XI -Città vuota-

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Katsuki aveva l'aria di una persona difficile, senza mezzi termini, brutalmente sincera, ma capace di tacere sulle cose più banali e di qualcuno in grado di consumare vizi come il fumo con la velocità di un battito o, contrariamente, di disprezzare certe cose con tutto se stesso. Il confine tra le due visioni, così era anche per Izuku, era labile.
Seconda volta. Alla prossima potrei rifiutare di fare i tuoi comodi. Il riccio lo aveva riconosciuto dalle sneaker mal allacciate e prive di macchia, e la sorpresa era stata presto sostituita dal più acuto disagio che un incontro inaspettato gli avesse mai suscitato. Oltre a questo, una fastidiosa voce gli suggeriva di strappargli dalla bocca l'oggetto sottratto, tuttavia cercò di ignorarla. Lasciò cadere l'accendino sul suo palmo teso senza sapere se glielo avrebbe restituito, in lui era rimasta la vibrante sensazione che il biondo volesse solo prendere, non da lui in particolare, ma da chiunque, forse dal mondo intero. Non sono desideri strani da incontrare, non negli esseri umani, e riconoscerli è facile come guardarsi allo specchio. Katsuki accese e si rigirò il piccolo parallelepipedo di metallo fra le dita, facendolo roteare come le parole che aleggiavano per quella strada deserta a quell'ora di mattina. Mi hai visto? Mi hai seguito? E se sì, perché? Il riccio si strofinava i polpastrelli, si mordeva il filo delle labbra come sempre, i suoi erano segni di nervosismo ormai inglobati nella  quotidianità e quello che non lo era...beh, era semplicemente la loro causa. L'accendino si chiuse con un "Tlack" metallico e non appena gli fu allungato non esitò nell'afferrarlo e riporlo in tasca sotto gli occhi seri di Katsuki. Aveva preso, almeno gli pareva, a mostrarsi gongolante lì, con un sorriso appena accennato che non poteva aver altra intenzione se non quella di deriderlo. Non era cosa nuova, no? Katsuki sembrava in procinto di proferire una qualche fantasiosa sentenza ed il riccio si ritrovò a ricambiare trucemente l'espressione di rilassata superiorità che gli si stagliava davanti.
Forse era corso in macchina per mettere in moto e andarsene, tornare a casa, per star lontano da sguardi come quello del biondo, di cui sentiva di conoscere più sfumature del necessario. 
<Allora? Niente lezioni oggi?> Izuku scosse la testa.
<Neanche una?> domandò ancora. Izuku si limitò a fare un tiro e buttar fuori aria bianca di fumo e di freddo. Tirò un'occhiata più attenta a Katsuki e capì come avesse fatto ad arrivare fin là in così poco tempo: maglia sistemata alla rinfusa, nessuna felpa, solo un cappotto a rivestirlo decentemente. Abbassò lo sguardo nuovamente e sorrise appena ai lacci storti delle scarpe. In fondo cosa gli era preso? Il disagio gli parve improvvisamente ingiustificato di fronte a tanto disordine.
<Allora qualcuno dovrà spiegare al professor Yamada perché due dei suoi studenti migliori si sono dimenticati di andare a lezione - il biondo inclinò appena la testa, Izuku capiva e non capiva il senso del discorso, ma oramai tanto valeva finire la sigaretta e lasciare che proseguisse - sai com'è, no? Quell'uomo ha occhio per chi si assenta e per te in particolare, studente modello>. A questo punto Izuku decise di ribattere: <Più che a me, sarà a te che riserverà le solite, scomode domande. Sei tu il suo preferito>. Quello scambio di frasi di circostanza doveva concludersi subito, lo pensò intensamente nel far cadere la cenere a terra, perché non avrebbe portato a nulla.
<Davvero?> questa volta fu Katsuki a mostrare un mezzo sorriso con il filtro fra le labbra e quella fila di denti si fece via via sempre più tesa; quando il viso del biondo riacquistò l'anonima serietà di sempre per Izuku fu semplice trovare uno e più motivi per desiderare una terza sigaretta.
<Sei andato via in fretta. Avrai disturbato le classi di tutto il corridoio con il fracasso che hai fatto> e, pur essendo arrivato appena a metà, schiacciò la paglia sul bordo del cestino. Izuku sentí di non poter più negare l'evidenza.
<Vuoi chiedermi di nuovo di non aver visto nulla?> buttò fuori con una nota di fastidio. Era indisposto, per cosa non sapeva di preciso, ma erano tante le cose che potevano farlo sentire così e per lo più tutto ciò che girava attorno al biondo dava l'idea di poter riuscire nell'impresa.
C'era stato un tempo in cui avrebbe potuto affermare il contrario, un tempo in cui avrebbe considerato diversamente il ragazzo che aveva di fronte, ma per come la vedeva quel lunedì mattina la voglia di trattarlo come uno sconosciuto era salita a dismisura. Sentiva di voler fare domande, conoscere per la seconda volta, se possibile, chi aveva conosciuto; tuttavia era maturato nella discrezione dell'osservazione ed era ormai abituato a capire e carpire quel che poteva da chi sembrava piombare senza motivo nella sua vita a più riprese. Dall'infanzia fino agli ultimi anni, Katsuki era comparso e scomparso senza dar mai l'impressione di volersi fermare. Lui, che aveva sempre corso lasciandolo infine indietro, era precipitato giù per le scale dell'accademia all'inseguimento di un qualcuno che avrebbe potuto essere chiunque. Esatto -si disse- non è importante che sia io. Katsuki sarebbe corso al seguito di Iida, di Todoroki, di Ochako, di tutti i loro compagni di corso e di altri e altri ancora, perché la domanda sarebbe stata la medesima per tutti.
<Perché? Chi ti conosce ha poco di cui parlare e per il resto non ti sei mai preoccupato. Per me, infatti, non ti devi preoccupare>.
Ciò detto, non importava il non esser giunto alla fine, spinse quel che restava della paglia sul bordo del cestino e scrollò le spalle con una gran voglia di andarsene; questo era il motivo per cui era uscito dall'accademia, ormai ne era certo. Dal canto suo Katsuki si gustava ogni respiro e guardava nella direzione di Izuku con fare pensieroso. Sì, verso Izuku, ma non Izuku.
Il riccio lo sapeva da sempre che quel ragazzo aveva un viziato disinteresse verso quel che lo circondava, chi gli era stato più vicino lo poteva notar bene e con una certa amarezza capiva che trovarsi a minor distanza non era segno di considerazione. Katsuki non usava, né giudicava, era solo egoista e lo era anche quella mattina di gennaio, sotto il cielo spaccato che sembrava voler mettere a nudo quanto più possibile questo suo aspetto. Con quel fumo spiraleggiante sotto al naso le sue labbra volevano davvero affermare per l'ennesima volta di non aver parole sufficenti per poterne sprecare e donare al mondo.
Izuku non ci volle pensare: se qualcuno doveva trattarlo a quel modo doveva almeno avere un buon motivo e questo non poteva essere il semplice cattivo carattere del biondo; perciò saltò giù dal marciapiede e molleggiando brevemente sui talloni si avviò verso la 911 con le mani infilate nelle tasche. Ignora, sia Katsuki che la ferita mal guarita dell'ego che sin da quando erano bambini lo aveva messo in guardia.
Fu allora che vide per la prima volta qualcosa di diverso nel biondo.
Tra il viso contrariato ed il mozzicone finito a terra non sapeva cosa gli desse l'aria di qualcuno in cui le corde vocali gli si stessero ritorcendo in gola. Si annodavano strette, strettissime, e si ingarbugliavano spasmodicamente sotto la pelle del suo collo pallido, tela su cui, una volta allungata al di sopra del colletto del cappotto, erano sparse macchie rossastre e disordinate. O il fumo lo aveva reso precocemente rauco e sofferente di voce o quel che voleva dire era un mistero talmente doloroso al solo pensiero che il suo stesso corpo si ritorceva per evitarne il supplizio. Ed infine, con quella mano attorno al polso di Izuku, Katsuki sembrava un altro ragazzo. Dita forti, ma incerte, parlarono ad Izuku della neve di dicembre, della festa, di mani di altre persone che lo avevano fermato in quel modo e che, in un conto quasi impanicato, gli parvero pochissime. Forse Ochako aveva compiuto lo stesso gesto quando aveva dimenticato il quaderno in classe e lo aveva rincorso per i corridoi, forse altre ragazze di cui non ricordava i nomi gli avevano chiesto di restare e altre di andarsene, forse Todoroki lo aveva ripreso per qualche suo vizioso comportamento tirandolo per il polso e forse questo elenco incerto non aveva valore e quindi doveva tenere conto solo di sua madre, dei ricordi del padre...e di Katsuki? Perché in fondo si domandava che fine avesse fatto in tutti quegli anni, se con vero interesse o meno era un mistero. Magari era solo annoiato e bastava un nonnulla ad incuriosirlo e per com'era fatto poteva esser già caduto nel fraintendimento dell'ennesima distrazione.
Ma il biondo per quell'unico contatto si era sforzato, chissà perché, di inseguirlo per la seconda volta e ridurre il fatto ad un flebile interrogativo gli suggeriva un senso di smarrimento, lo stesso che provava nel ripensare agli anni passati a ripercorrere a piccoli passi la strada tracciata a gran velocità da un Katsuki più giovane. Ma loro, d'altronde, erano giunti al punto di non saper più il motivo della corsa che avevano ormai abbandonato.
<A nessuno. Devi dirlo o non mi fido> disse con tono contrito e arrogante nel sibilarlo. Il riccio strattonò la presa del biondo e se ne liberò osservando le lunghe dita prima avvolte attorno al suo polso contrarsi nell'aria prima di ricadere al fianco del proprio padrone ancor più irrigidite da tanto si erano strette in un pugno. Izuku girò attorno ai ricordi di una fiducia mal riposta e tornò allo sconosciuto con cui aveva parlato in sere prive di logica. Era sempre stato circondato da persone capaci solo di chiedere, non vi erano mai state eccezioni. Tutto quel che poteva pensare di ridusse ad una semplice constatazione: ti sforzi così tanto, ma non sei diverso dagli altri. Persino Katsuki faceva parte di quelle anime sparse ed irritanti che lo avevano trattato come il ragazzo ben disposto che gli avevano dipinto addosso, perché chiedere un favore era facile, rispondere di no difficile e deludere le aspettative era una condanna. Izuku doveva essere disponibile, Izuku doveva aiutare, Izuku doveva sorridere e se negli anni quest'ultima regola era andata affievolendosi era a causa di parole come "promessa", "fiducia", "segreti". In quel momento Katsuki gli stava chiedendo di potersi aggrappare a questi principi.
Izuku provò un moto di disgusto.
<Non lo dirò a nessuno> fu una rassicurazione a denti stretti, che il riccio sputò fuori solo per potersene andare. Come aveva immaginato: Katsuki pretendeva, pretendeva, pretendeva solamente. Che fosse questa la ragione per cui il Kacchan di un tempo era diventato un ricordo sbiadito? Perché faticava a rievocarne l'immagine?
Ed il Katsuki che aveva di fronte era il nulla scaturito dall'adolescenza, inacidito dalla crescita, lui era distante ed Izuku non lo vedeva più come una volta. Lui faceva parte di quell'ombra di movimento che sfuggiva alla vista della sua arte, che da ragazzino lo spintonava giù dalla propria nuvola confortante; forse, ancora, era questa la ragione per cui Izuku era tanto a disagio nel mondo, poiché cadervi è diverso dal discendervi.
<Idiota!> La voce del biondo si alzò all'improvviso, offesa, ferita o entrambe le cose. Il riccio si tenne stretto mentre un venticello gelido si insinuava fra i loro vestiti. Era l'aria di gennaio, strascico di dicembre, che si rafforzava prima di febbraio, mese di mistero in cui le temperature si divertivano a scendere e salire. Il viso di Katsuki era pallido come la nebbia, perché Izuku si dimenticava che non fosse una persona, ma un fantasma e si stupiva di poterci parlare, di poterlo vedere ed ascoltare. E quello spettro si mosse verso di lui, mettendosi dritto a confronto con le sue giade. Sentì pizzicare la punta del naso quando avverti il suo odore: sapeva ancora di affanno, di pelle, di indiscrezione. Katsuki non lo poteva sentire, ma ne era saturo, e si portava addosso i rimasugli delle proprie avventure in mezzo a quella strada deserta, sotto agli occhi di chi ne conosceva le tracce.
<Non lo capisci?! Non lo sanno, nessuno di loro lo sa, nemmeno i miei genitori! Per qualche malcapitata coincidenza lo sai tu ed io mi dovrei accontentare di un "Non lo dirò a nessuno" detto da uno che mi guarda a quel modo?! Cos'è? Ti faccio così ribrezzo?!!>.
Perché? Come ti sto guardando? Izuku non lo sapeva, non badava alla propria espressione, e per questo non si era reso conto di quanto apparisse indisposto verso Katsuki, il quale allungò nuovamente le mani verso di lui. Questa volta le strinse bene attorno al colletto, Izuku lo lasciò fare.
<Anche quel ragazzo, in bagno, aveva la stessa faccia. Se ti dico che gli assomigli la smetterai? Dovrei essere io quello più disgustato, non credi?! Io. Non tu> ed il ricciò si sentì sporcato da quelle parole. Katsuki sapeva, chissà come, che ad Izuku avrebbero dato fastidio, che esser paragonato a qualcuno di così anonimo da esser finito a fare l'usa e getta per il biondo lo avrebbe scosso. Izuku parve contrariato. Lui, ad esser calpestato dal biondo, aveva passato anni.
<Ecco> disse poi spingendolo via, sbilanciandolo e lasciandolo andare. Izuku fece un passo indietro per non inciampare, sentiva mille parole fermarsi in gola e non sapeva quali scegliere.
<Sai? Io so che loro non diranno nulla perché sono codardi e preferiscono sbrigarsela con me e far finta di nulla. Perciò o mi dai la tua parola o finisci per essere come uno di quelli> le intenzioni di Katsuki sembravano indecifrabili. Grattava con le suole sull'asfalto, lo fissava imperscrutabile. Izuku capì che Katsuki era stato prevenuto con lui, che non si sarebbe mai fidato delle sue parole, come di nessun altro, perché era più tranquillo a farsi una sveltina nei bagni dell'accademia che a star lì a parlargli. Riponeva maggior fiducia in degli sconosciuti, sconosciuti con cui Izuku non voleva competere. Stava in silenzio, il punto in cui Katsuki lo aveva allontanato avvertiva ancora la pressione delle sue mani e gli dava un senso di incompletezza, il medesimo che traspariva dal cielo, se non dal mondo intero in quella mattina di gennaio. In un certo senso Izuku sapeva che Katsuki, più che spintonarlo, avrebbe preferito dargli un pugno ed in fondo non lo biasimava. Se avesse potuto, si sarebbe picchiato da solo. Non ne aveva voluto sapere nulla del biondo, non fino a dicembre ed era orribile il fatto di non sapersi comportare di fronte a lui, perché si chiedeva Come si fa? Come ci si comporta con chi non ti parla mai, con chi non ti saluta, con chi era tuo amico ed ora non lo è più, con chi appare improvvisamente ferito davanti ai tuoi occhi, ma senza volerlo?
Izuku in vero capiva quello che gli stava dicendo e lui era sempre stato pessimo nel trattare certe situazioni. Glielo aveva detto, di sentirsi come se il mondo si stesse sfaldando, sulla terrazza di Veyrier, mentre Mitsuki e sua madre ridevano in salotto, ma il riccio non voleva reagirvi. Era troppo lontano il tempo in cui riuscivano a sentirsi vicini. Ciò che portava Katsuki era solo contraddizione per Izuku, dall'ignorarlo al rincorrerlo per i duri gradini di pietra dell'accademia, dal dire di non potersi fidare di lui al farlo a più riprese perché il riccio era inciampato nella sua vita settimane addietro.
E cosa voleva dire sentire il mondo sfaldarsi sotto ai propri piedi? Voleva dire avere due genitori che litigano, che finiscono per divorziare e spezzare qualcosa nel loro figlio, voleva dire crescere e non cercare mai aiuto, darsi senza remore, darsi per conoscersi, capirsi e sbagliare tante scelte, a volte farne di giuste, ma rimpiangere di non aver optato per la strada errata, voleva dire che alla loro età era troppo semplice ferirsi e sempre più complicato sapere cosa si vuole, chi si è, perché si preferisce una cosa ad un'altra. Perché a quell'età ci si pongono tante domande e se anche si sa la risposta si fatica ad accettarla. Questo Izuku lo sapeva perché, come Katsuki, persino lui non era così diverso dagli altri.
<Che cosa vuoi da me?> Il biondo strabuzzò gli occhi in un moto di sorpresa. Qualcosa aleggiò nei suoi rubini come un pensiero subito messo da parte e la sua espressione si fece via via più distorta, stanca, quasi sfibrata.
<Io voglio...- iniziò, ma la voce si affievolì presto e qualsiasi frase volesse pronunciare andò persa per far spazio ad un'altra -...Io non capisco perché tu sia finito in mezzo a tutto questo>. A quel punto distolse lo sguardo, scuotendo piano la testa e nascondendosi sotto ciocche bionde sospirò.
<Tutto qui? Qualcosa sfugge al tuo controllo e quindi hai il diritto di tornare a parlarmi dopo tutti questi anni? Forse quello che non capisci è che io non volevo essere coinvolto e che sei stato tu a dirmi dei tuoi genitori, a non esser discreto in qualsiasi cosa tu stia facendo della tua vita. Perché lasciatelo dire: non sono io il tuo problema, se avessi ripensato anche solo una volta a chi sono sapresti che non sarei mai in grado di spargere la voce che te la fai nei bagni della scuola. Io non sono quel tipo di persona> così gli puntò un dito sul petto, con forza, e Katsuki tornò a fissarlo senza alcun accenno al voler ribattere. Izuku riprese il discorso: <Sei pessimo, soprattutto nel valutare gli altri. Non badi persino a quelli che ti porti a letto, perché tanto loro non parlano, giusto? Se ora sei qui a lamentarti del mio coinvolgimento mi chiedo che cosa cazzo farai quando uno di quelli si lascerà sfuggire qualcosa. Chissà, magari penserai che sia stato io>.
In fondo gli importava del suo giudizio, di non esser uno dei tanti che avevano ferito il suo orgoglio, ma nemmeno uno dei tanti che avevano mostrato accondiscendenza al suo cospetto. E di punto in bianco Izuku espirò con frustrazione, sbiancando piano piano e sentendosi intorpidito dal freddo. Non voleva parlare così tanto, ma le frasi si erano precipitate fuori dalle sue labbra come un fiume in piena. Il suo corpo era teso, capì che non aveva finito, che doveva continuare, chiedere anche lui delle spiegazioni, perché Katsuki non aveva diritto di trattarlo a quel modo, come...come se non lo conoscesse.
Abbassò la mano, sotto il suo indice il cotone della maglia del biondo si era tirato e mentre tornava a distendersi Izuku pensò a cos'altro dire. Ma gli occhi di Katsuki non lo guardavano più e senza quel contatto tutto ciò che poteva aggiungere fu spazzato via dall'aria della città. L'odore del freddo gli intorpidì i sensi e la mano del riccio, a mezz'aria fra i due, si trovava al confine di uno spazio impossibile da reclamare. Katsuki era avido di libertà ammantate di costrizioni ed Izuku di un nuovo, ma antico silenzio, lo stesso che per lungo tempo li aveva accompagnati fino a poche settimane prima. Era possibile tornare ad ignorarsi? Nessuno dei due voleva saperlo. Erano in mezzo, proprio come la mano di Izuku, e avevano perso la voglia di discutere; forse non c'era altro da mettere in tavola, forse bastava il giudizio che entrambi si stavano rivolgendo e che li portava a capire che riavvolgere il nastro non era un'opzione.
<Non-> iniziò Katsuki senza finire.
Le scarpe del biondo continuavano a grattare piano sull'asfalto, la strada accoglieva il sibilo del vento, il suono del traffico era più vicino ed il braccio del riccio si slanciò in avanti mentre i piedi indietreggiavano. Tirò Katsuki con sé mentre un'auto passava proprio dove prima si erano come pietrificati. Il biondo ingoiò un respiro, Izuku non guardò alle proprie spalle e si appoggiò inaspettatamente alla sua 911. La vettura era gelida, la sentiva da sotto i vestiti. Katsuki puntò un palmo contro il bordo del tettuccio per non sbilanciarsi e finirgli addosso. Izuku respirò piano mentre il biondo soffiava un "Grazie, ma levati" vicino al suo viso e si scrollava dal braccio la sua mano.
<Scusa> si lasciò sfuggire.
<Mh? Per cosa?> chiese l'altro rimettendosi in equilibrio.
<Non volevi dire che non sono affari miei?>. Un altro sospiro, Katsuki si mise al fianco del riccio facendo traballare appena la macchina. Si guardò attorno, un po' smarrito e un po' annoiato, per poi restare a fissare assorto l'ingresso dell'accademia.
<Sì, volevo dire quello> gli confermò con distrazione, come se non avesse molta importanza che Izuku lo ascoltasse e quel "Non sono affari tuoi" restasse ad aleggiare fra loro senza esser pronunciato.
<Ho lasciato la mia roba nei bagni> e se ne uscì così, a pensieri aperti, senza che il riccio capisse subito a cosa si stesse riferendo. Si diede una spinta, si rimise in piedi, si allontanò con quel suo passo schivo e veloce. Le sue spalle erano strette, il portamento rigido, ma Izuku per contro si rilassò. Lasciò indietro il discorso giunto ad una semplice inconclusione e si infilò le mani nelle tasche. Rigirandosi l'accendino fra le dita capì che quel piccolo oggetto era davvero stato usato da un fantasma, che era la prima volta che qualcuno all'infuori di lui lo accendeva. In quel momento una goccia di pioggia si precipitò sulle sue scarpe ed un'altra sua compare picchiettò sulla carrozzeria della 911. Il loro rintocco scandì gli ultimi secondi in cui rimase a gustarsi l'inizio della pioggia. Finalmente il cielo aveva deciso che forma avere.

 Finalmente il cielo aveva deciso che forma avere

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Buongiorno cari lettori!Sono di fretta perché fra poco ho lezione, perciò vi lascio a soppesare il capitolo (mi scuso inoltre per eventuali errori, provvederò a dare un'altra lettura più tardi per vedere se mi è sfuggito qualcosa)

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Buongiorno cari lettori!
Sono di fretta perché fra poco ho lezione, perciò vi lascio a soppesare il capitolo (mi scuso inoltre per eventuali errori, provvederò a dare un'altra lettura più tardi per vedere se mi è sfuggito qualcosa). Sono curiosa delle vostre impressioni e spero che la storia sia di vostro gradimento.
Gentili saluti,
un'autrice che si è svegliata tardi (ʘᴗʘ✿)

La Petite mort -Dekubaku-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora