Six months since I went away
And I know everything has changed
But tomorrow I'll be coming back to you.
-Close as strangers (5second of summer)-Girava per le vie accompagnata dal suo vecchio e rovinato zaino nero ppesa ad una spalla e tenuto fermo da una mano.
Indossava un top nero che non le arrivava nemmeno a metá pancia. Una camicia a quadri rossa e nera, con le maniche girate sino al gomito, la copriva un po' di piú. I suoi jeans cortissimi, il pearcing al labbro, il cappellino nero con la visiera dall'altra parte completavano il suo look.
I lisci capelli neri le ricadevano sul petto. Arrivavano alla base della schiena, ma a lei piaceva tenerli davanti.
Il vento soffiava forte, facendo sollevare la sua camicia sbottonata e facendo vedere un piccolo tatuaggio sul fianco sinistro.
La campana della scuola era suonata da almeno 5 minuti. Era in ritardo.
A lei questo peró non fregava più di tanto.
Era il primo giorno del suo ultimo anno, e dopo ben tre anni, lei era tornata in quella piccola cittadina.
Arrivata difronte al cancello della scuola prese un bel respiro.
Alzò lo sguardo verso il cielo nuvoloso che prediligeva giá uno di qui temporali con i fiocchi.
Una piccola gocciolina le arrivó sulle labbra disegnate da un rossetto nero.
Era pronta.
Prese coraggio ed entró nella scuola.
La ragazza si mosse con sicurezza tra i corridoi. Sapeva che doveva dirigersi nell' aula magna come ogni primo giorno di scuola.
Tutti dovevano andare in quell' enorme sala ad ascoltare il discorso di benvenuto alle matricole, ai nuovi proffessori e agli alunni e insegnanti che c'erano giá da un po' in quella scuola.
A qualche metro di distanza la ragazza sentiva giá la voce della preside amplificata dal microfono.
Suo padre, lo sapeva, stava attendendo il suo arrivo dall' altra parte della porta. Per lui era così importante apparire sempre serio e preciso in ogni cosa che faceva, che cercava inconsapevolmente di far diventare sua figlia tale e quale a lui. Ma lei era lei.
Il suo cuore prese a battere velocemente quando si fermó difronte alla porta di legno.
Allungò la mano e fece pressione sulla maniglia.
C'era silenzio. Nessuno si azzardava a parlare con la preside davanti. Eppure centinaia di occhi erano puntati su di lei. E due secondi dopo i sussurri mandarono a quel paese la preside.
Lei lo sapeva di cosa stavano parlando. Rivolse un veloce sguardo alle poltone piú in fondo, piú lontane, dove stavano quelli del suo stesso anno. Aveva sognato molte volte di sedersi li. Le era sembrata la cosa piú figa dl mondo. Se ti sedevi li avevi 18 anni. Eri grande. Eri potente.
Salì le gradinate sino alla fine. Si mise in ultima fila. Quella in cui nessuno ci si sedeva siccome non vedevi nulla e sentivi troppo, vista la vicinanza con le casse. Ma a lei questo non importava.
La preside lanció un urlo per mettere a tacere tutte quelle voci. Quelle voci che parlavano solo di una persona. Alcune voci chiedevano chi era, affamate di informazioni e pettegolezzi, altre parlavano, riportavano a galla la sua storia.
Ma tutte parlavano di lei.
Diana Edith King era tornata.
Il piccolo tatuaggio sul fianco era una crepa con una piccola spaccatura da cui si vedeva nero, che lasciava intendere che dentro quel corpo, quella bambola di porcellana, non ci fosse niente, come se il corpo della ragazza avesse subito una caduta che l'aveva cambiata per sempre.
Lui l'aveva notato.
La guardava come tutti, mentre si sedeva nell'ultima fila.
-È lei?- chiese al ragazzo affianco a lui, ridacchindo. Lui annuì senza nemmeno guardarla.
-Bene.-
Finito il benvenuto da parte della preside, Diana si diresse verso il padre, il nuovo insegnante di matematica.
-Vai in classe, vuoi che ti aspetti all' uscita?- lei alzò le spalle metre si girava e si dirigeva verso la sua prima ora: letteratura.
Vedeva che come passava le persone si spostava, e dovette trettenersi dal sorridere. Che sciocchi che erano.
Arrivata tra le prime in classe si sedette nell'ultimo posto, mettendo la sua borsa nella sedia affianco a lei.
Entrò il professore, uno che Diana non conosceva. Diede un veloce sguardo alla classe mezza vuota.
-Dov..- la porta si spalancò e un gruppo di ragazzi entrarono.
-We prof- Calum Hood diede una pacca sulla schiena al professore per salutarlo.
-Dov'è l'altra parte del casino signor Hood?-
-Chi, Luke? Arriva tra poco.- Disse con disinvoltura lui. Si fermò difronte al banco di Diana King.
-Oh no.- disse lei. Calum ridacchiò.
-Oh si.- poi, con disinteresse attaccó anche un terzo banco a quello affianco a Diana, buttò a terra il suo zaino e si sedette vicino a lei senza dire nulla. Almeno Luke Hemmings si sarebbe seduto vicino a lui, non a lei.
Qualche minuto dopo lui entrò.
Luke Hemmings entrò in tutta la sua bellezza in classe, non sorridendo nemmeno. Si diresse senza dire nulla nel posto vicino a Calum, non degnando di nessuno sguardo nessuno, a parte la sua altra parte di casino.
Quella per Diana fu un'ora infernale, non riusciva a cipre niente di ciò che il professore diceva, perchè stava attenta a quella che dicevano Luke e Calum, ma sussurravano quei due quindi non sentiva comunque tanto.
Alla fine dell'ora, quando mancavano ancora due minuti, l'insegnante chiamó Diana.
-Prego, ora può presentarsi.- Lei sbuffó vistosamente.
-Sono Diana King.- e si risedette.
Quando finalmente suonò la campana e lei stava raccogliendo le sue cose, una mano sbattè sul suo banco.
Luke continuava a sorridere malignamente. Diana era zitta da un po' di secondi. La classe era rimasta a guardare la scena.

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Diana.
Fiksi PenggemarRitornare, dopo essere scappati lontano, spesso non è la miglior scelta da fare. Eppure era successo. Cosa sarebbe accaduto ora? Ora che tutto stava per tornare?