Storia della Filosofia - Guglielmo di Ockham

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Nato ad Ockham, in un paesino inglese del Surrey, nel 1288, e morto a Monaco di Baviera il 10 aprile 1347, il giovane Guglielmo, entrato nell'ordine francescano, studia ad Oxford, e nel 1319 diventa professore all'interno dello stesso istituto. In questo periodo si occupa di problemi filosofici e proprio a questo periodo appartengono le sue opere più famose di filosofia e teologia.

Accusato di eresia, nel 1324, si presenta ad Avignone, presso la curia papale, dove viene trattenuto per circa quattro anni. 

Riuscito finalmente a fuggire, si reca a Pisa, presso Lodovico il Bavaro, con il generale dell'ordine, Michele da Cesena, in contrasto col papa Giovanni XXII per la questione della povertà dell'ordine francescano stesso, e con il confratello Bonagrazia da Bergamo. I tre frati, scomunicati, riescono tuttavia ad ottenere piena protezione dall'imperatore e si ritirano a Monaco di Baviera, dove, in convento, Ockham scrive i suoi trattati politici, a sostegno della tesi secondo la quale il potere temporale deve necessariamente essere svincolato da quello spirituale del papato.

Il più importante dei suoi trattati politici è il Dialogus inter magistrum et discipulum de potestate papae et imperatoris, in cui Guglielmo pone al centro del suo pensiero la tesi dell'irripetibile individualità di ciascun essere, legata all'idea dell'infinita potenza di Dio. 

Dal punto strettamente filosofico, Ockham ribalta le teorie aristoteliche più diffuse.

Vediamo come.

Per il nostro filosofo, la realtà è tutta individuale, e nessun principio universale esiste fuori dell'anima; né le "idee" platoniche, né l'aristotelico e tomistico quod quid est (l'essenza individuata come fondamento oggettivo dei processi astrattivi), né le scotistiche formalitates; l'universale è quindi solo nel soggetto conoscente, colui che esperisce la realtà. Nella realtà individuale, poi, non v'è distinzione di essenza ed esistenza, dunque le relazioni diventano, con Ockham, oggetto della logica e non della metafisica. 

A questa concezione della realtà corrisponde una psicologia che riconosce il primato alla conoscenza intuitiva, la quale ha per oggetto le cose stesse nella loro puntuale esistenza.

Nella filosofia aristotelica (dunque medievale), invece, l'essenza e l'esistenza sono distinte, e coesistono tra loro soltanto nel rapporto di potenza e atto. L'essenza è in potenza rispetto all'esistenza, mentre l'esistenza è l'atto dell'essenza. 

Un esempio della non distinzione tra essenza ed esistenza di Ockham può essere questo: un fiore esiste e basta. Esiste perché è. Essenza ed esistenza coincidono.

Questa concezione della realtà e questo modo d'intendere il processo conoscitivo hanno le loro corrispondenze nella teologia: cade il valore delle tradizionali prove dell'esistenza di Dio; neppure il principio di casualità può essere utilizzato nella prova dell'esistenza di Dio, non essendo possibile escludere un regresso all'infinito. Dio è solo oggetto di fede; e gli attributi divini sono nomi che attribuiamo allo stesso essere. Tra questi attributi Guglielmo sottolinea l'onnipotenza, che sta a fondamento di una concezione contingentistica in cui tutti gli esseri, le loro relazioni e gli stessi fondamentali princìpi logici ed etici dipendono dalla volontà di Dio.

Anche nella fisica sono molte le critiche che il filosofo muove all'aristotelismo scolastico: è valutata come fondamentale la conoscenza intuitiva, come abbiamo detto, quindi sperimentale, e questo vale anche per alcune dottrine fondamentali della filosofia. Pensiero che ritroveremo sia nel metodo sperimentale di Galileo che nelle teorie di Cartesio et alia.

Tutto questo, porta a rivedere profondamente il rapporto tra filosofia e teologia: di quest'ultima è negato ogni valore speculativo, ogni possibilità di usare, nel suo ambito, tecniche filosofiche: nella teologia il fondamento, la guida è la fede. Per converso, la filosofia, nel suo ambito, è autonoma. Autonomia di sfere che si riflette, in ambito politico, nella distinzione tra Chiesa e Stato.

Grande figura di pensatore, Guglielmo di Ockham, segna uno dei momenti culminanti della crisi della cultura e della società scolastica, quale si era affermata lungo il secolo XIII: per molti aspetti, egli avvia un orientamento di pensiero che avrà larga influenza nei successivi secoli.


Il rasoio di Ockham

Il lascito più noto di Guglielmo è il suo famosissimo "rasoio", così definito perché, proprio come l'affilatissimo utensile sopracitato, in filosofia, come nella vita:

«Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora.» 

«È inutile fare con più ciò che si può fare con meno.» 

oppure

«A parità di fattori, la spiegazione più semplice è quella da preferire.»

In altre parole, dal punto di vista metodologico, l'idea è quella di scartare, in modo assoluto, le ipotesi più complicate. Non vi è motivo alcuno per complicare ciò che in realtà è semplice, va invece ricercata in ogni modo la semplicità e la sinteticità (da no confondere con l'ingenuità).

Questo anche in base ad un altro principio, elementare, dell'economia di pensiero, e cioè è ragionevole scegliere, tra le varie soluzioni, quella più semplice e plausibile.

Il "rasoio di Ockham" è stato utilizzato, successivamente, nell'ambito della filosofia e delle scienze. Basti pensare alle teorie sull'origine dell'universo sorte da poco, alla matematica, e persino alla teologia (per spiegare l'esistenza di Dio) e all'ateismo (per dimostrarne la sua inesistenza).

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 17, 2022 ⏰

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