Capitolo 14.

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Decisi di fare una passeggiata.
Non avevo una meta, volevo solo schiarire i pensieri.
Ad un certo punto però rimasi sorpresa dalle lacrime che mi rigavano le guance e mi offuscavano la vista.
Perché piangevo? Ero ridicola.
Mi chiesi che cosa pensasse la gente che vedeva una ragazza piangere da sola, nel bel mezzo di Roma, di sera tardi.
Probabilmente pensavano tutti che fossi pazza.
Entrai velocemente in un negozietto e presi tre birre.
Mi sedetti su un marciapiede e, sorso dopo sorso, le bevvi. Tutte.
«Tutto okay?» disse una voce femminile. Alzai lo sguardo.
Era una ragazza bassina, con dei capelli castani mossi e lunghi fino alle spalle.
Indossava una larga felpa grigia, un paio di jeans e delle Air Force, mentre la testa era coperta da un cappellino.
«Ehm... sì, grazie» dissi asciugando le lacrime. Le mie dita si sporcarono di mascara.
«A me non sembra»
«Nemmeno a me, ma forse se fingo di sì riesco a convincere anche me stessa» dissi, con un filo di voce per colpa del pianto.
Mi fece un debole sorriso, probabilmente per compassione. Non capitava di certo tutti i giorni di vedere una ragazza piangere su un marciapiede con tre bottiglie di birra vuole in mano.
«Anche a me capita, a volte, di pensarla così. Ma perché dovresti convincere sia gli altri che te stessa di una cosa non vera?»
Ci pensai su.
«Non lo so» risposi.
«Esatto» disse lei.
Sbuffai.
«Come ti chiami?» mi chiese.
«Camilla. Tu?»
«Arianna»
«Perché ti sei fermata, Arianna?»
«Mi piace aiutare le persone. Se posso farlo, lo faccio»
Provai a sorriderle.
«Vuoi parlarne?»
«Non lo so. Hai presente quando credi di essere davvero importante per qualcuno ma poi, improvvisamente, ti dimostra l'esatto contrario?»
«Purtroppo ho presente, anche molto bene»
«È uno schifo»
Annuì.
Le lacrime che si erano appena fermate, cominciarono a riuscire.
«Mi sono innamorata di uno stronzo» piagnucolai.
Innamorata?
Rabbrividii per le mie stesse parole. Non ero innamorata, era la birra. Non potevo esserlo.
Lo ero?
«Perché, che ha fatto?» mi chiese lei.
«Non lo so bene, è complicato»
«Dai, alziamoci da qui. Facciamo una passeggiata»
Mi parlò un po' della sua vita, probabilmente per distrarmi, e gliene fui grata.
Scoprii che non era di Roma.
Era di Anzio, ma si trovava qui perché la sera precedente era andata ad un concerto e aveva deciso di fermarsi.
Era una ragazza davvero simpatica, e mi trovai subito a mio agio a parlare con lei. Infatti, dopo un po', mi decisi a raccontarle tutto.
«E quindi gli ho chiesto di fermarsi a casa mia. Mi ha detto che mi avrebbe portata in un posto, solo che davanti agli amici ha completamente fatto finta di nulla. Mi sono sentita presa in giro e me ne sono andata» sospirai.
«Brutta storia. Io ti consiglio di lasciarlo stare, prima che cominci ad affezionarti sul serio»
«Temo che sia già troppo tardi. Ci ho provato un sacco di volte a lasciarlo stare, ma mi ritrovo sempre al punto di partenza»
«Pensaci bene, davvero. Ne vale la pena?»
Avrei voluto risponderle di no. Avrei voluto che davvero non ne valesse la pena.
«Vedrò che cosa fare»
«Quel che fa male poi diventa bene, ricordatelo»
Mi sorrise.
«Certo. Grazie, mi hai aiutata molto»
«Mi fa piacere. Ci becchiamo, sto spesso a Roma» disse, dopodiché ci scambiammo i numeri di telefono e se ne andò.
Ero esausta, volevo solo tornare a casa e dormire fino a mezzogiorno.
Improvvisamente mi ricordai che era domenica, ciò significava che il giorno dopo sarei dovuta andare a scuola, e per poco non mi venne un colpo.
Mi sembrava passato un intero mese da quando Alessio era venuto a prendermi con il suo motorino, invece erano passati solamente due giorni.
Ripensai a quanto ero stata bene quel pomeriggio.
Era questo che odiavo del mio rapporto con lui: il tempo sembrava scorrere così velocemente che io non riuscivo mai a stargli dietro. Inoltre mi faceva dimenticare di tutte le cose brutte. Con lui ogni cosa brutta sembrava perdere peso.
E fu proprio lì, mentre correvo per non perdere l'ultimo autobus prima di mezzanotte, che iniziai a sentire terribilmente la sua mancanza.
Avrei voluto chiamarlo, ma non potevo.
Stupidamente controllai il cellulare, e ovviamente non trovai neanche un messaggio da parte sua.
Come potevo essere così stupida? Credevo davvero di contare qualcosa per lui? Credevo di essere importante, anche minimamente, solo perché mi aveva detto qualche bella parola?
Mi ero sbagliata, e lui me lo stava chiaramente dimostrando.
Salii sull'autobus, che era praticamente deserto. Poggiai la testa sul finestrino e iniziai a guardare fuori: Roma di notte era bellissima, mi aiutava sempre a calmarmi. Amavo la mia città con tutta me stessa.
Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. Ero stanca di sentirmi così, ero stanca di stare male. Possibile che nella mia vita non doveva andarne bene una?
Dopo minuti che mi sembrarono ore il bus si fermò e io scesi.
Non persi tempo nemmeno a struccarmi e corsi a letto.
Mi girai e mi rigirai, ma il sonno non si decideva ad arrivare. Così, feci la peggiore cosa che poteva venirmi in mente in quel momento: andai all'armadio, presi la felpa di Alessio e la indossai.
Il suo profumo mi circondò insieme ai ricordi.
Dopodiché mi sdraiai e provai a dormire, nonostante le lacrime che non smettevano di rigarmi le guance.

Quel ragazzo di San Lorenzo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora