Capitolo 37

398 46 2
                                    

Spazio autrici

Ciaoo a tutti!
Volevamo scusarci per non aver pubblicato in tempo il capitolo.
Ci dispiace davvero tanto :(
Detto questo vi lasciamo ai nostri protagonisti.
Buona lettura!
Mely, Fede, Giuly


"È stato... Incredibile!" stava commentando di nuovo Corbin, mezz'ora dopo una disastrosa lezione pratica di chimica.
"Sì, incredibile che ne siamo usciti tutti illesi" commentò acida Ashley, passando lì accanto.
"Per poco la tua amichetta non ci faceva saltare in aria. Dovrebbero espellerti" disse, rivolgendomi un'occhiata malevola.
"Certo. E noi chiederemo la tua opinione quando ce ne importerà qualcosa" la rimbeccò Corbin.
Ashley lo fissò gelida per qualche istante prima di girare brusca sui tacchi ed andarsene col naso all'aria.
La osservai veleggiar via, con le punte delle dita frementi dal desiderio di far esplodere qualcos'altro.
Non che l'incidente in laboratorio fosse stato programmato, ovvio. Era stata più che altro... Una distrazione, ecco.
Cercai di non indugiare troppo col pensiero sul cosa mi avesse distratto... O meglio sul chi.
Poco prima dell'inizio della lezione, il professore aveva annunciato l'arrivo di uno nuovo studente nella sua classe.
Una serie di mormorii eccitati aveva scosso l'intera popolazione femminile non appena il nuovo arrivato ebbe messo piede in aula.
Alzando lo sguardo incuriosita mi ero trovata davanti gli spettacolari occhi di ghiaccio del ragazzo del parcheggio. Un brivido mi aveva percorso l'intera colonna vertebrale, mentre un sussulto mi aveva scosso lo stomaco.
Avevo cercato di liberarmi dalla presa magnetica del suo sguardo, ma lui non me l'aveva permesso. Mi aveva fissato con tale intensità da avermi fatta sentire quasi mancare. Per un attimo mi era addirittura parso di aver notato un lampo di trionfo in fondo ai suoi occhi incredibilmente azzurri. Poi, dopo quello che mi era parso un secolo, lui aveva distolto lo sguardo e tutto era cessato.
Era stato come riemergere da una prolungata apnea, e mi ci erano voluti diversi profondi respiri per riprendere il controllo di me stessa.
Avevo trascorso il resto della lezione, cercando di combattere il desiderio di tornare a fissarlo.
"Non darle retta, Ginny. È stato spettacolare" mi rincuorò Corbin, riportandomi alla realtà.
Focalizzai lo sguardo su di lui, con espressione leggermente ammorbidita.
"Questa volta non credo abbia tutti i torti" intervenne James, accennando col capo al punto in cui Ashley era appena sparita.
"Andiamo! Non è stato poi questo granché... Ha solo fatto un po' di schiuma e qualche scintilla" replicai, in mia difesa.
"Se avessi ascoltato il professore non lo avrebbe fatto, però" puntualizzò lui.
"Oh ti prego! Non ho certo bisogno della chimica per far cambiare colore all'acqua"
"Non è questo il punto..."
"E quale sarebbe allora?" lo interruppi, brusca.
Mi rivolse un'occhiata severa, ma non rispose.
"Senti, se pensi che abbia sbagliato perché non corri dal preside insieme a lei?!" lo sfidai, rivolgendogli un'occhiata scarlatta.
"Avresti potuto farti male" replicò lui serio, ignorando la mia provocazione.
Lo fissai piatta, stringendo le labbra in una linea sottile. Dal suo tono non traspariva certo preoccupazione. Irritazione più che altro.
"Mi stavo solo chiedendo cosa ti avesse distratta tanto da farti quasi rischiare di far saltare tutto in aria" proseguì, lanciandomi un'occhiata penetrante.
Fu il mio turno di ignorare il suo commento.
"Avanti! Chi se ne importa? È andato tutto bene, no? E poi chi se la scorda la faccia del professore?" esclamò Corbin, interrompendo la nostra gara di occhiatacce.
Risi assistendo alla sua ispirata imitazione della reazione del professor Kelly al mio disastro, poi mi affrettai a tornare in classe. Lo sguardo sospettoso di James tuttavia non smise di seguirmi per il resto della giornata.

Ero circondata da una tenebra profonda e soffocante. Una risata lunga, fredda e crudele mi rimbombava nelle orecchie. Mi afferrai la testa cercando di escludere quel suono. Ma quello crebbe d'intensità.
"Credevi davvero di potermi sfuggire?" sussurrò una voce a pochi centimetri dal mio viso.
Aprii gli occhi, ma l'oscurità era troppo intensa per poter scorgere alcunché. Un senso di soffocamento mi chiuse la gola, impendendo al mio grido di terrore di prendere forma.
Volevo scappare. Ma la voce aveva ragione, non potevo fuggire...
Mi portai le ginocchia al petto e cercai di ricacciare indietro le lacrime.
La risata tornò a risuonare nell'oscurità che mi circondava. Cercai di pensare a qualcosa, una qualunque cosa, che mi aiutasse a chiudere fuori la fredda paura che si insinuava nel mio cuore.
Il volto di James comparve all'improvviso, e non richiesto, nella mia mente.
"Lui non può aiutarti" commentò gelida la voce.
Focalizzai l'attenzione sul viso di James, che aveva iniziato a dissolversi nei miei pensieri.
"Tu sei mia!" sentenziò perentoria la voce.
Mi svegliai con un sussulto.
Strano. Davvero strano, pensai, dopo aver ripreso fiato.
Avere incubi orrendi quasi ogni notte non era certo una novità, né tanto meno una sorpresa, ma quello... Quello era diverso.
Cos'era quel sogno?
Non un ricordo. Eppure era sembrato molto più di un banale incubo.
Quella era di sicuro la voce che tormentava ormai da qualche secolo le mie notti... Ma cos'era quel posto?
E James? Che c'entrava lui in tutto quello?
Che il nostro legame gli avesse permesso di entrare di nuovo nei miei sogni?
Con uno sbuffo spazientito accantonai quei pensieri improduttivi e iniziai a cercare un rimedio al lancinante mal di testa che premeva contro le mie tempie.
Con uno schiocco di dita mi materializzai in cucina.
Se c'era una cosa che avevo imparato in tutto quel tempo era che un buon dolce era senz'altro il rimedio a molti mali.
Dopo aver fatto razzia di gelato e caramelle, mi rifugiai in salotto e mi acciambellai sulla poltrona. Preferendo non correre il rischio di svegliare James, scartai l'idea di accendere la tv. Così mi misi a curiosare nella ricca libreria che occupava la parete di fondo.
Dopo aver scrutato con cura i colorati dorsi dei libri disposti con estremo ordine su numerose file per due volte, scelsi il conforto di una lettura famigliare.
Tornai ad accoccolarmi sulla poltrona con il libro tra le mani ed iniziai a sfogliarlo.
Presa dalla lettura a mala pena udii i passi felpati che scendevano le scale. Alzai lo sguardo giusto in tempo per vedere James varcare la soglia del salotto.
Un'espressione insonnolita e sorpresa si fece largo sul suo viso mentre mi metteva a fuoco.
Gettai un'occhiata di sfuggita alla sveglia sul tavolino accanto a me: le 3.40.
Wow! Ero lì da quasi due ore.
"Sogno di una notte di mezza estate? Di nuovo?" chiese, con una nota di divertimento nella voce ancora roca.
"È sempre divertente" mormorai, riportando lo sguardo sulla pagina.
"Non credo fossero proprio le risate che Shakespeare aveva in mente" commentò lui, percorrendo il salotto a grandi passi.
"Probabilmente no" concordai.
"Era così serio! Comunque non posso farci nulla se trovo comiche queste estenuanti dichiarazioni d'amore e le rocambolesche fughe di amanti sventurati"
James accennò un sorriso a quella mia ultima dichiarazione.
"Perché continui a rileggerlo, allora?" chiese.
"Per trovarci un senso, suppongo" risposi "Qualcosa che giustifichi le loro azioni"
"Credo che la loro unica giustificazione sia il loro disperato amore, che tu, a quanto pare, ti diverti a denigrare" ribatté lui, sedendosi di fronte a me.
"È proprio questo il punto!" dissi, scuotendo la testa.
"Se l'amore è la loro grande ragione di vita perché li porta inevitabilmente tutti alla rovina?"
"Forse perché quello è il loro fato?" rifletté lui.
Risposta facile e ambigua. Non mi aveva mai convinto. Le azioni portano gli uomini alla rovina, non il fato.
"Allora è il fato a far tutti a rovescio, che, per un uomo che resta fedele ce ne siano milioni che tradiscono, con falsi giuramenti uno sull'altro" recitai ad alta voce.
"Di tanti personaggi, scegli di citare Puck?" domandò, mentre l'ambra nei suoi occhi scintillava nella penombra.
"Perché no? Almeno aveva senso dell'umorismo. Vedeva l'amore per quello che è: una monumentale burla del destino" affermai, allargando le braccia in gesto teatrale.
"Una visone un po' disfattista non trovi? Credi davvero che l'amore non esista?" chiese, facendosi più serio.
Gli rivolsi una lunga occhiata prima di rispondere.
Per un attimo l'immagine del suo viso nel mio sogno ricomparve davanti ai miei occhi.
"Non lo so" mormorai infine, abbandonandomi contro lo schienale della poltrona "Non penso che esista come lo intendono Lisandro e Ermia o Romeo e Giulietta"
"Perché no?" incalzò lui.
"Perché credo che l'amore vada oltre il tessere le sperticate lodi per la persona amata e il crogiolarsi nel dolore per qualcuno che non si può avere" risposi, infervorandomi.
Probabilmente era quello che rimproveravo agli amanti shakespeariani, tante parole e pochi fatti.
Lui scoppiò a ridere.
"Senza tutto ciò, probabilmente i libri di Shakespeare sarebbe un terzo di quel che sono" mormorò.
"Forse. Ma almeno sarebbe stato più coerente con se stesso"
"Che vuoi dire?"
"Ama chi ti ama, non amare chi ti sfugge, ama quel cuore che per te si strugge. Non t'ama chi amor ti dice ma t'ama chi ti guarda e tace...
Decisamente tutto il contrario di questi quattro" mormorai sollevando il libro davanti a me.
"Interessante. Quindi niente melense dichiarazione né tantomeno clamorose gesta romantiche. Come si dovrebbe allora dimostrare amore secondo te?" domandò allora, tornando a guardarmi negli occhi.
Per un attimo il pensiero di come fossi finita a parlare della mia opinione sull'amore con James, mi colpì. Avrei trovato il coraggio per proseguire?
"Conosci il detto: se ami qualcuno lascialo libero, e se ti ama davvero tornerà da te?" mormorai infine, rispondendo alla sua domanda.
"Penso che questa sia la più grande dichiarazione d'amore che qualcuno potrebbe fare. O se non altro la più autentica"
"Quindi per dimostrarti il suo amore qualcuno dovrebbe lasciarti?" chiese, confuso.
"Se fosse quello che io desidero davvero... Sì, penso che dovrebbe" affermai.
Gli occhi ambrati di James mi trafissero ed io gli restituii lo sguardo con pari intensità. In quel momento non ero più sicura che stessimo parlando di tragedie shakespeariane.
Restammo a fissarci in silenzio, mentre i secondi si dilatavano.
Non desiderata e senza alcun preavviso la voce di poco prima tornò a rimbombarmi nelle orecchie.
'Lui non può aiutarti... Tu sei mia!'
"Sarà meglio che vada" dissi, balzando in piedi.
"Buonanotte" sussurrai, passandogli accanto senza guardarlo.
Visto che la sua risposta tardava ad arrivare mi incamminai svelta verso le scale.
"Se l'amore non ti ha fatto commettere nemmeno la più piccola follia, vuol dire che non hai mai amato" sussurrò con voce profonda, senza voltarsi.
Continuai a camminare senza dar segno di aver udito le sue parole, ma quella frase continuò a risuonare dentro di me a lungo.

Make a WishDove le storie prendono vita. Scoprilo ora