Storia della Filosofia - Senofane e Pitagora

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Ben tornati nella rubrica filosofica del giovedì. 

Oggi lasciamo l'universo dei filosofi naturalisti per addentrarci nel grande mondo dei filosofi presocratici, quei pensatori, cioè, venuti prima di Socrate e dunque definiti in questo modo.

Come per gli altri filosofi presocratici, e come abbiamo già visto per i naturalisti, della vita di Senofane sappiamo ben poco. La sua esistenza è databile tra il VI e il V secolo a. C. Nato a Colofone (sulle coste centrali dell'odierna Turchia e vicina a Mileto, patria dei primi grandi filosofi di cui abbiamo già trattato precedentemente) è costretto ad emigrare a causa dell'invasione persiana e, nel suo incessante peregrinare, giunge fino ad Elea, in Magna Grecia, città di illustri pensatori, nonché a Zancle (attuale Messina) e Catania.

Gli vengono attribuite fondamentalmente tre opere: La fondazione di ColofoneLa colonizzazione di Elea, e un trattato filosofico intitolato Sulla natura. Di queste tre opere, purtroppo, ci restano solo pochi frammenti.

L'argomento su cui Senofane si intrattiene maggiormente è fondamentalmente di carattere religioso o, per meglio dire, di critica religiosa, proponendo, però, una visione delle cose che possiamo definire ancora attuale.

Egli sostiene che le divinità proposte dalla tradizione greca, ed in particolare da Esiodo ed Omero, quei due massimi poeti che lo stesso Aristotele, nel primo libro della metafisica, definisce coloro "che per primi teologizzarono", sono soltanto mere antropomorfizzazioni della natura, attuate da uomini che, ignari del mondo e delle sue forze, ad un certo punto hanno sentito la necessità di cristallizzare l'idea del divino.

Gli dei, a causa dell'opinione diffusa degli uomini, dunque, vengono così ad assumere caratteri propriamente antropomorfi.

Celebre è questa sua massima:

"Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi... i mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro... gli Etiopi credono che (gli dei) siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ...ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare... i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi..."

Questa visione delle divinità data dall'essere umano è, per Senofane, inaccettabile. Dunque, egli ne propone un'altra:

"(Il divino è) uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza... Il dio, tutto intero, pensa, vede e ode ... esercita il suo dominio senza sforzo, e col suo pensiero realizza tutto...sempre nell'identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là." (Diels-Kranz, Presocratici, a curadi Gabriele Giannantoni, I, Bari, Laterza, 2009, p.171 e seguenti.)

Secondo Senofane, quindi, Dio è ingenerato e incorruttibile, è indivisibile, identicamente ed uniformemente uno, eterno, immobile e unico, essere perfetto e supremo. Simile al Dio della tradizione giudaico-cristiana, insomma, di cui differisce soltanto perché non crea dal nulla (ex nihilo) l'intero universo.

A parte questo, il distacco dalla mitologia è netto: ricordiamo che gli dei, tutti, nella tradizione greca, compiono degli sforzi per raggiungere i loro scopi, spesso si servono addirittura di esseri mortali, sono spesso in collera e in lotta fra loro. Attributi, questi, tipicamente umani e che Senofane critica aspramente.

In questo modo, il nostro filosofo, cerca di superare il dualismo frammentario che sta alla base della società greca causato anche in parte dal pantheon divino, per abbracciare un principio unificatore valido per tutti e anticipando, straordinariamente, il monoteismo.

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