QUATTRO

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Abel era certo di non avere mai messo piede all'interno di un vicolo tanto puzzolente quanto quello in cui si trovava in quel momento.

Si mosse a passi piccoli, senza poggiare del tutto le suole sull'asfalto, raso muro, prestando attenzione a non sfiorare la parete al suo fianco destro con i propri vestiti.

Era disgustato. Nauseato. E non era neppure arrivato nel punto preciso da cui tutto quel fetore veniva in buona parte scaturito.

Neppure Rudi e Ada avevano mai puzzato tanto dopo essersi rotolati nelle pozzanghere. Mama Gesche li aveva rimproverati spesso, quando erano stati cuccioli, per quei loro giochi poco umani che li facevano spesso puzzare di cane bagnato e marciume. Ricordi di radi momenti di serenità, quando ancora il mondo sovrannaturale non era stato scoperchiato, quando potevano rotolarsi nelle pozzanghere ed essere additati semplicemente come dei bambini strani, senza che nessuno si azzardasse a contattare l'A.S.S.S. chiedendo di indagare su di loro – tempi in cui nemmeno era esistita l'Associazione Sanitaria per la Salvaguardia della Specie.

Tempi sicuramente più sereni, dove tutto sembrava più semplice. Persino essere un cucciolo umano tra i non umani gli era parso, allora, una cosa semplice, del tutto naturale.

Finché non era arrivata la Legge.

Scosse la testa, si fece forza e compì ancora qualche passo nel vicolo, avvicinandosi sempre più all'agglomerato di gente che si trovava sul fondo.

Gli mancavano Rudi, Ada e Mama Gesche. Anche gli altri. Ma loro tre quasi più di Saul. Anzi, sicuramente più di Saul e gli altri. Gli unici che, insieme a Hauke, non lo avevano mai fatto sentire un ospite indesiderato. Gli unici che lo avevano sempre trattato alla stregua di uno di famiglia.

Se Abel non era stato trasformato – o peggio, ucciso – da Saul, era stato proprio perché Mama Gesche non aveva voluto. Perché lo aveva accolto, lo aveva stretto al suo petto, quando era stato solo un mucchietto di ossa cencioso. L'aveva curato, nutrito, amato e messo nella stessa culla insieme altri suoi due cuccioli, senza battere ciglia. Crescendolo come se fosse cucciolo suo anche lui, proprio come Ada e Rudi, senza distinzione alcuna.

E, a distanza di più di venticinque anni, Abel stava rischiando di tradire la sua famiglia.

Ansimò a causa dell'ansia e se ne pentì subito. C'erano dei cassonetti dell'immondizia che puzzavano – anche se sicuramente meno della cosa che si trovava in fondo al vicolo – e tutto quello schifo parve riempirgli naso e gola.

Baker e Wagner erano fermi in un angolo, parlottavano tra di loro, mentre altri uomini e donne si muovevano nello stretto spazio, urtandosi accidentalmente con estrema facilità.

C'era davvero un sacco di gente, tanto che Abel si domandò se non fosse stato invitato a una festa clandestina a propria insaputa.

Peccato che il presunto festeggiato fosse morto – o almeno, così gli avevano detto quando, circa un'ora prima, lo avevano contattato per recarsi lì.

Giunse a meno di cinque passi dalla propria destinazione e venne sopraffatto da un fetore tale che il suo stomaco si contrasse istintivamente. Gola, bocca e naso si serrarono all'unisono, forse nel vano tentativo di salvaguardarlo. Ma era già troppo tardi e si trovò costretto a ricacciare nello stomaco la bile.

-Buongiorno- bofonchiò, senza azzardarsi ad avvicinarsi di più alla cosa.

Non riusciva neppure a dargli una forma, un nome. Distolse lo sguardo da lì, posandolo sui due poliziotti, anche se il cervello premeva affinché saziasse la sua curiosità, tornado a fissare quel punto.

-Buongiorno- rispose l'Agente Wagner con fare gioviale, mentre il suo collega aggrottava la fronte indispettito.

-Alla buon'ora-

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