Capitolo 21.

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Quando aprii la porta mi trovai davanti un Alessio con un'espressione preoccupata.
Mi scrutò.
«Che è successo?» chiese.
Non riuscii a rispondergli. Ci provai, ma la mia bocca non ne voleva sapere.
Le parole mi si bloccarono in gola.
«Camilla, mi stai facendo preoccupare sul serio. Ti senti male?»
Scossi la testa.
«No» riuscii a dire.
«Puoi dirmi che cos'hai?»
«Tranquillo Ale, davvero, torna da Marco e gli altri. Devi stare con loro oggi»
Si avvicinò e mi prese le mani.
«Loro possono aspettare»
Sospirai.
«Vieni» gli dissi, e lo oltrepassai per uscire. Mi diressi verso un tavolo isolato in un'altra parte del bar e mi sedetti.
«Devo parlarti un momento» dissi seria.
Lui non rispose.
Guardai in basso, tenendomi le mani che mi tramavano.
«È la cosa che stavi per dirmi in stazione?»
Annuii, presi un lungo respiro e mi costrinsi a parlare.
«Ehm, io... non so da dove cominciare. Non volevo nemmeno dirtelo, all'inizio, ma che senso ha non farlo? È da un po' che va avanti questa nostra cosa, ed è bellissimo, te lo giuro, ma non posso più andare avanti senza sapere cosa sia effettivamente. So che è presto, non so tu, ma io non ho tempo da perdere. Non sono... non ho mai provato queste cose con nessuno. Voglio passare la notte in giro per Roma insieme a te, voglio ridere con te come due bambini, voglio ubriacarmi insieme a te, voglio addormentarmi accanto a te. Voglio sentirti parlare delle cose che ti rendono felice, della tua musica e della tua vita. Ti ricordi quando a casa tua ti ho detto che non ero seria? Che avevo detto quelle cose solo perché ero ubriaca? Ecco, mentivo. Ero seria quando ti ho detto che mi sono innamorata di te» dissi. Non gli lascia il tempo di parlare tra una frase e l'altra, o forse fu lui che decise di non farlo.
Mi asciugai una lacrima.
Fino a quel momento avevo sempre tenuto la testa bassa per evitare di incrociare i suoi occhi, ma una volta finito di parlare alzai lo sguardo per scrutarlo. Il suo viso era un misto tra stupore, confusione e... emozione?
«Ti sei...»
Annuii piano.
«Perché non me lo hai detto subito?»
«Avevo paura, e poi mi hai detto che non avresti ricambiato»
Ci fu un secondo di silenzio.
«A quanto pare abbiamo detto entrambi un mucchio di bugie, prima»
Lo guardai negli occhi.
«Che intendi?»
«Hai capito»
«Ricambi?» dissi in un sussurro. La voce mi tremava.
Scosse la testa.
«Come puoi non essertene accorta?»
Continuai a fissarlo.
«Non si era capito?» mi chiese.
«Da cosa avrei dovuto capirlo?»
«Da come ti guardo»
Il suo tono di voce mi fece rabbrividire.
«E come mi guardi?» sussurrai appena.
«Lo sai bene»
Ci fu qualche istante di silenzio.
«Quindi...» dissi.
Sospirò.
«Pensi davvero quelle cose?»
«Penso davvero tutto ciò che ho detto» risposi.
Mi sorrise.
«Io, a dire la verità, sono qui per dirti la stessa cosa, ma tu mi hai anticipato» rise appena, ma poi si fece subito serio e continuò con il suo discorso.
«Anche io penso quelle cose. Da quando ci sei tu, è tutto... diverso. Non volevo nemmeno pubblicare le mie canzoni, prima, ma tu mi hai dato la forza di farlo, sin dal primo giorno in cui te l'ho detto. Avevo paura a dirti queste cose, perché pensavo che per te non fosse così, ma ora so che lo è e, sai, nemmeno io ho tempo da perdere. Voglio stare con te. Voglio guardarti dormire, guardarti ridere e sentirti parlare delle cose che ami. Voglio dormire abbracciati, da te o da me. Voglio farti ascoltare le mie canzoni e sentirti dire cosa ne pensi. Voglio ridere insieme, arrabbiarci per cose serie o stupide per poi litigare, perché tanto so che faremo pace. E non l'ho mai voluto con nessuno. Lo so che sembrano frasi fatte, ma sarei disposto a tutto pur di avere questo tutti i giorni. Sono pieno di difetti, e questo lo so, ma ti prego, ci vogliamo provare?»
Rimasi a fissarlo anche dopo che smise di parlare. Mi sentivo come ipnotizzata, con i miei occhi incastrati nei suoi.
Avrei voluto dirgli tante altre cose, spiegargli come mi sentivo, ma avevo già parlato troppo.
«Sì» sussurrai semplicemente.
Mi prese la guancia e mi avvicinò a lui, per poi far combaciare le nostre labbra.

Quando ci staccammo, ci fu un momento di completo silenzio dove tutti e due iniziavamo a realizzare quello che era appena successo.
Ci guardammo negli occhi.
Ci guardammo per minuti infiniti.
Tutta la tensione che avevo da quella mattina improvvisamente se ne andò senza lasciare traccia.
«Mi sento un po' più leggera, adesso» sdrammatizzai.
Sorrise.
«Anche io»
Ci fu un istante di silenzio. Decisi di fargli la domanda che temevo tanto di fare.
«Quindi, adesso, stiamo... siamo...»
«Non lo so. Tu vuoi?»
«E me lo chiedi?»
«Non si sa mai» scherzò.
«E tu?»
«Sì»
In quel momento sentii una sensazione strana, che non avevo mai provato. O meglio, avevo provato poche volte, ma comunque con lui.
Sentii le mie guance tingersi di rosso e il cuore prese a battere più forte.
Quelle sensazioni presero un nome. Ero effettivamente innamorata.
E la cosa più bella era che anche lui lo era.
Alzai lo sguardo.
Stava giocherellando con una mia ciocca di capelli che mi ricadeva sulle spalle. Nel mentre sorrise e gli spuntò una fossetta su una guancia, poi su entrambe. Era davvero bello.
«So che mi stai fissando» rise senza guardarmi.
«E allora? Ti dà fastidio?» risposi con lo stesso tono scherzoso.
Scosse la testa.
«No»
«Bene»
Mi guardò.
«Quindi?» esordì.
«Cosa?»
«Perché mi stai fissando?»
«Davvero non lo sai o vuoi solo sentirtelo dire?»
«Cosa non so?»
Sospirai.
«Ti sto fissando perché sei bello, Alessio, e credo che tu lo sappia bene» risposi con un sorrisetto.
Lui si rabbuiò.
«No, non lo so, e sono sicuro che tu ti stia sbagliando»
«Non mi sto sbagliando»
«Io penso di sì»
«Smettila. Sei bello davvero, credimi. Dovresti credere di più in te stesso»
«Chi sei, mia madre?»
«Una cerca di fare dei complimenti ed ecco come viene trattata» risposi amareggiata, ma senza riuscire a trattenere un sorriso.
«E dai, scherzo. Comunque, ehm... grazie. Lo apprezzo davvero»
Gli sorrisi.
In quel momento il mio cellulare si accese e solo allora notai l'orario.
«Ma sono quasi due ore che siamo qui! Gli altri saranno preoccupati. Dovevi stare con loro, oggi. Mi sento così in colp...»
«Stai tranquilla. Sapevano che ci avrei messo tanto»
Lo guardai.
«Che intendi?»
«Ho detto loro che dovevo... parlarti, e che mi ero deciso a dirtelo»
«Ma quindi sapevano tutto?»
«Certo. Te l'ho detto che se ne erano accorti tutti»
Mi appoggiai alla sua spalla e scossi la testa.
«Vuoi dirglielo?»
«Cosa?»
«Che stiamo...»
«Che stiamo cosa
«Non lo sai o vuoi solo sentirtelo dire?»
Fece un sorrisetto.
«Questa volta voglio sentirmelo dire»
«Vuoi dirglielo che stiamo... insieme?»
Quella parola suonò strana sulla mia lingua, ma avrei dovuto abituarmici.
«Sì» rispose.
«Allora... andiamo?»
Annuì.
«Andiamo»
Ci alzammo e ci avviammo per tornare di là. Rimasi a qualche centimetro di distanza da Alessio: non sapevo in che modo e quando avrebbe voluto dirlo loro, perciò non sapevo bene cosa fare.
Ma quando eravamo solamente a qualche metro dal tavolo, lui fece un gesto che non mi aspettavo minimamente: mi prese per un fianco e mi diede un bacio davanti a tutti, poi andò a sedersi.
Mi sentii arrossire e andai velocemente al mio posto.
«Ce l'avete fatta!» disse contento Marco.
«Ah, l'amore!» esclamò Carlo.
Manuela si limitò a sorridermi.
«Lo sapevo. State davvero bene insieme» mi disse.
«Grazie» risposi. Non sapevo cos'altro dire, mi sentivo in imbarazzo.
Però non era un imbarazzo negativo, ma positivo: era una cosa nuova per me.
Iniziammo a parlare, a scherzare e a ridere.
Cercai lo sguardo di Alessio e mi sorrise, sembrava anche lui più sereno e questa cosa mi rendeva davvero felice.
Finalmente stavo bene.

Due ore dopo eravamo alla quarta birra. Ci stavamo sganasciando dalle risate ascoltando le storie che ognuno di noi aveva da raccontare.
Alessio si era sdraiato sulle mie gambe e, a quanto pareva, non aveva alcuna intenzione di alzarsi.
«Ale alzati, dobbiamo andare a casa»
«Ma io non voglio andare a casa»
«Se non ti alzi ti faccio cadere» lo minacciai con tutta l'intenzione di farlo, e lui mise il broncio.
Gli diedi un bacio sulla punta del naso.
«Infatti, restiamo qui» disse Carlo.
Marco, l'unico più lucido tra noi, prese la parola.
«Alessio, cazzo, noi dobbiamo andare a registrare. Abbiamo una carriera da portare avanti»
Io e Manuela alzammo gli occhi al cielo contemporaneamente.
Lui scoppiò a ridere fragorosamente, ma quella frase fu l'unica cosa che riuscì a smuoverlo, e finalmente si alzò a sedere.
«Non riesco ad alzarmi»
«Ti aiuta Camilla, forza»
Sbuffai.
«Come se non stessi peggio di lui»
Mi alzai e gli porsi la mano. Lui la prese ma non si alzò, così tirai leggermente.
Alessio rimase fermo al suo posto, mi attirò a lui e mi diede un bacio.
Mi sentii di nuovo arrossire e gli sorrisi.
«Adesso però ti alzi?»
«Sì»
E così fece.
«Ce l'abbiamo fatta» disse Marco.
Saremmo dovuti restare poco, ma quando uscimmo era già buio, e faceva anche molto freddo.
Alessio se ne accorse.
«Vuoi la mia giacca?»
Scossi la testa.
«No Ale, tranq...»
Ma lui non mi lasciò nemmeno il tempo di finire la frase che se la sfilò e me la sistemò sulle spalle.
«Che galantuomo» lo presi in giro.
Lui non rispose ma fece un gesto che non mi aspettavo: si avvicinò e intrecciò la sua mano alla mia.
Non potei fare a meno di sorridere. Non potevo mai farne a meno, quando ero con lui. Ero felice e mi sentivo bene, come non mi ero mai sentita.
«Allora, sali o no?»
Sbattei gli occhi, rendendomi conto che eravamo già arrivati al suo motorino. Afferrai il casco che mi stava porgendo.
«Ehm, sì» borbottai.
Mi sorrise.
«Aspetta. Ma Marco, Manuela e Carlo?»
«Prendono il bus. Ci rivediamo tutti a casa mia»
Feci una faccia contrariata.
«Posso andare io col bus, se vuoi»
Si accigliò.
«E perché?»
«Così stai più tempo con loro, e non vorrei che tu non ci stessi solo per colpa mia. E poi non rischierebbero di perdersi, dato che non sono di q...»
Continuai a blaterare senza sosta, ma lui mi interruppe.
«Camilla, sta' calma. Se sto con te è perché voglio stare con te, punto. Smettila di farti tutte queste paranoie inutili e sali»
Lo guardai incerta per qualche secondo ma alla fine mi lasciai convincere.
Dopo pochi minuti arrivammo a casa sua. Non sapevo cosa fare, perciò seguii Alessio in camera sua e notai subito un angolo perfettamente insonorizzato e allestito con microfono, cuffie e un computer.
«E questo?» chiesi.
Sorrise fiero.
«Ti piace?»
Annuii.
«Sapete già cosa registrare?» mi incuriosii.
«Un pezzo con le chitarre, probabilmente»
Lo guardai.
«Sai suonare?»
Fece una smorfia.
«Diciamo che sto imparando. Marco è un po' più capace di me»
Gli sorrisi e mi avvicinai a lui per accarezzargli una guancia, ma proprio in quel momento il citofono suonò.
Mi guardò, mi rubò un bacio al volo ed andò ad aprire.
Dopo qualche secondo entrarono Marco e Manuela mano nella mano, seguiti da Carlo.
Marco appoggiò la chitarra sul letto singolo e lo vidi aprire le note del cellulare per poi dire qualcosa ad Alessio che però non riuscii a capire.
Mi sdraiai sul letto e mi guardai intorno, mentre sentivo Alessio canticchiare e Marco accordare la chitarra. Notai un oggetto sul comodino che attirò particolarmente la mia attenzione e mi lasciò stupita: una copia del libro Cime Tempestose.
Alessio leggeva? E soprattutto, perché non me l'aveva detto?
Amavo quel libro, l'avevo letto e riletto tanto da consumarlo. Mi alzai a sedere e lo presi.
Aprii una pagina a caso e lessi.
«Il mio gran pensiero, nella vita, è lui. Se tutto il resto perisse e lui restasse, io potrei continuare a esistere; ma se tutto il resto durasse e lui fosse annientato, il mondo diverrebbe, per me, qualche cosa di immensamente estraneo: avrei l'impressione di non farne più parte.»
Ci riflettei: era assolutamente vero. Nonostante c'erano stati momenti in cui volevo evitarlo, momenti in cui non volevo vederlo e non volevo nemmeno sentire il suo nome, ora non sarei potuta stare senza di lui.
Lui faceva ormai parte delle mie giornate e onestamente non avrei potuto chiedere di meglio. Se lui non ci fosse stato, il mondo non sarebbe stato lo stesso, per me.
Lo guardai.
Lui, chissà come, se ne accorse e mi guardò. Poi spostò lo sguardo sulla copia del libro che avevo in mano.
«Cosa c'è?» mi chiese.
Gli sorrisi.
«Nulla»
Mi sdraiai.
Passarono diverse ore, in cui l'unico suono era la chitarra e le voci di Alessio e Marco che si alternavano per cantare, e io mi beai di quella melodia.
«Okay. Questa la chiamiamo Psicologi- Diploma»

Quel ragazzo di San Lorenzo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora