Capitolo 12.

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La mia casa non era molto grande, ma era molto bella: quasi interamente in legno, molto luminosa ed elegante.
«Be', benvenuto a casa mia» dissi entrando.
«È molto bella» constatò lui, e io gli sorrisi.
«Ehm, puoi... ti dispiace aspettare un attimo qui? Devo cambiarmi»
«Sì, tranquilla»
«Ah, Ale, la felpa» dissi, e feci per togliermela.
«Puoi tenerla, se... se vuoi» disse in un mezzo sorriso.
«Ah, sicuro? Allora te la ridò domani»
Annuì.
Salii le scale e mi chiusi la porta alle spalle.
Mi sedetti sul letto e feci qualche respiro profondo.
Più passavo tempo con Alessio, e più le emozioni si intensificavano.
Cosa potevo fare?
Di solito- anche se non capitava poi così tanto spesso- in queste situazioni ero abituata a scappare dalle emozioni.
Sparire da un giorno all'altro e fare finta di niente, perché "meglio prevenire che curare", no?
Ero convinta di sì.
Sapevo che facevo questo ragionamento per colpa di tutte le persone che mi avevano fatta soffrire, per colpa di tutte le persone a cui avevo dato il mio cuore e l'avevano fatto a pezzi senza pensarci due volte.
Mi asciugai le lacrime e mi alzai, ricordando a me stessa che al piano di sotto c'era Alessio che mi stava aspettando.
Aprii l'armadio e mi tolsi la sua felpa, ripiegandola con cura.
Dopodiché misi una tuta ed una maglia oversize. Tolsi le collane e pettinai i capelli, per poi farmi una treccia.
Dopo qualche minuto scesi e trovai Alessio seduto sul divano con il telefono in mano, intento a scrivere qualcosa.
Non ci feci caso, ormai succedeva spesso.
Mi chiesi se davvero, come mi aveva promesso, un giorno avessi potuto sentire qualche sua canzone.
«Tutto bene?» mi chiese, e io andai nel panico: aveva forse notato i miei occhi, ancora lucidi dalle lacrime?
Decisi di fare la vaga.
«Certo, perché?»
Fece spallucce.
«Così»
«Okay. Hai fame?»
«A dire la verità, sì. Tu?»
«Un sacco. Aspetta, preparo il caffè»
Non rispose ed andò a sedersi a tavola, mentre io mi diressi in cucina.
«Devo aiutarti?» lo sentii chiedere dopo un po'.
«No no, tranquillo, ho fatto»
«Hai qualcosa per il mal di testa?»
«Ah, sì» borbottai, e dopo qualche minuto tornai in salotto con due caffè, dei biscotti preparati da me e due bustine di Oki.
«Che facciamo oggi? No, voglio dire... oggi hai da fare?»
Mi misi a ridere.
«Credo di no, perché?»
Fece un sorrisetto e gli spuntarono due fossette sulle guance.
«Volevo portarti in un posto»
«Davvero? E dove?»
«In studio»

«Ho sentito bene?»
«Immagino di sì»
«Davvero mi porteresti in studio? E perché?»
«Voglio farti vedere come funziona, ma se non ti va non fa niente»
«Mi va. Chi altro viene?»
«Alcuni miei amici, anche loro devono registrare»
«Okay» dissi, e poi sbadigliai.
«Hai sonno?»
«Un po'. Sai, non si dorme bene sulle panchine»
«Non sono poi così scomode» disse ridendo.
«Erano buoni i biscotti?» gli chiesi.
«Sì. Li hai fatti tu?»
Annuii.
«Devi insegnarmi. Io non so nemmeno accendere i fornelli senza mandare a fuoco qualcosa»
«Ma per fare i biscotti non serve accendere i fornelli» lo presi in giro.
Lui alzò gli occhi al cielo e io risi.
«Comunque va bene. Corso di cucina privato solo per lei, signor Aresu»
«Non mi lamento»
Mi alzai e presi le tazzine per poi riporle nel lavandino.
«Io penso che mi metterò a dormire» dissi sbadigliando di nuovo.
«Va bene. Io vado, allora» disse lui.
«No, non intendevo... non devi andartene per forza, soprattutto se hai sonno»
«Non fa niente, dai»
«Resta» dissi. Sembrò più una supplica e mi sentii ridicola, ma volevo stare con lui. Era come se già sapessi che mi sarebbe mancato da morire, una volta che sarei rimasta da sola con i miei pensieri.
«Se vuoi» precisai.
«Speravo che lo dicessi» disse ridendo, poi mi prese in braccio e mi caricò in spalla.
«Mettimi giù!» urlai.
«Perché, altrimenti che fai?»
«Fammi scendere!» insistetti, lacrimando per le risate. Era così che volevo sentirmi. Ridere. Piangere dalle risate e non pensare a niente.
Perché mi succedeva solo quando ero con lui?
Mi fece scendere e ci guardammo per qualche secondo. Mi chiesi se i miei occhi riflettessero la felicità che provavo.
«Puoi riposare un po' e poi tornare a casa. Non mi va che ti metti a guidare» gli proposi, riprendendo fiato.
«Che ragazza protettiva» disse ridendo.
«Solo con te» scherzai, anche se in quella battuta c'era un pizzico di verità.
«Posso prestarti qualcosa, se vuoi. Ho un sacco di tute oversize che dovrebbero andarti bene»
Salimmo in camera e gli diedi i vestiti, dopodiché gli lasciai i suoi spazi per cambiarsi e andai di sotto a struccarmi e a lavarmi i denti.
Quando risalii lo trovai seduto sul letto.
«Tutto ok?» gli chiesi.
«Sì. Ti stavo aspettando»
Gli sorrisi e mi sdraiai sul letto, ma lui rimase seduto e vidi con la coda dell'occhio che mi guardava.
«Che c'è?»
«Ti sei struccata?»
«Sì, perché? Faccio così tanta paura?» dissi scherzando.
«Sei bella. Stai meglio così»
Sul suo viso non c'era traccia di ironia o di divertimento: era serio.
«Grazie» dissi accennando un sorriso.
Finalmente si sdraiò.
Sperai che non si sentisse a disagio, dato che eravamo entrambi nello stesso letto. Mi girai dall'altro lato.
Nonostante fossi distrutta, non riuscivo ad addormentarmi. Cercai di concentrarmi sul respiro regolare di Alessio e chiusi gli occhi.
Dopo qualche minuto lo sentii avvicinarsi.
Così, mi girai dal suo lato e appoggiai la testa sul suo petto. Non parlai, gli lasciai pensare che avessi fatto quel gesto nel sonno.
Mi accarezzò la testa e sospirò.
Abbracciata a lui, finalmente presi sonno.

Quel ragazzo di San Lorenzo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora