Capitolo 9

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Mentre Lizzie camminava svelta tenendomi per mano, con foga sorprendente per la sua minuta corporatura, continuava a parlarmi di quanta voglia avesse di conoscermi e di tutte le cose che le sarebbe piaciuto fare insieme.
Per quanto non avessi idea di cosa fosse la metà delle attività che mi proponesse (Karaoke? Avrei chiesto a James) e mi limitassi a sorridere cordialmente, il suo entusiasmo sembrava incontenibile.
Doveva essere una caratteristica di famiglia quella di essere tanto allegri e spensierati, riflettei.
Mi raccontò di come lei, James e Corbin fossero davvero uniti, nonostante lei fosse più piccola e di quante cose facessero insieme.
Per un attimo provai una strana sensazione... Invidia?

Mentre ci inoltravamo per le scale e ci infilavamo in una piccola stanza piena di panche e appendini riuscii quasi a dimenticare di essere agitata. Tuttavia quando Lizzie iniziò a estrarre abiti dalla sua sacca e a cambiarli con quelli che aveva addosso, non potei che rimanerne perplessa.
"Non ti cambi?" chiese lei accorgendosi della mia espressione confusa.
"Cambiarmi?" domandai aggrottando le sopracciglia.
"Sì, cambiarti. Non vorrai fare ginnastica vestita così?" rise lei, indicando la mia gonna.
Accidenti a James! Un cambio d'abiti? E chi ne aveva mai sentito parlare? Poteva almeno farne un accenno, anche di sfuggita, pensai irritata.
Accidenti a lui!
"Che c'é? Te li sei dimenticata?" chiese Lizzie, vedendomi in difficoltà.
Smisi di stringere i pugni immaginando di chiuderli intorno al collo del mio padrone, e mi girai verso di lei sorridendo. A casa avrei fatto i conti con James.
"No no, certo che no" la rassicurai, schioccando le dita dietro la schiena.
Infilai le mani nella mia borsa ed estrassi i capi d'abbigliamento più comodi che avevo, appena apparsi magicamente ed iniziai a togliermi la camicetta che indossavo.
"Bello!" esclamò lei ammirata, fissando il mio ombelico.
Seguii il suo sguardo fino alla goccia di smeraldo che mi brillava sull'addome.
"Quando te lo sei fatta?" chiese, con gli occhi ancora sgranati.
"Molto tempo fa" mormorai cauta "Neanche lo ricordo più" mentii, voltandomi dall'altra parte.
"Ti ha fatto molto male?" mi interrogò lei, curiosa.
Non riuscii a trattenere una smorfia al ricordo di come quattro ancelle mi tenessero ferma mentre una quinta mi infilava un enorme ago nella carne. Aveva fatto male eccome, ma da allora ne avevo passate tante, alcune delle quali mi avevano fatto rimpiangere quel dolore così insignificante al confronto. Rabbrividii.
"Scusa. Sono sempre la solita invadente" si scusò lei, fraintendo la mia esitazione.
Mi voltai abbozzando un sorriso.
"Ma no figurati! Sì, in effetti ha fatto male, ma non come quando ho cercato di toglierlo da sola la prima volta" le dissi sincera.
Ricambiò il sorriso e sospirò "Beata te! Mio padre non me lo lascerebbe mai fare!"
Evitai di raccontarle come fosse stata proprio un'idea di mio padre quella di farmi bucare la pancia ed ingioiellarla. A suo dire, il mio stato e la mia nobiltà avrebbero dovuto essere evidenti da ogni centimetro di pelle. Evitai di scuotere la testa al ricordo di tanta assurdità.
Nel frattempo Lizzie finì di vestirsi e rimase in attesa che anch'io facessi lo stesso. Restia però, a mostrarle gli altri segni distintivi sul mio corpo, le dissi di andare pure avanti senza di me.
Dopo un breve sorriso uscì svelta.
Rimasta sola, chiusi gli occhi e feci un profondo respiro, tentando di riprendere la calma.
Non era certo il caso di farmi assalire dai ricordi proprio in quel momento. Prendevano già il sopravvento durante la notte, non gli avrei permesso di rovinarmi anche le giornate. Non ora.
Dopo qualche altro respiro, mi alzai e levai decisa la camicetta e la gonna che indossavo. Ignorando le sottili cicatrici che disegnavano intricati ghirigori sulla mia schiena, infilai frettolosamente la maglia e i pantaloni larghi che avevo preso dalla borsa.
Per quanto quelle non fossero particolarmente profonde, risaltavano pallide sulla mia carnagione scura.
Un tempo le avevo odiate dal più profondo del cuore, ora invece le consideravo niente più di quello che erano in realtà: un monito alla mia stupidità. Il frutto di uno dei miei mille tentavi di fuga, falliti miseramente.
Rifiutando di indugiarvi sopra più a lungo mi diressi a passi svelti verso la palestra.
Appena varcai la soglia rimasi impressionata dalle dimensioni di quel luogo, di molto superiore a quelle di qualunque altra aula avessi visto quel giorno. Perfino il soffitto era talmente alto da sembrare inesistente; la luce irrompeva dall'alto, da ampie vetrate che percorrevano l'intero perimetro della stanza.
Avrei potuto sentirmi davvero a mio agio lì dentro, se non fosse stato per le altre cinquanta persone che affollavano la stanza e mi toglievano il respiro.
"Ce l'hai fatta!" mi accolse Lizzie allegra.
Ci facemmo strada insieme fino a raggiungere le gradinate che occupavano un'intera parete.
"Il Coach non è ancora arrivato per fortuna! Pensavo che fossimo in ritardo" sospirò lei sollevata, mentre prendevamo posto sulle gradinate.
"Hey Lizzie!" la salutò una ragazza dai lunghi capelli castani, non appena ci fummo sedute.
"Ciao Rachel!" le rispose lei, facendole un cenno affinché si unisse a noi. La ragazza ci raggiunse e appena il suo sguardo si posò su di me le si accese una luce di curiosità negli occhi scuri.
"Rachel, lei è Ginny!" mi presentò Lizzie "È arrivata oggi!"
"Ciao Ginny, io sono Rachel" si presentò offrendomi la mano.
La strinsi con un sorriso.
"Piacere" mormorai.
"Allora sei anche tu una pallavolista? Ti unirai alla squadra?" mi chiese Rachel. Aveva un tono fermo e risoluto, che mi piacque.
'Una che cosa?' Ignorando assolutamente di che stesse parlando risposi di no.
"No?" si intromise a quel punto Lizzie "Sei sicura? Io sono nella squadra! Potremmo giocare insieme!" propose entusiasta.
"Non saprei, non ci ho mai giocato" feci incerta.
Quelle si scambiarono un'occhiata perplessa e mi fissarono con tanto d'occhi.
"Non sono una sportiva" spiegai, accennando un sorriso.
"È un peccato! La pallavolo è uno sport competitivo e molto divertente!" affermò Lizzie accalorata.
Non volendo contraddirla evitai di dirle quanto ritenessi improbabile che un qualunque sport potesse essere divertente.
"Non sarai una cheerleader, vero?" chiese allora Rachel, con simulato orrore.
"Ma smettila Rachel! Lei non è il tipo!" le rispose Lizzie, altrettanto divertita.
Ignorando la battuta, domandai cosa fosse una cheerleader.
Le lasciai perplesse, ma si ripresero rapidamente e ancora ridacchiando indicarono dall'altra parte della palestra, dove stava un gruppetto di ragazze. Indossavano tutte lo stesso abbinamento di canottiera e minigonna nei colori del rosso e del nero e squadravano tutti gli altri con aria di superiorità.
Prima che potessi chiedere che avessero di tanto speciale, quelle si disposero in due file e iniziarono un'intricata coreografia di movimenti e acrobazie.
"Fantastico! Inizia lo spettacolo" sbuffò Rachel annoiata.
"Come se avessero bisogno di una scusa per attirare l'attenzione" fece Lizzie, con voce lamentosa.
Effettivamente da quando avevano iniziato ad agitarsi, tutti gli sguardi erano stati attirati nella loro direzione. Quelli dei ragazzi erano avidi e languidi, mentre quelli delle ragazze sembravano rassegnati e annoiati. Doveva essere una cosa abituale, riflettei.
"Perché lo stanno facendo?" chiesi a Lizzie curiosa.
"Vuoi dire a parte per mostrare gambe e ombelico ai ragazzi?" rise lei "In teoria il loro compito è tifare" mi spiegò.
Guardandole non potei fare a meno di pensare a quanto poco fossero utili al loro scopo. Di certo qualunque sportivo maschio sarebbe stato troppo occupato a guardarle per potersi concentrare sul gioco.
La voce di una di loro mi distolse da quelle riflessioni, tornando a fissare lo sguardo su di loro, riconobbi quella che stava urlando stupidi slogan. Ashley.
Per quanto avessi avuto con lei un solo breve incontro, non fui affatto sorpresa di vederla lì. Quel ruolo le si addiceva di certo.
Ad una prima occhiata sembravano tutte ragazze altezzose, vanitose ed egocentriche, e visto che lei era di certo la più altezzosa, vanitosa ed egocentrica era tagliata per essere la loro leader.
"La conosci?" mi chiese Lizzie, notando il mio sguardo divertito.
"Chi? La signorina Tutti-mi-conoscono-qui? Come non potrei?!" risposi.
Lei e Rachel scoppiarono a ridere.
"Ha avuto la gentilezza di presentarsi poco fa in corridoio" ripresi.
"Quella ragazza è incredibile! Non può proprio accettare di non essere al centro dell'universo" disse Rachel, scuotendo la testa.
"Questo è certo! Ma penso che con Ginny sia una questione personale" intervenne Lizzie, con malcelata malizia.
"Tu vivi con James!" spiegò lei semplicemente, cogliendo la mia confusione.
"Che cosa?!" esclamò Rachel, fissandomi.
"Siamo cugini" mi affrettai a spiegare.
Non volevo che anche Rachel iniziasse a guardarmi storto.
"Potresti essere anche sua madre, ma se ti avvicini a James più di due metri l'uragano Ashley si abbatterà su di te!" mi avvertì Lizzie con fare teatrale.
Grandioso. Avevo proprio bisogno di attirarmi le ire di una pazza. Mi ripromisi di chiedere a James di tenere a bada la sua ragazza.
"Aspetta sei quella della scenata in corridoio?" disse Rachel, battendosi una mano sulla fronte.
"Ora capisco, perché ti ha preso tanto di petto! Praticamente per una settimana non si è parlato d'altro" rise lei, senza aspettare la mia risposta.
Un' ombra rosata mi passò negli occhi.
"Esatto! Povera Ashley dimenticata" si unì Lizzie "Avrei proprio voluto assistere!"
Le guardai con un filo di imbarazzo e abbassai lo sguardo per evitare che notassero il cambiamento nei miei occhi.
"Non preoccuparti" fece Rachel a quel punto "Lei è terribile con tutte, senza distinzioni" mi assicurò.
"Fantastico" mormorai afflitta.
Avrei proprio voluto sapere perché mai tutte quelle ragazze nutrissero tanto insolito interesse verso il mio padrone se lui era già occupato, con la reginetta delle pazze poi.
Prima che potessi formulare quella domanda ad alta voce, però un fischio acuto percorse la palestra, richiamando l'attenzione di tutti su un uomo dalle spalle larghe e il petto gonfio. Tutti si affrettarono ad andargli incontro e io seguii Lizzie e Rachel.
"Bene, squadra!" fece quello quando tutti ci fummo radunati intorno a lui "Cominceremo con venti giri di corsa" disse con tono fermo e monocorde.
Un mormorio indignato percorse tutto il gruppo, ma venne presto interrotto da un altro acuto fischio.
Ma quale problema aveva questa gente con l'udito? A nessuno importava di lacerarsi i timpani?
"Non si discute! Andate" ordinò.
"Mi scusi, coach Martin" lo interruppe una voce insolitamente dolce "Io e le cheerleader vorremmo allenarci per la partita di sabato" disse Ashley, sbattendo le lunghe ciglia.
"Non oggi, signorina Hale" rispose lui.
"Ma signore..." si infervorò lei.
"Un'altra lamentela e diventeranno cinquanta" minacciò il coach a quel punto.
Ashley si limitò a guardarlo inferocita, ma non osò replicare. A quanto pare non era abituata ai rifiuti.
Al terzo, odioso fischio tutti si misero in marcia. Cominciammo a correre intorno al perimetro della palestra in una fila disordinata. Presto Lizzie e Rachel mi distanziarono, rimasi sola e senza fiato. Al quinto giro avrei voluto dare di stomaco. Non seppi mai come fossi arrivata al termine di quell'ora, ancora tutta intera.
Come se non fosse stata già abbastanza la mia totale inadeguatezza per l'esercizio fisico, Ashley si era messa d'impegno per contraddire la rassicurazione di Rachel sull'essere odiosa con tutti in egual misura. Durante quell'ora avrei potuto elencare almeno una decina di buoni motivi per sospettare che il suo odio per me fosse ben al di sopra della media.
Se non avessi dovuto impiegare tutta la mia concentrazione a tentare di completare quegli stupidi esercizi, probabilmente le avrei fatto passare la voglia di essere tanto odiosa.
Un mese da rana di certo cambiava il cuore delle persone, o almeno la loro prospettiva.

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