OTTO

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Scattò indietro per istinto, cercando di allontanarsi da lì. Ma poi rammentò le parole di Saul. I suoi dubbi su di lui. Si fece forza e tornò ad avvicinarsi al letto.

Tentò di estraniarsi, proprio come se stesse osservando la scena di un film, di un documentario di medicina. In quel momento comprese perché i poliziotti avevano fama di essere stronzi, di essere privi di tatto, di avere la battuta troppo facile davanti situazioni dove sarebbe stato meglio tacere.
Lui si sentiva già coinvolto.

Si stava già domandando chi erano i due nel letto, se quella in cui si trovavano era la loro casa.
Se avevano aperto la porta al proprio assassino, se lo avevano ospitato.
Se lo conoscevano, se gli era amico.
Oppure se avevano pensato di fare un'opera di bene accogliendo un estraneo.

Si domandò se erano stati aggrediti mentre dormivano, mentre facevano l'amore.
E si domandò pure se le precauzioni che aveva adottato lui stesso per rendere la sua di casa sicura fossero sufficienti, oppure no.
Se il prossimo della lista dell'assassino fosse lui stesso.

Magari sarebbe uscito dalla doccia, come quella mattina, e invece di vedere Saul fare irruzione nel bagno, si sarebbe potuto trovare faccia a faccia con l'essere che aveva fatto fuori quelle due persone.

Deglutì. Era controproducente. Tutti quei pensieri erano folli.

-Tutto bene?- domandò l'Agente Wagner, accarezzandogli una spalla con gentilezza. Abel girò la testa di scatto nella sua direzione. -Questa volta è difficile per tutti- mormorò l'uomo.

Lo vide spostare lo sguardo sul collega. L'Ispettore Baker teneva gli occhi bassi, le mani nelle tasche dei pantaloni, le spalle curve. La poliziotta che lo aveva condotto lì pareva sparita. Se ne accorse proprio in quel momento: erano rimasti da soli.

Annuì e tornò a fissare il letto. Doveva cercare di concentrarsi sulle cose non umane che sicuramente ai poliziotti sarebbero sfuggite e riferire tutto a Saul. Fare in modo che Saul risolvesse il problema dall'interno, che non scoppiasse un putiferio con tanto di altisonanti titoli giornalistici a suon de "Il mostro di Idestein", "Licantropo terrorizza la popolazione".

Doveva darsi delle priorità.
Aiutare quelle povere vittime a trovare giustizia.
Tirare fuori la comunità sovrannaturale da quella storia.

Si concentrò sulle ferite, mentre la bile tornava a salirgli in gola. La ricacciò indietro.

Fai finta che... – si ripeté mentalmente più volte. Iniziò presto a sentirsi disperato. Non vedeva assolutamente niente. Solo sangue. Forse avrebbe dovuto alzare lo sguardo, ma era una cosa che proprio non voleva fare. Si concentrò sui piedi, di nuovo. Una ferita sopra il tallone di uno dei tre. Mancava un piede. Forse era rimasto coperto dal lenzuolo – forse.

Fai finta che... che cosa? Non lo sapeva neppure lui.

-Io riconosco i morsi dei membri del Clan-

I morsi. Dov'erano i morsi? Dov'erano i segni dei denti?

Non ne vedeva.

I contorni della ferita in questione erano troppo lisci.

Spostò lo sguardo, sentendosi sempre più alienato. Analizzò un'altra ferita. Anche lì, nessuna impronta. Sembrava essere stata inferta con una certa precisione.

Era tutto sbagliato.
Tutto insensato.
Dov'erano i morsi?

Se avesse vomitato di meno durante la prima scena del crimine e guardato con più attenzione la vittima, anche in quel caso, si sarebbe accorto che qualcosa non tornava?

Oppure stava riempiendo i buchi con la propria immaginazione e soltanto perché, dentro di sé, aveva già deciso che l'assassino non poteva essere un licantropo?

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