Capitolo 6

877 66 5
                                    

Dovevo correre. Il più velocemente possibile e senza guardarmi indietro. La meta non era importante, ci avrei pensato più avanti. Ora la cosa più importante era mettere quanta più distanza possibile tra me e... Lui.
Non aveva alcuna importanza quello che voleva mio padre, io non potevo, non potevo sposare quel mostro.
Non poteva essere certo quello il mio destino.
No. Sarei scappata, avrei trovato qualcuno che mi ospitasse, mi sarei creata una nuova vita e avrei visto il mondo, proprio come le protagoniste dei libri che tanto amavo.
Non avrei avuto legami, ne responsabilità.
Pensando a quel futuro meraviglioso, percorrevo le stradine e i vicoletti della cittadella.
Il semplice abito color terra e il velo, che avevo rubato ad una serva del castello, mascheravano parzialmente la mia identità. Non che il popolo vedesse così frequentemente la sua principessa da saperla distinguere nel chaos di un giorno di mercato. Ma non era certo da loro che volevo nascondermi.
Ad un tratto li udii. Dei passi pesanti e marcati arrivavano alle mie spalle. Mi seguivano. Sentii il panico risalirmi per la colonna vertebrale. Rallentai e mi infilai in un vicoletto secondario; conoscevo la città meglio di me stessa, forse avrei potuto seminarlo.
Per un attimo ripresi speranza, poi lo vidi. Che sciocca! Anche lui la conosceva bene e in più aveva... la magia.
Feci marcia indietro e corsi a perdifiato, senza guardarmi alle spalle.
La paura mi aveva giocato un brutto tiro. Ero finita in un vicolo cieco.
Lo sentii ancora prima che parlasse.
Respirai, buttando fuori l'aria tra i denti.
Mi voltai, lentamente.
"Presa" mormorò.
Prima che potessi fare o dire alcunché, un'ondata di luce bianca mi investì. Persi i sensi.
Aprii gli occhi affannata, cercando di districarmi dalle coperte.
Un altro incubo. Pensavo che avessero finalmente deciso di lasciami in pace. Invece eccoli di nuovo, vividi e dettagliati come sempre.
Mi coprii il volto con le mani, feci profondi respiri, tentando di calmarmi. Era passato così tanto tempo. Non dovevo più averne timore.
Lui non avrebbe più potuto farmi del male.
Me lo ripetei più volte per convincermi.
Cercai di pensare a qualcosa di allegro.
Strofinandomi gli occhi, mi guardai intorno. L'interno della mia lampada era sempre lo stesso, ma le pareti erano traslucide e mi permettevano di guardare l'esterno. Segno che ero di nuovo libera. Almeno quello non era stato un sogno.
Mi alzai dal letto scalciando le coperte. Mi avvicinai alle pareti e guardai fuori. Vidi lenzuola scure sul pavimento, un letto sfatto, uno scaffale stracolmo di libri e una scrivania di mogano. Era la camera del mio padrone, realizzai sconcertata. Doveva aver appoggiato la mia bottiglia sul suo comodino.
Sentii una sfumatura rosa tingermi gli occhi.
Scossi la testa. A che stavo pensando? Sicuramente l'aveva fatto per non lasciare qualcosa di tanto prezioso incustodito.
Forse alla fine, si stava rendendo conto del grande potere che aveva tra le mani. E avrebbe iniziato a sfruttarlo.
Il rosa lasciò il posto all'azzurro ghiaccio. Non avrei dovuto illudermi. Misi da parte quei pensieri amari e andai a cercare qualcosa da mettermi. Aprendo la cassettiera sentii un po' di buonumore ritornare. Dopo aver sparpagliato per la stanza praticamente tutti i vestiti che possedevo, decisi per una gonnellina a balze gialla, pantaloncini a mezza gamba rosa e una maglietta bianca con scollo a barca.
Si, tutto sommato poteva andare.
Ravvivai indietro i miei lunghi capelli scuri e vi annodai un bel nastro rosso, intonato ai miei riflessi ramati. Infilai delle comode scarpe bianche e mi specchiai. I miei occhi erano tornati di un blu intenso, segno che il malumore se n'era andato, e le guance avevano un tenue colorito rosato.
Mi ero sempre considerata bella, con i miei occhi grandi, il naso dritto e la bocca delicata. Forse ero fin troppo vanitosa, ma di sicuro avevo scontato troppo per quel mio peccato.
Sospirai. Dopo un'ultima occhiata allo specchio e un sorriso appena accennato, schioccai le dita.
Appena uscita dalla lampada, andai in cerca di James.
Gironzolai un po' per le stanze del primo piano, più intenta a curiosare che a trovare il mio padrone. Alla fine mi decisi a scendere di sotto, mi fiondai in cucina da dove proveniva un soave odore di uova e carne abbrustolita.
Pagliuzze d'oro mi si accesero negli occhi. Il tavolo era apparecchiato soltanto per una persona, ma la porzione era piuttosto abbondante.
Si era dimenticato che c'ero anch'io?! Che antipatico!
Provai a chiamarlo diverse volte, ma di lui non c'era traccia.
Chi lasciava una tavola imbandita e il cibo intatto? Un'ombra violetta di preoccupazione mi passò negli occhi. Poteva essergli successo qualcosa? Ma chi avrebbe voluto prendersela con lui, lasciando qui me?
La mia mente volava tra le idee più stravaganti e le situazioni più assurde.
Un istante prima di smaterializzarmi per cercarlo, mi accorsi di un biglietto incastrato sotto il piatto. Lo presi e lo lessi velocemente, ad ogni parola sentivo la preoccupazione scemare e un'altra emozione farsi strada.
'Buon appetito, Scricciolo. Io vado a scuola. J.'
Aveva davvero cucinato per me? Era stato così... gentile? Sentii qualcosa muoversi all'altezza dello stomaco, non era fame, era strano ma piacevole.
Prima ancora che i miei occhi potessero tingersi di rosa, un altro pensiero passò per la mia mente.
Rilessi il biglietto per averne conferma.
'Vado a scuola'
Se n'era andato, lasciandomi qui. Da sola. Peggio ancora lasciando qui la mia preziosa lampada. Era davvero un idiota!
Sentii il rosa sfumare nel rosso intenso e le mani sfrigolare di scintille. Come gli era venuta in mente una sciocchezza simile? Non capiva che se qualcuno avesse trovato la mia bottiglia sarebbe stato un guaio?! Eppure mi era sembrato un tipo sveglio.
Mi maledissi per quel mio momentaneo eccesso di fiducia.
Mille anni di schiavitù non mi avevano proprio insegnato nulla! Respirando tra i denti, cercai di mettere da parte la rabbia e concentrare la mia energia per trovarlo.
Liberai la mente e lasciai che la mia magia facesse il resto. Lo vidi. Si trovava a circa 5km a nord-est da me.
"Beccato" mormorai.
Schioccai le dita, senza esitazione.
Quando riaprii gli occhi, mi trovai in un grosso spiazzo aperto. Linee bianche segnavano il terreno liscio, e strani oggetti metallizzati a quattro ruote stavano, più o meno ordinatamente, sistemati tra le righe. Alcuni ragazzi scendevano rapidamente da quei veicoli e affrettavano il passo verso un imponente edificio di mattoni rossi. Era enorme, con una struttura prevalentemente rettangolare, si sviluppava su tre piani e la facciata chiara era mossa da numerose finestre quadrate. Sull'ingresso principale campeggiava una targa, che recitava 'Lakewood High School. Soldati di oggi, leader di domani'. Quella era la scuola?! Assurdo! Sembrava tutto, meno che quello. E quel motto non era degno nemmeno della più infima scuola militare. Patetico.
Nel frattempo alcuni ragazzi avevano iniziato a lanciarmi strane occhiate.
Le ragazze correvano via a braccetto, coprendosi la bocca con la mano, senza riuscire a mascherare i risolini.
Non capendo la ragione di un tale comportamento, mi decisi ad affrettare anch'io il passo verso quell'edificio. James doveva essere lì dentro. Varcata la soglia, una cacofonia di suoni mi colpì le orecchie.
Ovunque guardassi scorgevo centinaia di ragazzi e ragazze intenti a chiacchierare in piccoli gruppi, recuperare voluminosi libri da piccoli armadietti stipati lungo le pareti oppure affrettarsi in differenti direzioni lungo l'ampio corridoio.
Quello doveva essere un luogo di apprendimento? Era peggio di un giorno di mercato alla cittadella.
Gli stralci di conversazione che udii poi, erano tutto fuorché didattici. Doveva proprio essere una strana epoca.
Scartai mentalmente l'ipotesi di usare i miei sensi magici in mezzo a quella confusione. Mi sarei solo fatta venire un mal di testa delle dimensioni di Giove.
Fortunatamente non ce ne fu bisogno. James era esattamente dall'altro lato del corridoio, stava appoggiato mollemente alla parete, ascoltando con aria annoiata le chiacchiere di un altro ragazzo.
Non si accorse di me, il che non fece che incrementare ulteriormente la mia furia.
Pregai che nessuno notasse la tinta scarlatta dei miei occhi.
Mi avviai a passo deciso verso di lui, fendendo la folla di studenti che aveva il buon senso di spostarsi al mio passaggio.
A volte l'istinto lavorava meglio e più in fretta della ragione.
Mi fermai a meno di mezzo metro da James, puntandomi le mani sui fianchi.
"Cosa diavolo ti è saltato in mente?!" strillai, furibonda.
La sua reazione fu lenta ed incredula. Non sapeva se credere, o più probabilmente non voleva credere, ai suoi occhi.
Il solo fatto di averlo lasciato in quello stato di totale stupore, era già una piccola vittoria. Ma non mi sarebbe bastato. Avrebbe dovuto capire la gravità delle sue azioni.
"Mi hai lasciata a casa da sola! E non hai preso nemmeno la lampada!" urlai "Ti rendi conto della tua stupidità?!"
Un coro di 'oooh' seguì la mia sfuriata, mi accorsi solo in quel momento che tutti i presenti si erano voltati nella nostra direzione.
La mia momentanea distrazione lo aiutò a ritrovare la parola.
"Ginny" disse, con voce bassa e profonda.
"Bene! Almeno il mio nome te lo ricordi. Iniziavo a temere che soffrissi di un qualche tipo di disturbo mentale" lo interruppi.
"Ehi signorina! Perché non provi a darti una calmata?"
Era stato il ragazzo accanto a James a parlare.
Solo ora focalizzai su di lui la mia attenzione. Era più basso di James di qualche centimetro, portava corti capelli castani e aveva luminosi occhi blu. Dal fisico dedussi che dovesse trattarsi di un atleta.
"Che ti avrà mai fatto Jay? Ti ha dato buca?" proseguì con un sorriso.
Per quanto quel tipo mi irritasse, l'idea che si era fatto della situazione non poté che strapparmi un sorriso.
"Perché non lo chiedi al tuo amico?" proposi, continuando a fissare James arrabbiata.
Il ragazzo diede a James una gomitata scherzosa.
"Che le hai fatto, amico?" gli chiese.
James lo ignorò.
"Si può sapere come ti è venuto in mente di seguirmi fin qui?!" sibilò invece rivolto a me.
"No, come è venuto in mente a te di non svegliarmi e uscire senza dirmi niente" ribattei.
"Ooooh amico! Sta volta l'hai combinata grossa!" ridacchiò il suo amico. "Ascoltalo! Ha più buon senso di te" mormorai.
"Zitto Corbin! Non sai di che parli" ribatté James.
"Andiamo amico! Non è il caso di prendersela. In più ti consiglio di abbassare i toni. State dando spettacolo" disse indicando verso gli altri studenti presenti.
Un trillo acuto mi perforò i timpani.
A quel punto, come rispondendo ad una sorta di comando, tutti gli studenti si avviarono in diverse direzioni, lasciando semi-deserto il corridoio.
James mi prese per un braccio e iniziò a trascinarmi da una parte.
"Ma che fai?" sbraitai, tentando di divincolarmi.
"Dobbiamo parlare" disse "In privato"
"Ehi Jay, vacci piano" lo richiamò il suo amico.
"Vai in classe. Ti raggiungo" mormorò James in risposta.
Quello sembrò tentennare per un po' poi infine si decise ad andare. "Buona fortuna, tesoro! Spero di rivederti" disse rivolto a me.
Ingoiai una rispostaccia, incespicando per stare al passo con James.
Mi trascinó fino ad una stanza sulla sinistra, sulla porta vi era raffigurata una donna stilizzata, ma James nn sembró farci caso. Mollò il mio braccio e controllò sotto le sottili porte di legno, per assicurarsi che fossimo soli.
Notando i lavandini e gli specchi capii che si trattava di un bagno; uno per signore a giudicare dal cartello sulla porta. Appena accennai a farglielo notare, lui mi interruppe bruscamente.
"Come ti è saltato in mente di venire fin qui?!" mi strillò
"Hai idea di quello che hai combinato lì fuori?!"
A quelle parole la mia furia tornò ad accendersi. Con quale diritto se la prendeva con me, per un suo madornale errore?!
"Quello che ho combinato io?! E tu invece? Mi hai lasciata da sola e peggio hai lasciato incustodita la lampada!" urlai di rimando.
"Questo non è un gioco, Ginny. Quelle persone non sanno, e non possono sapere, di te! Non..."
Sentii le scintille pizzicarmi le mani, per poco non polverizzai un lavandino.
"Un gioco?!" sbraitai fuori di me "Come ti salta in mente che per me sia un gioco?! Questa è la mia vita, idiota"
La mia sfuriata sembrò colpirlo; senza dubbio doveva aver notato i miei occhi scarlatti e la magia uscire incontrollata dalle mie dita. Sembrava quasi... spaventato.
Una parte di me gioì malignamente a quella reazione. Ma cercai di ignorarla.
Ripresi un pizzico di controllo, le scintille svanirono.
"Quella stupida bottiglia, che a te tanto disturba, è la mia vita! Siamo legate indissolubilmente" sbottai, ancora in collera.
Ci mise un po' a ritrovare la calma, poi mostrò un'ombra di confusione. Sospirai. Probabilmente avrei dovuto essere estremamente chiara a riguardo.
"Tutto quello che succede a quello stupido barattolo succede a me! Se qualcuno la lanciasse in un fiume io andrei a fondo con lei, se qualcuno la rubasse io sarei costretta a servire un nuovo padrone, se tu te ne allontani troppo il legame genio-padrone si spezzerebbe e io sarei costretta a ritornare prigioniera nella lampada. E io non ho alcuna intenzione di tornarci" spiegai, senza riuscire a controllare il tono.
James mi guardò sconcertato; i suoi occhi d'ambra sembravano luccicare. Nel vederli, un po' della mia rabbia scemò.
"Non lo sapevo" mormorò.
"Ora lo sai" ribattei acida, evitando il suo sguardo.
Non volevo lasciarmi incantare.
"Scricciolo..." alzai gli occhi, mio malgrado
"Mi spiace. Davvero"
Non capii se si riferisse all'aver dimenticato la lampada o alla mia situazione. Sembrava sincero, però.
"D'accordo" dissi infine "Ora chiedi di avere la lampada con te."
Annuì e fece come gli avevo chiesto. Era una bella sensazione essere assecondati. Avrei potuto abituarmici.
Battei le palpebre e la lampada comparve tra le sue mani.
"Bene" disse "Ora torna dentro"
"Cosa?!" sbottai "Scordatelo."
Digrignò i denti, irritato.
"Non puoi restare qui!"
"Perché no? Tanto ormai mi hanno vista" dissi incrociando le braccia.
"Sì, difficile non averti notato, dopo quella scenata. E poi come ti sei conciata?!" aggiunse indicando i miei vestiti. Puntai le mani ai fianchi "Che ci sarebbe di sbagliato?!" chiesi irritata.
"Sembra che l'armadio di un clown ti sia esploso addosso."
Pur ignorando cosa fosse un clown, intuii l'offesa sottintesa a quelle parole.
"Come ti permetti?! E poi cosa mi metto addosso, non è affar tuo" replicai.
"È affar mio se vieni qui!" rimbeccò.
Senza che me ne accorgessi avevamo accorciato le distanze. Ormai eravamo a pochi centimetri l'uno dall'altra. Sentivo il suo respiro sul viso. Per un istante il suo odore mi inebriò. Anche lui doveva essersene accorto perché fece un passo indietro, e accennò un sorriso arrogante. "Ma in fondo sei libera ti metterti in ridicolo quanto vuoi" sussurrò tagliente.
Suo malgrado l'allusione non mi colpì.
"Pensi davvero che dopo tutto quello che ho passato, possa interessarmi l'opinione di qualche adolescente?" dissi, sorridendo a mia volta.
Il suo sorriso non fece che allargarsi; chiaramente non si fece impressionare dalle mie parole.
"Ma a te invece sembra interessare parecchio... Sbaglio?" chiesi innocentemente, con una luce maliziosa negli occhi.
Vidi il suo sorriso tentennare. Schioccai le dita due volte e stetti a godermi la scena.
Dallo specchio in cui mi ero rifugiata, rimasi a guardare James, con addosso i miei splendidi vestiti, tentare di spiegare ad una ragazzina che cosa ci facesse lì. Alla fine la convinse ad uscire, dicendole che si trattava di uno scherzo della squadra di nonsocosa.
Uscii dallo specchio ridendo a crepapelle, gli occhi completamente dorati. Lui mi fulminò con lo sguardo.
"Felice di averti divertito" mormoró, scompigliandosi i capelli.
"Sì, grazie davvero; una delle migliori scene a cui abbia mai assistito" dissi tra una risata e l'altra.
Il suo viso imbronciato si rilassò un poco. Abbozzò un sorriso.
"Okay, Scricciolo ti sei divertita. Ora ridammi i vestiti" disse nel tono più calmo possibile.
"D'accordo" dissi, asciugandomi le lacrime "Ma prima devi promettermi di farmi restare."
Serrò la mascella e strinse i pugni.
"Sai ho un intero armadio di splendidi abiti da farti sfoggiare" proseguii con un ghigno.
Lui sbuffò, ma irritazione e divertimento battagliavano sul suo volto.
"Va bene. Ma niente scenate. E starai alle mie regole."
Lo guardai per un po', soppesando la sua proposta. Alla fine mi arresi. Annuii e schioccai le dita, facendo tornare i suoi jeans scuri e la maglietta attillata. Gli stavano decisamente meglio dei miei abiti. Cercai di distogliere lo sguardo dal suo petto.
"Grazie" disse sollevato.
"Quali sono le regole?" chiesi.
"Primo: nessuno deve sapere chi sei, diremo a tutti che sei una mia lontana cugina, venuta a trovarmi da un altro paese. Secondo: niente magia qui, a meno che non sia strettamente indispensabile" aggiunse alla mia occhiataccia "Terzo: cerca di farti notare il meno possibile."
Erano condizioni accettabili, eccetto per l'uso della magia. Era parte di me e non avrei saputo sopprimerla. Era la mia essenza. Ma James non doveva necessariamente sapere quanto la usassi. Sorrisi allegra. "Accetto" dissi convinta.
"D'accordo. Dovremmo iscriverti, e darti un'identità... Sai falsificare dei documenti?" mi domandò distrattamente.
"Certo, posso fare tutto!" confermai gesticolando con la mano, con fare teatrale.
Rise e mi appoggiò una mano sulla testa. Cercai di non prestare attenzione alle sensazioni che scatenava in me il suo contatto.
"Ora usciamo di qui, Scricciolo. Non vorrei dare altro spettacolo per oggi" Sorrisi, percependo l'elettricità nel mio corpo. Mi sarei davvero divertita. Rimesso piede in corridoio, fui nuovamente assordata da quel suono squillante. Mi coprii le orecchie finché non cessò.
"Ma cos'è questo suono odioso?" chiesi infastidita.
"La campanella. Ed è meglio che ti ci abitui. Suona a tutte le ore" rispose James.
Lo guardai, pregando che scherzasse. Deglutii preoccupata. Odiavo i suoni troppo forti. I miei sensi magici amplificavano già a sufficienza tutto quel che mi serviva percepire.
Come a voler farsi beffe di me, meno di trenta secondi dopo, migliaia di ragazzi si riversarono in corridoio, affrettandosi qua e là.
"Ehi amico! Hai saltato la prima ora, sai?" urlò qualcuno nella nostra direzione.
Il tipo strano di prima ci stava raggiungendo, facendosi strada nella calca. Mi pareva che James l'avesse chiamato Corbin, o qualcosa del genere. "Tranquillo, amico. Ho detto alla Wilkinson che hai avuto un attacco di" mimó il gesto di dare di stomaco "E per questo sei dovuto correre in bagno" concluse brillantemente.
Idea originale, pensai. James sembrò pensarla allo stesso modo, ma si limitò a fargli un cenno del capo.
In quel momento lui si accorse di me, ancora schiacciata tra James e la porta del bagno. Mi fece un gran sorriso, denso di sottointesi. Una scintilla oro mi si accese nello sguardo. Poi si rivolse a James, dandogli di gomito.
"E pensare che tutti erano tanto preoccupati per il tuo malore! Mentre tu te la spassavi con la brunetta" gongolò.
James alzò gli occhi al cielo, evidentemente doveva essere abituato agli sproloqui dell'amico.
"Un consiglio da amico, Jay. Il bagno delle ragazze? Ti prego puoi fare di meglio! Se vuoi la mia opinione, lo sgabuzzino del bidello è molto più..." prese a dire, gesticolando.
"Corbin" lo interruppe James "Ti presento Ginny" disse facendo un ampio gesto nella mia direzione.
Corbin mi porse la mano e io mi feci avanti per stringerla.
"Corbin Reed, al tuo servizio tesoro" disse, sorridendo maliziosamente. Aveva una stretta forte e calda; non seppi dire perché, ma mi piacque. "Piacere. Io sono Ginny... Ginny Wish" affermai, lanciando un'occhiata in tralice a James: stava sogghignando.
"E non è come credi" aggiunse James, reprimendo il ghigno.
"Certo, certo" lo canzonò l'altro.
"Fossi in te starei attento all'uragano Ashley! È particolarmente distruttiva oggi" spiegò ostentando finta preoccupazione.
Non capii a che si stesse riferendo, ma mi trattenni dal chiedere.
"Corbin, lei è mia cugina" disse James ignorandolo "Starà da noi per un po', i suoi sono in viaggio..." Mi guardò come aspettandosi che confermassi.
"Già, sono in Tunisia" mi affrettai a dire "Posto fantastico. Sono là per lavoro e mi hanno mollata al cuginetto" aggiunsi sorridendo, sperando di risultate credibile.
"Ma che dolci!" mormorò Corbin allegro.
Poi mi cinse le spalle con un braccio, tirandomi vicino a sé.
"Benvenuta alla Lakewood High School, tesoro" indicò il corridoio con il braccio libero, come se stesse presentando un'opera d'arte.
"Sei fortunata sai?" mormorò piano "Sei in compagnia della miglior guida turistica del posto. Vedrai in meno di un giorno conoscerai questo posto meglio delle tue tasche".
Era davvero un gran chiacchierone questo tipo! Ma rispetto alla mia prima impressione, i suoi modi gentili e stravaganti iniziavano a piacermi. Non potei fare a meno di sorridergli.
A quel punto James tolse il suo braccio dalle mie spalle e disse
"Le piacerebbe molto Cor, ma ora deve proprio tornare a casa. È venuta solo per firmare i moduli del trasferimento."
Tipico di James, spedirmi a casa e rovinarmi il divertimento.
"Posso andarci più tardi, dopo aver fatto il giro." proposi, alzando il mento nella sua direzione.
Il volto di Corbin parve illuminarsi, mentre James assunse un'espressione tesa.
"No, non puoi" disse lui, sicuro.
Lo fulminai con lo sguardo. Che prepotente!
"Perché no?" la domanda di Corbin precedette la mia.
"Perché, perché..." per un attimo parve in difficoltà. La cosa non poté che rallegrarmi.
Corbin lo guardò alzando le sopracciglia, in attesa di una risposta.
"Non devi chiamare i tuoi? Sai che se non lo fai si preoccuperanno" chiese allora James, con finta disinvoltura. Mi fissò sperando che afferrassi il concetto. Avevo promesso, basta scenate per oggi. Dovevo tornarmene a casa. Concetto afferrato. Noioso!
"E dai Jay! Non fare il guastafeste" lo rimbrottò Corbin.
"No, ha ragione" dissi fra i denti "Me ne ero dimenticata" aggiunsi battendomi sulla fronte.
Corbin sembrò sinceramente deluso. La mia opinione su di lui non faceva che migliorare.
"Sarà per la prossima volta" dissi ammiccando e strappandogli un sorriso. "Meglio che vada ora" aggiunsi, cogliendo l'occhiataccia di James.
"Ti accompagno" propose James, rigido.
"Non ti scomodare, cuginetto" dissi enfatizzando l'ultima parola. "Tornerò come sono arrivata" spiegai, allegra. Non ne sembrò felice, ma non mi fermò. Girai i tacchi e mi incamminai verso le porte.
"A presto, tesoro" mi salutò Corbin.
Feci loro un cenno con la mano senza smettere di camminare.
"Mica male la cuginetta, dove la tenevi nascosta?" sussurrò allora a James.
"In soffitta" disse lui, senza scomporsi.
Trattenni una risata finché non fui fuori, dopodiché la liberai. Insolitamente felice della piega che avevano preso gli eventi, mi smaterializzai in una nube di fumo rosa.

Spazio autrici :)

Auguri di buona Pasqua!
Per ringraziare i nostri lettori, abbiamo deciso di fare un regalo, pubblicando il nuovo capitolo!
Prendetelo come una sorpresa, nascosta in un uovo pasquale xD
Grazie a tutti quelli che leggono la nostra storia.
Commentate e votate!
Ancora tanti auguri da Mely, Fede e Giuly

Make a WishDove le storie prendono vita. Scoprilo ora