Capitolo 9.

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Mi sentivo davvero spensierata, per una volta: lì, sul suo motorino, diretti chissà dove, stretta a lui e col vento fresco che mi scompigliava i capelli.
Anzi, che li scompigliava ad entrambi, dato che anche Alessio aveva i capelli un po' lunghi.
Mi chiesi che cosa pensasse in quel momento, se era in pace come lo ero io, se anche lui sentisse milioni di farfalle che gli svolazzavano nello stomaco, se anche lui stesse sorridendo a trentadue denti perché tanto io non potevo vederlo.
Mi strinsi ancora di più a lui.
«Hai paura?» mi chiese, sopra il rumore del vento.
Paura? Come potevo avere paura se mi sentivo così sicura con lui?
«Poco» mentii.
Ovviamente, era solo una scusa per potergli rimanere avvinghiata quanto volevo.
Lo sentii ridere.
«Tranquilla»
Non gli risposi e appoggiai la guancia sulla sua schiena.
Dopo circa cinque minuti parcheggiò il motorino e scendemmo.
«Villa Borghese?» chiesi.
«Sì, non ti piace?»
«È il mio posto preferito»
Sorrise.
«Vieni, facciamo una passeggiata»
Parlammo per tutto il tempo, mentre il giorno cominciava ad andarsene per lasciare spazio alla sera.
«Come mai ti piace tanto questo posto?» chiesi.
«Non lo so, ma ogni volta che ho bisogno di stare da solo o di pensare, vengo qui» disse tranquillo, sedendosi.
Mi sedetti vicino a lui.
Fissò il vuoto con un sorrisetto sulle labbra per qualche secondo, poi si sdraiò appoggiando la testa sulle mie gambe.
«Comodo?»
«Molto» disse ridendo.
Mi resi conto che non avevo mai guardato attentamente il suo viso, perciò lo feci.
Gli occhi erano chiusi e aveva un'espressione completamente tranquilla e rilassata, mentre gli angoli della bocca erano tesi e andavano a formare un leggero sorriso.
Prima di allora non mi ero mai resa conto di quanto fosse bello.
In quel momento, un soffio di vento gli scompigliò i capelli e io, con un gesto che mi sembrò automatico, glieli risistemai sulla fronte- da un lato, come gli avevo visto fare un po' di volte.
«Scusa» dissi immediatamente, in imbarazzo.
«Non mi dà fastidio» disse aprendo gli occhi.
Mi guardò, sorrise e li richiuse.
Gli accarezzai di nuovo i capelli, ma stavolta non mi fermai.
Non sembrava infastidirlo.
Scesi fino alle guance e poi, col pollice, gli sfiorai le labbra.
Gli uscì un sospiro, poi sorrise di nuovo.
Gli sorrisi a mia volta e inclinai la testa da un lato per guardarlo bene.
«Senti, ma noi siamo amici?» chiese all'improvviso.
«Penso di sì» dissi confusa. Era una domanda che mi aveva colto alla sprovvista.
«E, secondo te, due amici possono fare...»
In quel momento alzò leggermente la testa e mi prese per le guance.
«...questo?»
E posò le sue labbra sulle mie.

Quel ragazzo di San Lorenzo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora