vi. 𝗹𝗲 𝘀𝘁𝗲𝗹𝗹𝗲

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𝗦𝗔𝗦𝗛𝗔 mi ascoltava pazientemente seduta sul mio letto, mentre io da stesa gesticolavo come una matta

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𝗦𝗔𝗦𝗛𝗔 mi ascoltava pazientemente seduta sul mio letto, mentre io da stesa gesticolavo come una matta.
«Non va bene Sasha! Non può essere, no! Siamo amici!» dicevo affannata più a me stessa che a lei.
Presi il cuscino che avevo sotto la testa e me lo misi in faccia. «Mi soffoco. Ho deciso.» sentenziai decisa.
Sasha mi strappò di mano il cuscino. «Liz, non è la fine del mondo.» rise. «Sei solo innamorata!» disse allargando in modo teatrale le braccia.
A quelle parole arrossii violentemente. «Ma che! Io? Innamorata ? Ma se non capisco niente di amore!» sbottai disperata. «Poi è il migliore amico di Jean! Può piacermi il migliore amico di Jean!?»

Facciamo un passo indietro. Era passato un altro anno, ed era la seconda estate che passavo lì. Avevamo imparato a combattere corpo a corpo, a cavalcare, a usare meglio il dispositivo tridimensionale. I nostri allenamenti ormai consistevano nel colpire dei manichini di giganti. Ci stavamo velocemente trasformando in soldati.
Avevo compiuto da poco quattordici anni, e ogni mese maturavo sempre più. E più maturavo, più aumentava quello strano e indefinibile sentimento che provavo per Marco. Eravamo amici, ma non migliori amici.
Eren, Armin e Mikasa erano sempre con me, come Sasha e Connie. Scherzavamo, ridevamo, facevamo battute, anche quelle sporche che si imparano attorno ai tredici anni.
Ma con Marco avevo un rapporto diverso. La nostra amicizia era fatta di silenzi, fiori scambiati, sorrisi, e tenersi la mano. Non mi serviva parlare con lui, perché stavo così bene che tutti i miei pensieri negativi venivano scacciati dalle sue lentiggini.
Tanti compagni tipo Thomas, Mina e Jean credevano che fossimo più che amici, ma non lo eravamo.

Non avevo mai pensato di piacere a Marco, o che lui piacesse a me. Anche se da come mi comportavo con lui sembravo innamorata persa, non so dire se lo fossi effettivamente all'inizio.
Certo, tutti i comportamenti da prima cotta c'erano, ma o io non me n'ero accorta, o davvero, non lo so.
So solo che dopo il trentuno dicembre ottocentoquarantotto, non ci avevo capito più niente. Stare vicino a Marco stava diventando sia un piacere che una tortura. Se mi guardava mi sentivo a disagio, se mi teneva le mani mi irrigidivo al suo tocco, se mi parlava le gambe mi diventavano come di gelatina e non mi ricordavo più come si formulasse una frase di senso compiuto. Sentivo che non avrei resistito più a comportarmi come sua amica.
Gli confidavo tutti i miei segreti, tutti i miei timori e desideri. Gli raccontai anche di quel giorno a Shiganshina.
Non ne avevo parlato mai con nessuno, nemmeno con Sasha. Piansi dall'inizio alla fine tra le sue braccia mentre parlavo del sangue di Carla.

Mikasa ci era arrivata per prima che Marco mi piaceva da morire. Una volta mi fece notare: «È troppo palese. Riprenditi.»
La guardai storto. «Mikasa, se taci fai più bella figura, perché te con Eren...» e finii la frase facendo avvicinare gli indici. «E poi non ti sembra che anche lui sia interessato?» chiesi speranzosa.
Mikasa si sistemò la sciarpa al collo. «Fa così da un anno e mezzo. Forse è il suo modo di essere tuo amico.» rispose pacatamente.
La spintonai giocosamente con una spallata. «Non sei d'aiuto. Che strega che sei.» la presi in giro ridendo.
Mikasa accennò un sorriso e mi tirò una leggera gomitata.
Qualche ora dopo mi trovavo sul letto a fare una seduta psicologica con Sasha che si stava mangiando un tozzo di pane rubato in mensa.

𝗹𝗲 𝗮𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝘁𝗮̀ - [ m. bodt ; j. kirschtein ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora