chapter 14

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La solitudine è l'auto distruzione dell'uomo

Questa frase Taehyung la sentiva sua. Era sempre stato abituato alla solitudine, era rimasto solo fin dalla tenera età, ma in quel momento, seduto sul pavimento della sua camera, al buio, Taehyung si sentiva morto, spento.

Aveva davvero sperato che l'esternare i suoi sentimenti per quel ragazzo lo avrebbe portato sulla strada della felicità. Nessuno lo aveva mai trattato con la gentilezza e la dolcezza che usava Jungkook con lui. Si era innamorato di una persona buona di cuore e pura. Pura come il colore bianco. Ma il pittore doveva mettere in conto che l'amore non è sempre corrisposto, e che la cordialità di una persona verso un'altra potrebbe essere solo data dell'educazione ricevuta e non per forza da dai sentimenti.

Taehyung non era andato al lavoro il giorno dopo. Aveva chiamato Yuna dicendole che gli era venuta la febbre e si era messo in malattia.

Aveva il cuore troppo spezzato per riuscire a disegnare o dipingere quadri senza cadere nell'oscurità. Era quasi sicuro che se mai avesse preso in mano un pennello, quello che ne sarebbe venuto fuori, sarebbe stato solo ed esclusivamente un colore: nero. Nero come la morte, nero come la paura, nero come la corazza che aveva costruito intorno al suo cuore ma che Jungkook era riuscito a crepare talmente tanto da vedere uno spiraglio bianco di luce.

Jungkook non si era alzato dal suo comodo letto neanche per mangiare. Non che ne avesse davvero bisogno, ma stava iniziando a trovare quasi normale quella routine che comprendeva l'alzarsi dopo essere stato ore e ore sul letto - lui non dormiva mai - e mangiare qualcosa. Aveva scoperto di amare il caffè con due zollette di zucchero, e il gusto dei pancakes, che aveva imparato a cucinare, gli stimolava le papille gustative. Ma quel giorno non aveva né le forze per alzarsi né per cucinare. Si sentiva come un pupazzo senza vita. La testa gli scoppiava per tutti i pensieri che la sua mente partoriva, e il suo stomaco era come vuoto. Come quando sei sulle montagne russe ed improvvisamente la giostra inizia ad andare su e giù, destra e sinistra, e tu senti alla bocca dello stomaco quella strana sensazione.

Era preoccupato per il ragazzo che aveva ferito e voleva davvero correre il più velocemente possibile verso di lui e abbracciarlo scusandosi per averlo trattato così male, ma purtroppo sapeva bene anche lui che non poteva spiegargli il perché delle sue azioni.

Si alzò dal letto come uno zombie; i capelli erano sciolti e disordinati, gli occhi rossi per il pianto e gonfi come se avesse preso davvero le sembianze di un demone.

Andò in cucina solo per bere un po' d'acqua fresca per rinfrescare la gola secca e dolente per colpa delle urla che aveva fatto uscire fuori subito dopo che Taehyung aveva lasciato quella casa.

Una voce nella testa, anzi, quella voce nella testa, lo distrasse dai suoi pensieri amari. 

"Angelo Jungkook-" Il suo superiore, Namjoon, lo richiamò con un flebile sussurro, come se non volesse disturbare il suo animo tormentato. "Jungkook, mi dispiace per quello che hai dovuto compiere, ma sono contento che non ti sia fatto prendere da quei sentimenti umani ancora una volta." 

Jungkook rise di una risata amara. "Risparmia le parole Namjoon, non sono in vena di complimenti." Mai, mai aveva parlato così informalmente al suo Signore da quando Il Grande Dio lo aveva promosso Superiore e Signore degli angeli. 

"Jungkook, ascolta, non potevi fare altrimenti, e questo tu lo sai bene." Sentì qualche secondo di silenzio prima che la voce ferma ma non autoritaria di Namjoon gli tornasse a rimbombare nella mente. "Io ho deciso di accettare questo ruolo anche per proteggere te, non fosse stato per me il Grande Dio ti avrebbe già mandato negli inferi con l'angelo della morte, e questo te l'ho sempre detto Jungkook. Ho trovato io questa scappatoia per te, non avrei mai voluto ferirti." 

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