
In inverno Ginevra allungava le proprie ombre, le distendeva e mai deludeva chi vi si celava per ritardare il proprio risveglio, permetteva alle persone di vagare un po' in se stesse e forse, quando i primi raggi si spargevano sulla neve del parco oltre i rami spogli degli alberi e la terra si riempiva di diamanti d'acqua, faceva loro dimenticare quel che avevano trovato. Una volta aperti gli occhi veniva difficile ricordare i propri sogni, ad Izuku questo lasciava sempre uno strano sapore in bocca, come se nella notte avesse inghiottito qualcosa di sgradevole e al suono della sveglia si fosse ricordato di non essersi lavato i denti la sera prima.
La domenica mattina, dopo la festa, pioveva. Tutta l'umidità della sera prima, la nebbia, il freddo, si erano condensati nel petricore che si respirava una volta spalancata la finestra della camera per far disperdere l'odore di chiuso. Per l'ammasso di coperte stropicciate, i vestiti buttati sulla scrivania, i fogli accatastati malamente in mezzo ai libri, per il disordine della stanza di Izuku si trattava di un lungo, ma breve sospiro, come l'ora d'aria che si concede ai carcerati. La prima cosa da fare era aprire la finestra, Izuku ne era convinto, era il modo migliore per svegliarsi: bruscamente, con il frastuono delle strade, mentre gli strascichi del sonno facevano spazio alla fastidiosa presa di coscienza del mondo circostante. Se avesse fatto altrimenti avrebbe solo passato minuti preziosi a rigirarsi fra le coperte, minuti che non avevano importanza di domenica, ma che per abitudine il riccio non voleva dedicare al disintorpidimento dei muscoli e alla lenta discesa nella realtà. Odiava sprecare tempo, il suo atteggiamento lo mostrava facilmente, tanto che persino chi non lo conosceva poteva dire, dal suo modo di ricacciare i quaderni nello zaino a fine lezione o dalla sua camminata quasi nervosa, che fosse un tipo frettoloso. Innumerevoli erano stati i richiami di Ochako o di Shouto al riguardo, ma lui non li aveva mai ascoltati, né aspettati. Quando uscivano al venerdì sera o al sabato era sempre il primo a presentarsi, puntuale o in anticipo, e quando Iida si palesava (si trattava di pochi minuti) si stupiva di come facesse a precederlo. Si aggiustava gli occhiali sul naso, gli faceva un cenno di saluto e gli ripeteva la solita cantilena: "Perché arrivi prima del dovuto? Ogni volta devi aspettare, non ti dà fastidio?". Izuku scrollava le spalle, ogni tanto rispondeva che non era un problema per lui.
In fondo, il riccio era abituato ad attendere. Da che ne avesse memoria l'ansia di riuscire a concludere gli impegni nei tempi previsti, se non addirittura prima, era sempre stata una compagna costante e la motivazione era più semplice di quanto si potesse immaginare: Hisashi Midoriya. Il padre, con il suo lavoro in giro per il mondo, i suoi viaggi continui e le sue lettere, era stata una presenza incostante, ma significativa, che Izuku aveva aspettato per giorni, settimane o mesi interi. Rientrava nei periodi di festa, di ferie o per le occasioni speciali, come i compleanni, di cui non ne perdeva uno, ed il piccolo ragazzino che correva su e giù per le scale teneva in gran considerazione le occasioni in cui Hisashi tornava a casa. Che fosse per contatto diretto, quando il padre lo abbracciava al suo rientro, o indiretto, fra lettere spedite da chissà dove ed i racconti di Inko, Izuku aveva presto maturato una sorta di ammirazione per lui, mista ad un affetto che trovava la sua miglior forma nelle parole che Hisashi spendeva nella sua corrispondenza con la moglie. A quelle epistole il ragazzo attribuiva un valore inestimabile, poiché non conosceva nessuno a cui i genitori scrivessero in una calligrafia tanto curata, quanto satura di nostalgia. Suo padre, come si era detto negli anni a venire, era un uomo di altri tempi ed aveva l'impressione di non esser mai riuscito a comprenderlo appieno. Ammirarlo era solo una forma di affetto, di lui ricordava la presenza, l'odore dei luoghi in cui era stato che si portava appresso, il fruscio della carta di qualche biglietto aereo, lo sguardo di Inko mentre lo osservava nel salotto dove Hisashi leggeva comodamente sulla vecchia patrona di pelle. Almeno in questo, pensava Izuku, era diverso dal padre.
Era importante seguire le parole, come un bisogno naturale, e nel farsi trasportare da esse era necessario muoversi. Se non camminare, anche solo far oscillare la gamba dalla sedia dava al riccio la sensazione di non star perdendo nulla nella lettura, di star assimilando, tramite gesti istintivi, il contenuto delle pagine che sfogliava. Izuku non riusciva a star fermo. Forse era per questo che ammirava e giudicava al contempo Hisashi, perché non riusciva a capire la sua calma, né il suo modo di fare contenuto, quasi studiato, che non lasciava trapelare alcun turbamento. Il padre, così gli era sembrato nell'ascoltare il silenzio della sua lettura, era un uomo incapace di farsi trasportare dal mondo reale, come dal mondo che fuoriusciva come sottili esalazioni di parole dai testi che divorava incessantemente. Aveva preso da lui l'abitudine di leggere ogni qualvolta vi fosse occasione, ma non il contegno che lo contraddistingueva e per qualche ragione questo era motivo di fierezza. Non era come lui, non in tutto, non possedeva quell'immagine nostalgica che Inko rincorreva e sperava di non presentarne mai alcuna peculiarità. Tuttavia, se davvero desiderava non assomigliarvi, perché percorrere la sua stessa strada? Perché condannare la sua assenza se alla fine era il primo a rinunciare agli impegni, a desiderare di restare nel letto alla mattina invece di esser vigile nelle giornate invernali, pronto a raccogliere le poche ore di luce che la stagione fredda lascia a disposizione?
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La Petite mort -Dekubaku-
FanfictionLa carta brucia velocemente, un po' come gli uomini, un po' come i loro pensieri. Non tutto può essere conservato, non si è abbastanza capienti per essere tanto ingordi ed in fondo le persone si fabbricano ad un prezzo così basso che non si può pret...