Capitolo 6.

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Aspettai Alessio e dopo due minuti- avevo come l'impressione che si fosse affrettato- uscimmo dal locale.
«Ti piace lavorare qui?» gli chiesi, per avviare la conversazione. Mi sembrava stranamente facile parlare con lui.
«Non è male, devo dire. Certo, non è come
essere un cantante di fama internazionale, ma ci può stare»
«Sicuro, ci mancherebbe» risi, «E lavori da tanto?»
«Credo sia quasi un anno e mezzo. Comunque sia, lavoro solo l'estate. Fino al trenta di settembre, poi ho finito»
«Aspetta, ma questo bar ha aperto l'altro giorno, come fai a...»
«È l'unico bar che conosci?»
Risi.
«E come mai hai deciso di venire qui?»
Lui scrollò le spalle.
«Abito letteralmente qua sopra. È più comodo»
«Ma l'altro giorno- o ieri, non ricordo- non c'eri tu al bancone»
«Avevo appena finito, infatti ero lì, no?»
«Ho capito»
«E tu?»
«Io non lavoro» feci una risatina.
"Non intendevo solo di lavoro. Cosa ti piace fare, insomma... cose così"
«Ah, sì», borbottai, «Io... be', è dire il vero non c'è molto da sapere su di me»
«Impossibile. Tutti hanno qualcosa da raccontare» «E tu? Ce l'hai qualcosa da raccontare?»
«Certo, ma l'ho chiesto prima a te»
Lo guardai male.
«Va bene, hai vinto. Ecco, vediamo, io... amo scrivere. Ogni volta che non so cosa fare scrivo. Poi...
Mi piace viaggiare, anche se non ho viaggiato chissà quanto. Inoltre mi piace la musica, la pioggia ma anche la neve, i tramonti ma anche le stelle. Mi piace anche leggere, oltre che scrivere, ovviamente...»
Alessio mi stava guardando in un modo strano, e mi bloccai immediatamente. Avevo paura di averlo annoiato.
Accidenti, ma perché avevo parlato così tanto?
Non ero capace di parlare di me, non l'avevo mai fatto, con nessuno.
«Cosa succede?» voleva sapere.
«Scusa, ti starò annoiando sicuramente. Tu...»
«Non mi stai affatto annoiando. Te l'ho chiesto io di parlare»
In effetti aveva senso.
«Dai, continua»
«No, davvero, non è importante»
«Per favore»
Rimasi stupita di nuovo.
«Dicevo... non mi ricordo. Comunque, amo il nero, si vede?» dissi, indicando il mio outfit.
«No» scherzò lui.
«Amo la Luna. Non è bellissima?»
«Sì» ridacchiò.
«Amo passeggiare di notte, amo i film horror, amo i cani, il caffè... non so, credo di non avere più niente da dire. Tu?»
«Anche a me piace scrivere» disse.
«Frasi? Storie?»
Esitò.
«Canzoni»

Rimasi stupita per la terza volta.
«Cosa?! Davvero?»
«Sì, Mrs. Domande Ovvie, per quale motivo te l'avrei detto, sennò?»
Ignorai il suo sarcasmo.
«E da quanto?»
«Da molto, in realtà» fece una smorfia irritata.
«Che c'è?»
«Niente, non so nemmeno perché te l'ho detto. Lo faccio tanto per passare il tempo»
«Ma ne hai mai pubblicata una?»
Ora volevo sapere.
«Cosa? No, no. Non ci ho nemmeno mai pensato»
«E ti piacerebbe?»
«Ehm... sì, credo»
«E allora perché non lo fai?»
Fece spallucce.
«È uno di quegli stupidi e ridicoli sogni nel cassetto che rimarranno chiusi lì dentro per sempre»
Cosa?
Queste cose mi facevano infuriare.
Sarei anche potuta essere la peggior stronza del pianeta, ma quando una qualcuno non inseguiva il proprio sogno, il sogno che lo rendeva felice, per chissà quale strano e irrilevante motivo, diventavo una ridicola psicologa delle medie. Mi spuntò un sorrisino al pensiero, ma poi tornai immediatamente ad essere seria.
«Alessio, quando una cosa ti piace e ti fa stare bene- presumo che ti faccia stare bene, altrimenti non lo faresti- non è mai stupida e ridicola, okay?»
Scoppiò a ridere fragorosamente.
«Che c'è?» dissi.
Si sedette e mi invitò a fare lo stesso.
«Sembri la mia psicologa delle medie» disse ancora ridendo, e io sbiancai.
Io avevo pensato una cosa e lui l'aveva detta.
Che ridicola scena da film romantico- drammatico.
«Che ho detto? Perché fai quella faccia?»
«Niente, però pensaci, capito? E quando ti convincerai- perché lo farai- voglio essere la prima a saperlo» dissi, sottolineando l'ironia nell'ultima frase.
«Senza alcun dubbio»
Si stava letteralmente sganasciando dalle risate.
«Sulla prima parte sono seria, però» dissi in tono severo.
«Va bene, va bene, ci penso»
«Bene»
Aprì lo zaino e vi cercò qualcosa al suo interno.
«Vuoi?» chiese.
Abbassai lo sguardo e vidi che aveva in mano due bottiglie di birra.
«Oh, grazie, ma sto... cercando di smettere»
«Smetterai da... be', dopo questa. Per favore» disse, facendo una faccia che mi fece tenerezza.
Alzai gli occhi al cielo e acconsentii.
«E va bene, ma solo perché sei tu» scherzai.
«Ovviamente»
E aprì le due bottiglie.

Un'ora e mezza dopo Alessio mi stava mostrando tutti i suoi posti preferiti del suo quartiere.
Mi piaceva sentirlo parlare di San Lorenzo perché ne parlava con una bellissima luce negli occhi.
«Si vede che ci tieni» dissi sorridendo.
«Sì. Davvero tanto. Ci sono cresciuto. In questo posto ho passato tutti i momenti più belli, che mi hanno segnato, e i più brutti, che mi hanno fatto crescere. Non penso che me ne andrò mai»
«E hai tanti amici?»
«Di amici veri ne ho pochi, ma più che amici sono la mia famiglia... mi sostengono in tutto, e ci sono sempre. Uno dei più importanti purtroppo è a distanza: si chiama Marco ed è di Napoli. Ci siamo conosciuti su un gruppo Facebook, gli voglio davvero un gran bene. Anche lui è... anche lui scrive canzoni»
«Che bello. Avere un amico con cui condividere la propria passione, intendo...»
«Già. Be', bello San Lorenzo, vero?»
«Sì. Non ci vengo spesso, forse qualche volta il sabato sera, ma è bello»
Sorrise, come se fosse fiero che il suo quartiere mi piacesse.
«Strano che non ci siamo mai incontrati»
«Dici?»
«Forse sì»
«Roma è grande»
Fece come per dire qualcosa, poi fece un sorrisetto e si fermò.
«Che ore sono?» chiesi.
«Le 19:00»
«Cosa?! Già?»
«A quanto pare. Vuoi... ehm, vuoi salire?»
«Dove?»
Eravamo di nuovo in piazza e supposi che il palazzo davanti a noi fosse casa sua.
Per la prima volta, dopo molte ore, ripensai a Federica, e al fatto che non avevo guardato il telefono nemmeno per un secondo.
Non era un buon segno.
Federica...
Afferrai il telefono, e mi agitai quando vidi le dieci chiamate perse e i venti messaggi.
Avrei dovuto mettere la suoneria.
«A casa mia»
Alessio stava ancora aspettando.
«Ehm, scusa, adesso non posso. Devo...»
«Camilla!» urlò una voce.
Mi voltai.
«Fede, scusa, mi sono dimenticata di guardare il...»
Mi interruppi, perché capii che non mi stava ascoltando.
Stava guardando Alessio con una stranissima espressione negli occhi. Vuota, quasi.
Mi girai e notai che lui stava facendo esattamente la stessa cosa.
«Ma che cosa...» sussurrai.
Si girò verso di me.
«Be', ci vediamo» disse, senza nemmeno guardarmi in faccia, e aprì il portone, per poi salire le scale di corsa.
«Eri con lui?» esordì.
«Perché? Lo conosci?»
Non rispose, ma la risposta me la diedi da sola.
«Perché vi guardavate così?»
«Così come?»
«Non ci credo, fai anche finta di niente?»
Continuò a non rispondere.
«Mi dici perché eravate insieme? E come vi conoscete?»
«Sono cazzi miei, onestamente. Cosa c'è, state insieme?»
Scese il silenzio.
«Senti, andiamo a casa»
«Non ci vengo a casa tua»
«Stai davvero piangendo?»
«Non sto...»
Iniziai a vederci sfocato e sentii un sapore salato sulle labbra.
Okay, forse stavo piangendo.
Un attimo... perché stavo piangendo?
In quelle ore mi ero affezionata ad Alessio più di quanto io avessi mai lasciato intendere.
Avevo raccontato quasi più cose a lui in qualche ora che a tutte le persone che conoscevo messe insieme.
E se davvero stavano insieme?
Se fossero stati insieme in passato?
Cosa era successo tra di loro?
E a me, importava qualcosa?
Lei stava ancora cercando di spiegarsi, ma io non volevo sentire una parola di più.
«Non me ne frega un cazzo, okay? Né di lui e né delle tue spiegazioni» dissi, sperando che non potesse sentirmi, dal momento in cui eravamo sotto casa sua.
Non era così. Ero andata a cercarlo, ma era meglio che nessuno lo sapesse.
«Vado a casa. Non. Scrivermi» chiarii immediatamente, minacciosa.
Senza preoccuparmi di cosa stesse rispondendo, mi misi a correre per arrivare in fermata.

Quel ragazzo di San Lorenzo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora