ii. 𝗹𝗮 𝗰𝗮𝗱𝘂𝘁𝗮 𝗱𝗶 𝘀𝗵𝗶𝗴𝗮𝗻𝘀𝗵𝗶𝗻𝗮

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«𝗔𝗟𝗟𝗢𝗥𝗔, com'è andato il ritorno dell'Armata?» chiese mia madre mentre stavamo lavando i piatti dopo pranzo

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«𝗔𝗟𝗟𝗢𝗥𝗔, com'è andato il ritorno dell'Armata?» chiese mia madre mentre stavamo lavando i piatti dopo pranzo. Quel giorno eravamo stato fortunati perché l'acqua usciva tiepida dal lavello, e non gelata come sempre. Ogni volta che lavavo i piatti con l'acqua fredda, mi si intorpidivano le mani, mi si creavano delle ferite sulle nocche e vicino alle unghie che bruciavano tantissimo.
Alzai le spalle. «Come al solito mamma...»
Mia madre sospirò sconsolata. «Liz, anche se sei ancora piccola io lo so che non cambierai idea sul fatto di entrare nel Corpo di Ricerca, e questa cosa mi preoccupa, davvero.»
Ci fu un attimo di pausa in cui non sapevo cosa dire. Sì, era vero. Io non avrei cambiato idea per nulla al mondo: quello era il mio sogno, anzi, quello era il mio dovere morale e civile. Non avrei permesso a nessun altro dopo di me di vivere come animali rinchiusi in una gabbia.
«È morto Moses.» dissi.
Ennesimo sospiro da parte di mia madre. «Lo so. Me l'hanno detto.»

Poco dopo uscii. Faceva caldo, ma si stava bene.
Bussai alla porta di casa Jaeger e aprì Carla, la madre di Eren.
«Salve! Mikasa e Eren sono a casa? Dovevamo farci un giro.» le domandai sorridendo.
Carla era una donna bellissima, con un volto senza età. Era molto simile a Eren, tranne che di carattere. Era determinata come il figlio, ma lei trasmetteva una serenità e una tranquillità che facevano stare bene chiunque la guardasse.
La signora Jaeger si sistemò la gonna passandoci le mani sopra.
«Oh, sono andati via poco fa. Eren si è, come dire, alterato, ecco, ed è corso via... E Mikasa l'ha seguito... Penso siano andati verso le scalette.» disse con un tono rassegnato.
Ringraziai la signora Jaeger, e mi diressi verso i miei amici, pensando che Eren dovesse imparare a gestire i suoi problemi di rabbia.
In cima alle scalette, sentii delle voci: qualcuno si stava picchiando.
Quando arrivai, Mikasa aveva già menato e scacciato i tre soliti ragazzi piu grandi di noi che pestavano sempre Armin. Si approfittavano della sua debolezza fisica.
Corsi verso i miei amici per sapere cosa fosse successo.
Armin si stava alzando a fatica da terra.
Sbattei contro la spalla di Mikasa, ed inciampai su un sasso lì vicino. Per poco non caddi, ma mi afferrò dal bavero della maglia.
«Uff, grazie... Ma che è successo Armin? Ti hanno picchiato?»
Armin mi guardò tristemente. «Già, di nuovo. Ma stavo vincendo io questa volta!» aggiunse reggendosi il braccio.
Eren mise le mani sui fianchi. «Ma che, hanno visto me e se la sono dati a gambe.»
Guardai Eren poco convinta, poi lanciai un'occhiata a Mikasa sapendo con certezza che quei tre se ne fossero andati spaventati da lei, e non da Eren.
Armin sospirò rassegnato. «Dai, andiamo a parlarne con più calma al molo...»

Armin era un ragazzino della nostra età. Lui ed Eren erano migliori amici, inseparabili: si completavano a vicenda, come diceva mia madre. Armin, con il suo carattere riflessivo e pacato, aiutava Eren a ragionare nei momenti di rabbia, mentre Eren spronava Armin a superare le sue capacità e andare oltre il limite.
Mi era sempre stato simpatico, ma non riuscivo a trattenermi dal prenderlo in giro per il suo taglio di capelli che trovavo ridicolo. Una volta gli dissi qualcosa del tipo: "Sembra che hai una scodella in testa!"
Infatti portava i capelli biondi a caschetto, fino al mento. Sembrava un angelo con quei capelli, gli occhi azzurri e il suo animo gentile.
Era una mente brillante: sapeva tutto di qualsiasi argomento. Gli chiedevi un'informazione, e lui riusciva a toglierti ogni dubbio.

𝗹𝗲 𝗮𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝘁𝗮̀ - [ m. bodt ; j. kirschtein ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora