Capitolo 2.

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Appena entrammo ci dirigemmo subito in segreteria.
«Buongiorno»
«Ecco i moduli, fateli firmare al preside e andate in palestra, dove i docenti vi presenteranno e porteranno nelle vostre rispettive classi» disse la segretaria bionda ossigenata e con più trucco del dovuto in faccia, mentre masticava rumorosamente la gomma che aveva in bocca.
«Grazie» sbuffai.
Entrammo in palestra, che come l'intera scuola era molto luminosa grazie alle numerose vetrate.
«Buongiorno, preside. Ecco i fogli»
«Buongiorno a voi, mettetevi in fila insieme agli altri, tra poco arrivano i docenti e verrete smistati nelle vostre classi» ci sorrise.
Non rispondemmo ma gli sorridemmo a nostra volta.
Andammo dritte dal gruppo di persone in fondo alla palestra, che presumemmo fosse la nostra nuova classe.
Ci presentammo e iniziammo a parlare; sembrarono tutti davvero molto simpatici.
«Sono davvero felice! Saremo in classe insieme
per tutti e cinque gli anni!» urlò Federica con più enfasi del dovuto.
«Sì, non vedo l'ora»
«Ragazzi, buongiorno, io sono la professoressa Rocchi e anche vostra coordinatrice. Seguitemi, vi accompagno in classe»
Scendemmo al piano di sotto.
La professoressa ci condusse in una classe molto bella e grande.
«Be', ragazzi, eccoci qui. Per oggi, possiamo conoscerci meglio, o potete parlare tra di voi, basta che non alziate troppo la voce o che non usiate il cellulare»
Federica cominciò a parlare, e io mi distrassi: fino a quel giorno avevo aspettato con ansia e impazienza il primo giorno di scuola, per le amicizie, per le esperienze.
Ma avrei dovuto considerare anche i lati negativi di una scuola superiore, naturalmente: avrei passato le giornate chiusa in casa, a studiare?
E, una volta finita, cosa avrei fatto?
Sarei riuscita a diplomarmi e ad andare all'Università? Sarei riuscita a realizzare il mio sogno, quello di cui non parlavo mai a nessuno?
Il futuro mi spaventava più di ogni altra cosa.
«Ma mi stai ascoltando? Dio, come devo fare, con te?» scoppiò a ridere.
«Ho solo sonno» borbottai.
Per fortuna ero un'ottima bugiarda, e Federica si convinse.
Alcune persone stavano dormendo, altre erano intente ad usare il telefono di nascosto.
Io iniziai finalmente ad ascoltare Federica e continuammo a parlare mentre le ore passavano.

All'uscita ero esausta, e mi maledii per aver aspettato il ritorno a scuola così tanto a lungo.
«Che facciamo oggi?» chiese pimpante Federica.
«Come, scusa?»
Ero così tanto stanca che non avevo nemmeno pensato all'eventualità che Federica mi chiedesse di uscire.
«Non usciamo?»
Ci pensai su.
Infondo, era l'unica settimana in cui uscivamo prima da scuola e avrei dovuto sfruttare l'occasione, visto che di lì a poco avrei avuto le giornate piene zeppe di compiti, impegni e responsabilità.
«Uhm, sì, va bene. Dove andiamo?»
Sfoderò un sorriso a trentadue denti.
«San Lorenzo»
«San Lorenzo...», ci ero uscita un paio di volte, e mi sembrava carino «E perché?»
Fece spallucce.
«Ha aperto un nuovo bar e gira voce che diano l'alcol anche ai minorenni» disse facendo un sorriso malizioso.
Naturalmente. Era arrivata a scuola da un giorno e già conosceva tutti i pettegolezzi.
Non mi importava più di tanto, perciò mi andò bene.
«Okay»
Arrivammo in fermata e prendemmo l'autobus.
Nonostante fosse settembre e l'estate fosse appena finita faceva abbastanza freddo.
«Per fortuna ho la felpa» gracchiai non appena scendemmo.
«Fortunata, io non la porto mai e poi mi lamento»
«Allora, dov'è questo bar?»
Mi fece un gesto come per dire "seguimi".
Il bar- o meglio, il locale- era proprio davanti la piazza. Dall'interno si sentiva musica da discoteca e urla di ragazzi. Ci facemmo strada tra la folla fino ad entrare. Era fatto interamente di legno. Mi piaceva.
C'era gente intenta a bere e a ballare. Era pieno, del tipo che se fosse passata la polizia avrebbe arrestato tutti e fatto chiudere il bar il giorno stesso in cui era stato aperto.
«Le voci girano in fretta» urlò Federica sopra la musica.
Certo. Quale pazzo furioso non si sarebbe precipitato ad ubriacarsi in pieno mattino il primo giorno di scuola?
Sbuffai, frustrata, prima di ricordarmi che eravamo lì esattamente per lo stesso motivo.
No. Non volevo ubriacarmi, solo bere qualcosa.
Grazie al mio monologo interiore non mi accorsi che Fede era sparita. Feci spallucce.
Sarebbe tornata, prima o poi.
Mi sedetti al bancone e ordinai.
«Uno spritz?» chiese incredulo il barista, come se avessi appena bestemmiato nel bel mezzo di una messa.
«Eh, che c'è?»
«Non vuoi qualcosa di più forte?»
«Fai tu» sbuffai, e mi appoggiai al bancone.

Quel ragazzo di San Lorenzo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora