8 - Perché sull'autobus piangevi?

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Leon si era congelato alla vista del coltello che Victor ruotava con calmezza nella mano.

Non staccava gli occhi dalla lama. Il suo istinto di sopravvivenza si risvegliò solo quando Vic si mosse nella sua direzione con passi lenti e sguardo minaccioso, inclinando il metallo lucente per farne scintillare il riflesso.

Leon camminò all'indietro per qualche metro fin quando, superata un'aula, fu nell'ombra. In quell'istante ruotò sul posto per scappare a corsa.

Un clacson squarciò il silenzio, delle gomme strisero. Un tonfo sordo.

Leon venne investito.

Due persone si fiondarono sul posto per soccorrerlo. Presto crebbe una folla attorno a lui e al suv, gentaglia accorsa solo per mera curiosità.

Victor non sapeva cosa fare. Con lo stomaco che lo devastava, era piegato in due dal senso di colpa. Ma in preda al panico e alla paura, scappò.

Dentro di sé era in corso un combattimento.

Da una parte il profondo desiderio di fargli del male e, dall'altra, il rimorso per ciò che a causa sua Leon avrebbe subito. Si domandò cosa sarebbe successo se non fosse sopravvissuto?

Ma era troppo tardi e non poteva tornare indietro.

Si promise che avrebbe fatto finta di niente. Doveva almeno provarci.

Che le telecamere fossero spente ne era certo, da anni quello era l'angolo dello spaccio. Dubitava che le cose fossero cambiate sotto la stessa presidenza.

Passò oltre la propria auto che aveva parcheggiato lungo la strada che conduceva alla scuola e si diresse verso la fermata dell'autobus. Dallo sguardo inquieto dei passanti, si rese conto di avere ancora il coltello nella mano. Le vene pulsavano da quanto forte lo stringeva. E provò quasi dolore alle dita. Richiuse il coltello e se lo infilò in tasca. Capì di non essere affatto nelle condizioni di guidare.

Una parte razionale cercava in tutti i modi di prendere il sopravvento su di lui e condurlo verso casa, senza dare di matto, con un fare da morto che cammina per non attirare l'attenzione, ma il resto del corpo lo tradiva. Si sentiva bollire lo stomaco, gelare la testa e le braccia, venir meno le gambe che a volte gli parvero di star per cedere del tutto.

«Hey, aspetta!»

Victor si voltò così lentamente da chiedersi se fosse ancora sveglio o se stesse per svenire, quando la sentì, Cloe.

«Che c'è?» Rispose freddo.

«Ho preso il pranzo alla mensa anche per te. Ho pensato che potremmo mangiarlo a casa tua. Che ne dici?» quando lei alzò lo sguardo e incrociò i suoi occhi spaesati, aggiunse «Scusa, Vic, alle prove non mi ero accorta che ti sentissi male. Facciamo un'altra volta?» e sorrise.

Lui annuì. Le posò un bacio soffice sulla guancia ed entrò sul bus. I suoi movimenti sembravano morbidi come la seta. Probabilmente aveva già la febbre.

Victor non si sedette. Rimase in piedi, aggrappato al corrimano di metallo per non perdere l'equilibrio. Non deviò lo sguardo dalla strada neanche un secondo lungo tutto il tragitto. La sua mente era altrove. Singhiozzò. Singhiozzò ancora. Si asciugò gli occhi col polpastrello del pollice che poi strofinò sul pantalone.

Giunto alla fermata vicino casa, scese e sentì il telefono vibrare.

«È successo qualcosa? Perché sull'autobus piangevi?»

Lui si passò una mano sul viso e si girò per osservare un'ultima volta il mezzo prima che questo ripartisse.

«Ma fai sul serio? Mi stavi seguendo?»

TI TERRÒ AL CALDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora