Trascorsero due mesi, due mesi in cui ero certa di non essere mai stata più felice, e arrivammo a gennaio. Era fin da sempre stato il mio mese preferito, perché amavo l'inverno e il freddo.
Come praticamente ogni giorno da quando ci eravamo messi insieme, mi svegliai a casa di Alessio.
Eppure, quello era un giorno speciale, non per me quanto per lui: infatti, era il suo compleanno. Non mi aveva mai accennato ad una possibile festa, perciò non sapevo cosa avrebbe voluto fare.
Guardai l'orologio e notai che era stranamente presto. Mi girai dal suo lato e lo osservai: dormiva beatamente.
Le labbra erano leggermente schiuse e andavano a formare un piccolo sorrisetto, conferendogli un'espressione del tutto tranquilla.
Mi chiesi che cosa stesse sognando e sorrisi.
Il ciuffo scuro era scompigliato, come al solito, e alcune ciocche coprivano i suoi occhi.
Una mano era sotto il cuscino, mentre l'altra era sotto la sua guancia. Il respiro era calmo e regolare. Gli accarezzai una guancia, attenta a non svegliarlo.
Mi girai nel letto aspettando che il sonno ritornasse, ma dopo una mezz'ora buona decisi di alzarmi.
Mi lavai il viso e feci una treccia per risultare un po' più ordinata.
All'improvviso, mi venne un'idea carina.
Mi diressi in cucina e presi latte, uova, zucchero e farina. Quando ebbi quasi finito i miei pancake, sentii dei passi dietro di me.
«Cami, che combini?» chiese Alessio. Invece di rispondergli mi soffermai a guardarlo: con i capelli scompigliati e la faccia assonnata era bello da togliere il fiato, e probabilmente nemmeno se ne rendeva conto.
«Preparo la colazione ad un ragazzo bellissimo» dissi con un sorrisetto stampato in faccia.
«E questo ragazzo bellissimo, chi sarebbe?»
«Si chiama Alessio, lo conosci?» chiesi. Adoravo scherzare con lui in questo modo.
«No» rispose lui. Si avvicinò e mi sfiorò il collo con la punta del naso. Io sussultai.
«A proposito. Buon complean...»
Mi fermai quando mi lanciò un'occhiataccia.
«Cosa c'è? Non mi hai permesso di farti nessun regalo, non vuoi nemmeno che ti faccia gli auguri?»
Mi prese la mano e mi diede un bacio veloce.
«Esattamente» confermò, ignorando la mia ironia. Mise la moka sul fuoco e si fece la solita tazzina di caffè amaro.
«Ma c'è una candelina, in questa casa?» dissi cercando tra gli scaffali.
Mi guardò come se mi fosse spuntata una seconda testa.
«Una candelina?» ripeté sgranando gli occhi.
«Sì, che ho detto?»
«Ti sembra che io abbia cinque anni?»
«Come sei scontroso, io volevo solo fare una cosa carina»
«Lo sai che non mi piacciono tutte queste cose da... compleanni» disse con una smorfia.
«Perciò, oggi non vuoi fare nulla per... festeggiare?» gli chiesi, incerta, mentre gli porgevo il suo piatto.
Fece una faccia contrariata.
«Sai bene come la penso. È un giorno come un altro, non c'è nulla da festeggiare» mise in chiaro.
Da una parte lo capivo. Nemmeno a me piaceva festeggiare il mio compleanno- la pensavo esattamente come lui, ma in quel momento, per qualche strano motivo, ci tenevo particolarmente che lui facesse qualcosa e mi sentii triste nel sentirlo dire quelle cose.
«Sì, invece. È un giorno importante» insistetti, cercando di convincerlo, ma Alessio Aresu era irremovibile dalle sue idee.
«Non per me»
Sbuffai.
«Come sei testardo, però» dissi con una smorfia.
Non rispose e assunse un'aria pensierosa. Un barlume di speranza si accese in me: forse stava cambiando idea.
«Forse qualcosa voglio fare» disse dopo qualche secondo di silenzio.
Sospirai di sollievo.
«Ovvero?» chiesi cercando di reprimere un sorriso che mi era spuntato sul viso.
«Niente di particolare, ma è una cosa che voglio fare da tanto. Mi accompagneresti a fare un piercing?»
«Certo. Dove vorresti farlo?»
Mi sorrise.
«Onestamente non ne ho idea»
«Perfetto, direi»
«Sono indeciso» si giustificò, «Secondo te?»
Esaminai bene il suo viso, pensando a dove, secondo me, gli sarebbe stato meglio. Guardai le sue labbra e ci immaginai un piccolo anellino al lato.
«Secondo me, il labret ti starebbe benissimo» dissi sicura, dopo alcuni momenti di riflessione.
«Dici?» chiese, prendendo il telefono per specchiarsi.
Annuii.
«Sì» confermò.
«Perfetto, quindi è deciso?»
«È deciso»
«Be', non ci è voluto molto» constatai.
«L'avevo già deciso, onestamente. Mi serviva solo il tuo parere»
Gli sorrisi.
«Ti piacciono?» gli chiesi, indicando i pancake.
«Sono molto buoni. Non avevi detto che mi avresti insegnato?» chiese con un sorrisetto.
«Certo, ma se questa cucina dovesse andare a fuoco, non mi assumerò nessuna responsabilità» misi in chiaro.
Mangiammo in un silenzio per nulla imbarazzato, dopodiché Alessio si alzò.
«Dove vai?»
«A fumare» rispose mettendosi la sigaretta tra le labbra. Gli lanciai un'occhiataccia che ignorò appositamente.
Io avevo smesso, e sapeva quando volessi che smettesse anche lui. Mi diceva sempre che ci provava, ma a me non sembrava proprio.
Tuttavia, non potevo di certo obbligarlo.
Decisi di alzarmi e di andare a prepararmi. Mi truccai con mascara e correttore, ma non fui del tutto soddisfatta, così feci una linea sottile di eye-liner e applicai del gloss.
Misi i miei soliti jeans larghi ed una felpa nera.
Quando ebbi finito, trovai Alessio in cucina ad aspettarmi.
Indossava dei jeans scuri ed una felpa bianca che gli stava a pennello. Ai piedi aveva le sue solite Vans.
«Pronta?» mi chiese con un sorriso.
«Sì» risposi, ed uscimmo.
L'aria fredda mi pizzicò le guance e mi strinsi nella giacca. Dopo un po' entrammo in un negozietto e ci salutò un ragazzo più o meno della nostra età. Non era un eufemismo quando Alessio mi aveva detto di conoscere tutto il quartiere.
«Hai paura?»
Accennò un sorriso.
«No»
«Non sono sicura di riuscire a guardare» dissi con una smorfia.
«Fifona» lo sentii sussurrare, mentre andavo a sedermi su una poltroncina di pelle poco distante.
Un istante dopo arrivò il piercer.
Mi misi a riflettere.
Alessio pensava davvero che mi sarei arresa così facilmente?
Allora si sbagliava di grosso.
Non avrei organizzato una festa, certo- sapevo che non sarebbe stato molto d'accordo, ma almeno volevo fare qualcosa. Qualcosa di speciale. Semplice, ma speciale.
Mi venne un'idea, ma avrei dovuto prendere delle cose, e come potevo fare senza che lui facesse domande?
«Allora? Come mi sta?»
Alzai la testa e guardai Alessio.
Lo scrutai, finché non notai il sottile anellino presente sul suo labbro inferiore.
Alessio aveva le labbra carnose, e quel dettaglio ora le accentuava ancora di più, rendendolo... bellissimo.
Si schiarì la voce e io chiusi la bocca per non sbavargli addosso.
«Ti sta... bene. Molto»
Si avvicinò con un sorrisetto impertinente. Di sicuro si era accorto del mio sguardo che non si staccava dalle sue labbra.
«Davvero?»
«Sì»
Mi misi sulle punte per baciarlo, ma lui si scansò, senza però smettere di sorridere.
«Non posso baciarti, devo aspettare che guarisca» sussurrò, poi salutò il ragazzo e fece per uscire.
Io lo seguii.
«Ale» gli dissi, appena uscimmo.
«Sì?»
«Dovrei passare un momento a casa»
«Stiamo andando a casa»
«A casa mia» specificai.
Mi guardò accigliato per un momento.
«Perché?»
«Devo prendere delle cose» dissi sbrigativa, sperando che non facesse domande. Stranamente andò così, anche se ci misi un po' a convincerlo.
«Ti aspetto qui» mi disse quando eravamo davanti al mio portone.
Io entrai e salii le scale. Era un po' che non entravo a casa mia, ma quando aprii la porta mi accorsi che era tutto come ricordavo. Sentii una strana nostalgia dei primi tempi, di quando io e Alessio eravamo a malapena dei conoscenti, del primo giorno di scuola, del primo giorno in cui lo avevo visto dentro quel locale, e non lo sapevo che quegli occhi marroni mi sarebbero entrati nell'anima.
Presi tutto ciò che mi serviva e lo misi in uno zainetto, poi uscii. Sotto casa mia c'era Alessio che mi aspettava con una sigaretta tra le labbra.
«Cosa hai preso?» chiese incuriosito.
Evitai la sua domanda.
«Ti andrebbe di... andare in un posto?» chiesi invece.
Inarcò un sopracciglio.
«E dove?»
Esitai. Sapevo che mi avrebbe presa per pazza e che avrebbe detto di no.
«In... spiaggia»
Sgranò gli occhi.
«Camilla, è gennaio»
«Lo so» sorrisi, «Ci sono stata moltissime volte d'inverno, ed è bellissimo»
«Non lo so» disse non ancora convinto.
«Se non vuoi, non fa niente. Il compleanno è il tuo, ma mi renderesti molto triste se lo passassi chiuso in casa...» dissi facendogli gli occhi dolci.
«Maledizione... va bene»
«Evviva» battei le mani contenta come se fosse il mio, di compleanno.
Salimmo sul treno e ci sedemmo.
C'era poca gente, ovviamente. Erano quasi le cinque, perciò il sole stava per tramontare, e dovevamo sbrigarci.
Ci voleva un po' per arrivare fino al mare, così decisi di poggiare la testa sulle gambe.
«Cos'hai in mente?» mi chiese, picchiettando un dito sulla mia testa.
«Non ti ho organizzato una cena sulla spiaggia a lume di candela» precisai. Lui mi guardò serio per qualche secondo.
«Come no? Allora voglio scendere» disse, dopodiché scoppiò a ridere, e io con lui.
Passò un quarto d'ora e finalmente scendemmo. Percorremmo il breve sentiero che dalla strada portava alla spiaggia. Rimasi a bocca aperta, era uno spettacolo bellissimo: le luci rosa e arancioni del tramonto si riflettevano sull'acqua, la spiaggia era praticamente deserta e si vedeva solamente qualche persona passare ogni tanto.
«Wow» disse Alessio.
«Bello, vero?»
Mi strinse a sé.
«Grazie»
Sorrisi.
«Non ho ancora fatto nulla. Andiamo»
Ci incamminammo verso la spiaggia in un silenzio per nulla imbarazzato e poi ci sedemmo.
«Ale»
«Sì?»
«Saresti così gentile da andare a prendere due birre?»
«Peroni?»
«Ovvio»
Fece un sorrisetto divertito e si incamminò senza dire nulla.
Allora mi misi al lavoro.
Presi il grande telo e lo stesi sulla sabbia, mettendoci sopra i due piccoli cuscini. Accesi qualche candela qua e là per fare un po' di atmosfera. Mi sedetti, faceva abbastanza freddo.
No, mancava qualcosa.
Accesi un falò e presi i marshmallow da arrostire. Girai intorno per qualche secondo e alla fine, per mia sorpresa, ero molto soddisfatta del risultato.
Scrutai attentamente il viso di Alessio mentre si avvicinava.
Ad essere sincera, ero molto spaventata all'idea che la trovasse una cosa stupida: forse si aspettava di più? Non lo sapevo.
Notai che all'inizio era confuso, poi divenne stupito, e poi... fece un ampio sorriso.
«Ma che hai combinato?» chiese correndo verso di me.
«Mi sono arrangiata. Capisco se magari lo trovi banale o ti aspettavi di più, ma...»
«Camilla, è bellissimo, e poi io non vorrei essere da nessun'altra parte. Mi basta stare con te» rispose sfiorandomi la guancia col pollice, fermando i miei pensieri.
«Felice che ti piaccia»
Avrei voluto dirgli di più, per esempio che anche a me bastava stare con lui, ma non glielo dissi. Lui lo sapeva già.
Lo sapeva perché era in grado di capirmi e di leggermi dentro solo con uno sguardo.
Ci sedemmo, mise le birre sul telo e...
«Due pizze?» chiesi.
«Certo. Non hai fame? Ho preso la tua preferita»
«Grazie. Sì, in effetti sì. Non ci ho pensato»
Mi accarezzò i capelli.
«Be', l'ho fatto io»
Diedi un'occhiata alle birre.
«Cinque» constatai accigliata.
«Non si sa mai» ribatté. Aveva ragione.
«L'ultima la smezziamo» decisi.
Annuì.
«Ho scritto una canzone per te» disse di punto in bianco.
Come?
Non avevo nemmeno aperto la birra, non potevo essermelo immaginata.
Masticai a lungo la pizza mentre cercavo le parole.
«L'ho anche...» deglutì, «Pubblicata»
A quel punto il cibo mi andò di traverso.
«Come?» dissi ancora tossendo.
«Ho riflettuto sulle parole che mi hai detto quando ci siamo conosciuti. Perché non dovrei fare una cosa che amo? E qual è il modo migliore per iniziare se non con una canzone dedicata a te?»
«Fammela ascoltare» gli dissi.
Non rispose, ma tirò fuori dalla tasca il suo telefono e le cuffiette.
Aprì l'app e mi porse il suo telefono schiacciando play.
«Ti ho vista un paio di volte e mi sono bastate
per dire che sei perfetta e che non voglio le altre.
Stavi vicino ad una macchina con le tue amiche che mi guardavano strano e mi so' detto: 'ma sai, capita'.
Ho chiesto ad un mio amico se poteva darmi una mano, scusa, è che sono ubriaco, ma tu non farci caso,
saresti un buon pretesto per smettere di bere,
non mi so' presentato, so' pure collassato
e mi sono scordato le buone maniere.
Ma sei per me come il sole d'estate, io ne ho bisogno per sentirmi vivo,
vorrei solo perdermi dentro a ogni tuo respiro
è che sei come un abbraccio che non ho mai dato
una rapina dentro a una banca, come un cazzo di colpo di Stato.
Lo so che sto correndo, però, ti prego, resta tranquilla, è che se ti guardo negli occhi svengo e sto alla decima birra, mica ho detto de fa' 'na famiglia
però se ce caschi, non è che...»
E la canzone continuò a risuonare nelle mie orecchie. Alessio non aveva staccato nemmeno per un momento gli occhi da me.
A ogni parola di quella canzone mi sembrava di tornare indietro, di rivivere quel pomeriggio di settembre in cui ci eravamo conosciuti.
Certo, non stavamo insieme da tanto, ma il punto era che non vedevo l'ora di passare i miei giorni con lui.
Mi uscì qualche lacrima, o forse piansi direttamente.
«Hai una voce bellissima» fu la prima cosa che mi venne da dirgli.
«E le parole sono... è... non posso credere che tu l'abbia scritta per me»
«Per te e solo per te» mi disse. «Se non ho avuto paura quando ho schiacciato quel "pubblica", è solo grazie a te. È grazie a te se ci sono riuscito»
Lo guardavo senza riuscire a pronunciare nemmeno una parola.
«Non so che cosa dire»
«Non serve che tu dica nulla»
Mi baciò, nonostante non potesse farlo.
«Sono fiera di te, Alessio Aresu!» dissi ancora piangendo.
E ci sdraiammo, sorseggiando di tanto in tanto la birra.
L'unico rumore udibile su quella spiaggia era quello delle onde, del vento che ci scompigliava i capelli, del fuoco scoppiettante e del suo respiro calmo e regolare.
Mi sentivo spensierata, in pace con me stessa e, per una volta, col resto del mondo. Ma sapevo bene che era solamente merito suo.
«Ti amo» disse all'improvviso, in un sussurro appena udibile. Credetti di aver sentito male.
Alzai la testa dal suo petto per guardare il suo viso, illuminato di rosa e arancio grazie al tramonto.
I suoi occhi marroni, che somigliavano a piscine di miele, erano fissi nei miei. E allora mi convinsi che non me lo ero immaginato.
Era la prima volta che lo diceva.
«Anche io. Anche io ti amo»
Ci misi un po' a farmelo uscire, effettivamente, ma sentivo che ciò che provavo era più forte di qualsiasi altra cosa.
Gli presi il volto tra le mani.
«Non andartene mai» gli dissi, «Sei tutto quello che ho»
Ed era vero.
Se avessi perso lui, avrei perso tutto.
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Quel ragazzo di San Lorenzo.
FanfictionUna festa dopo il primo giorno di scuola stravolgerà completamente la vita di Camilla. Dal momento in cui incrocerà quegli occhi marroni, cambierà tutto. Soprattutto lei. (se volete supportate con le stelline, mi farebbe molto piacere!<3)