X -Gli anni di vetro-

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Izuku era tornato nuovamente alla nebbia del sabato sera, troppo occupato a perdersi nei giorni appena trascorsi si rese conto di quanto insensati si fossero rivelati.
Gli stessi risvegli, le medesime routine, nessuno aveva risentito davvero degli eventi, Izuku per primo aveva capito di non aver finito di subirne le conseguenze. Era troppo conveniente credere che tutto fosse relegato in un archivio e che, come libri di storia, le memorie fossero destinate a qualche consulto e nulla più. Ma lo studio, come la memoria d'altronde, è insidioso come gli spifferi delle finestre dell'accademia e richiede più resistenza, più impegno per esser dimenticato; una volta imparata una nozione, come si fa a dimenticarla? L'adolescenza insegna come fare e forse le giornate storte sono come lezioni, le stesse che Izuku amava cancellare dalla mente e che accumulava, una dietro l'altra, per ritrovarsi a dover fare tutto all'ultimo e dedicarsi alla prima, seconda e terza sigaretta pre-esame. Diciannove anni buttati nel fuoco dell'esperienza, si prendeva in giro da solo e lo stesso avrebbe potuto fare con Katsuki. Grandi propositi, grandi ideali, grandi liberazioni e grandi mura giovanili, l'intero mondo che stava al di sotto della soglia dei trent'anni lo faceva rimanere a corto di fiato da quanto contraeva i muscoli per dar voce ad un divertimento ossessivo e disturbante. Perdeva la testa, lui e gli altri, altri non si sa chi, perdevano tutti la testa. Si contraeva internamente nella danza dell'insensatezza e incurvava le labbra allo specchietto della macchina, sembrava godere del proprio riflesso e contemplava il proprio viso come se fosse quello di uno sconosciuto. Che vile egoismo è quello che guida il cuore dei giovani.
Non aveva più paura del narcisismo e della vergogna, ne ebbe la conferma non appena mise in moto la macchina, nell'osservare il ripetersi dei sensi al cospetto dell'immagine di Katsuki in bilico sul bordo freddo di pietra di quel lontano, ma vicinissimo antro dell'accademia. La nudità degli uomini è la natura degli stessi, il vestimento degli uomini è la privazione della natura e la conquista dell'innocenza che in natura non appartiene a nessuno. Sua madre gli aveva detto che ai suoi tempi gli uomini erano diversi, che erano più sottili nell'esporsi, che le donne non erano diverse e che l'atto dell'amore e l'amore stesso erano un gioco di compromessi e di fortuna, ma in una sera di svago gli aveva confessato di provare verso quell'epoca, la medesima in cui aveva incontrato Hisashi, un disgusto irrefrenabile. La ricordava posata sul divano della loro vecchia, grande casa, qualche settimana dopo il funerale, circondata da un'atmosfera di fitta e torbida rassegnazione, un libro aperto sulle gambe, una coperta troppo grande addosso; lo stereo riempiva il soggiorno con melodie di vecchi album di Kate Bush ed Inko sembrava voler consumare i cd fino a tarda sera, glielo diceva il suo sguardo assopito che si drizzava in direzione del lettore ad ogni cambio di canzone per paura che fosse l'ultima. A distanza di anni era facile comprendere che quella musica serviva solo come difesa e persino allora Izuku aveva la sensazione che la madre avesse una paura intima, di cui era vittima inconsapevole: quella del silenzio.
<Perché il nero? I funerali sono tristi proprio per i vestiti che si indossano, non credi? Tuo padre avrebbe voluto un po' di colore, ne sono certa>.
Izuku non sapeva perché avesse intavolato un discorso del genere, ma era piccolo e probabilmente la madre approfittava della sua ingenuità per far scorrere fiumi di parole per metà incomprensibili ad un ragazzino delle elementari.
Dalla seduta della grande poltrona in pelle la guardava con due luminose biglie verdi e a tratti stringeva il cuscino che aveva sulle gambe incrociate. Inko non ricambiava la sua attenzione, tormentava l'angolo delle pagine e a tratti riprendeva a leggere qualche riga. La staticità del suo sguardo faceva intendere che dietro quel viso melanconico vi fosse una grande mente sgombra di pensieri stabili e duraturi, piena di qualche vago ricordo e vuota come le mani che il piccolo Izuku continuava a premere sul cuscino.
<A papà piaceva il nero> aveva asserito a denti stretti credendo che il contraddirla fosse qualcosa da non fare. Ma la sua bocca si muoveva sempre velocemente e dava presto forma alle parole. Diceva solo il vero, di continuo, e mai bugie. Ed era un dato di fatto, di questo era convinto, che suo padre amasse il nero quanto gli altri colori. Il nero è la linea del mondo - il signor Toshinori usava pronunciare frasi davvero enigmatiche, questa era una di quelle - senza non esiste nulla, né, soprattutto, esisterebbe l'arte, che in fondo è un po' come il mondo. Glielo aveva detto molto tempo dopo il commento della madre, quando aveva ormai preso l'abitudine di frequentare la Grand-Rue. Quelle sue parole, miste alle considerazioni di Inko, lo trasportavano avanti e indietro sulla linea del tempo e più non sapeva cosa stesse pensando su quella poltrona troppo grande per le sue gambe affusolate da ragazzino.
<Non quando lo indossavo io, sai? Quando ero giovane e abitavo ancora in Giappone, molte delle mie amiche avevano seguito la moda all'occidentale ed era facile che nei loro armadi fossero appesi tailleur dei toni più sobri ed eleganti. Li si indossava per i colloqui di lavoro e dopo l'ultimo anno di daigaku ne ho fatti così tanti da perderne il conto. Il mio tailleur era uno dei capi su cui tuo padre non spendeva complimenti ed un giorno, dopo l'ennesimo colloquio andato male ed il nostro solito ritrovo in un caffè, mi disse che il nero era uno dei colori che meno mi donava e che era stanco di vederne a decine girare per le strade di Tokyo> Inko aveva chiuso il libro, abbandonandosi con tutta probabilità a quel lontano ricordo che a fatica le aveva fatto incurvare le labbra in un sorriso. <Ho quasi pensato che, secondo la sua opinione, fosse per questo che non ero riuscita ad essere assunta mentre lui, beh...si faceva già strada negli ambienti più ricercati ed in previsione di un salto di qualità nella sua vita lavorativa stava già pensando al matrimonio> Izuku seguiva incuriosito il suo racconto senza capirne la finalità, ma non era del tutto convinto che ve ne fosse una; come aveva supposto prima, forse sua madre stava solo cercando di ammazzare il silenzio che imperversava in quella casa.
<Così ho iniziato ad indossare un tailleur beige, ma nemmeno così ho avuto successo e nell'arco di pochi anni ci siamo sposati e trasferiti all'estero. Lo stesso avevano fatto, poco prima di noi, Mitsuki e Masaru e forse non te l'ho detto, ma è per consiglio loro che siamo finiti qui a Ginevra, dove ho trovato impiego> a conclusione di quel discorso Izuku ipotizzò un "E da allora non ho più messo qualcosa di nero, almeno fino al suo funerale" ed una vibrante sensazione di freddo lo invase. Lui lo aveva capito, che Hisashi fosse scomparso dalle loro vite come una persona qualsiasi, a cui capita un incidente qualsiasi in una giornata qualsiasi, eppure, per quanto non fosse strano immaginare la madre vivere da sola con lui, era difficile mettersi nei suoi panni e capire cosa si provasse a vedere la propria vita cambiar rotta. Niente più lunghe telefonate oltreoceano, né lettere, né saluti al mattino presto prima di un nuovo viaggio, e per Izuku, tuttavia, non sarebbe cambiato molto. Lui avrebbe continuato ad andare a scuola, avrebbe fatto colazione al solito posto a capotavola ogni giorno e avrebbe condiviso la casa con Inko, ma non con il padre, che tornava per brevi periodi e gli dava quell'affetto che alla notizia della sua morte era scomparso dalla sua mente. Aveva premuto il tasto di invio, era passato ad un altro paragrafo e forse la donna che quel giorno stava con lui in soggiorno si chiedeva come il figlio riuscisse a star tanto calmo all'idea di non aver più una figura paterna. L'unica verità era che Hisashi aveva vissuto in lui come una qualche piacevole immaginazione, era stato una figura importante che andava e veniva come una marea lenta e tranquillizzante, pertanto il come lo vedeva e lo ricordava era rimasto invariato. Hisashi era un'ispirazione persino all'epoca e tale sarebbe rimasto, almeno per lui.

La Petite mort -Dekubaku-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora