xiv. 𝗶𝗹 𝗴𝗶𝗴𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗲 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗲𝘇𝘇𝗲 𝗳𝗲𝗺𝗺𝗶𝗻𝗶𝗹𝗶

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𝗔𝗩𝗘𝗩𝗢 𝗖𝗔𝗣𝗜𝗧𝗢 fin da subito chi fosse, forse prima di tutti

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𝗔𝗩𝗘𝗩𝗢 𝗖𝗔𝗣𝗜𝗧𝗢 fin da subito chi fosse, forse prima di tutti. Era dal giorno dell'ispezione che avevo tanti dubbi su quella persona così misteriosa che aveva ucciso i giganti. Poi, dopo aver scoperto che anche le persone si potessero trasformare in giganti, il Comandante Erwin con il Caposquadra Hanji Zoe aveva ideato un piano per attirare fuori dalle mura il traditore. Non poteva essere altri che lei, ma nessuno l'aveva mai confermato apertamente.
Più ci avvicinavamo a lei, più sentivo il cuore in gola, più ero convinta di avere ragione sull'identità dell'umano che si celava nel Corpo del gigante.
Con un cenno del capo di Armin, ci dividemmo per accerchiare il gigante, che stava rallentando. Sarà stato stanco?
Il piano era quello di trattenerlo il più possibile per lasciare il tempo alla colonna di ritirarsi. Per fare ciò, avremmo dovuto bloccarlo lì e in quel momento. L'unico modo più sicuro, era quello di rendergli impossibile correre, magari recidendogli un tendine della gamba.

Con la coda dell'occhio vidi Jean portarsi fugacemente la mano destra che reggeva l'impugnatura della lama alla bocca, e partì all'attacco. Con il dispositivo di manovra si aggrappò alle caviglie del gigante, che però si accorse della sua presenza e si girò di scatto per non farlo aggrappare alle caviglie. Il colpo d'aria lanciò lontano Jean, che però, sembrava illeso.
«NO!» riuscii solo a gridare mentre senza pensarci due volte mi lanciai contro il nemico. Mossa avventata, dettata dall'emozione. Il mio cervello lavorò velocemente, troppo velocemente. Come vidi un albero dalle modeste dimensioni saltai dal cavallo e mi appigliai con i rampini del dispositivo di manovra ad uno dei rami. Un salto, due salti e non so come ma ero arrivata alla coscia del gigante. Ora bastava solo arrivare fino al collo.

Sentii il gigante muoversi di scatto, infatti si piegò velocemente verso il basso per lanciare via il cavallo di Armin con una manata. Nonostante l'intelligenza, l'astuzia e la testa buona, Armin non era un ragazzo dalle abilità fisiche brillanti. Lui volò in avanti, il suo cavallo invece venne scaraventato all'indietro e colpì Reiner. Erano tutti fuori combattimento, tutti a terra, tutti tranne me.
Con una lama conficcata in una piega dei suoi muscoli scoperti mi reggevo mentre tentavo di capire dove appigliare il rampino. Mi riguardai indietro mentre le figure dei miei amici si facevano più lontane, più piccole, mentre il mio cavallo continuava a seguirci a passo veloce. L'avevo addestrato in modo che mi seguisse sempre, anche nelle situazioni più pericolose.

La schiena era un ottimo appiglio, dove le sue braccia giganti non potevano afferrarmi o schiacciarmi.
"Forza Elizabeth." pensai. Sì, forza Elizabeth.
Avevo ragione, il gigante non poteva prendermi se ero sulla schiena. Quando mi fermai per riprendere fiato solo allora capii di essere nei guai. Avevo deciso di fare qualcosa di più grande di me, qualcosa per qualcuno che era morto. Fu solo un attimo di distrazione, un secondo.
Mentre mi muovevo verticalmente verso il collo il gigante afferrò la fune del dispositivo e mi strattonò verso il basso. Il colpo mi fece male ai fianchi e alla schiena, fu come una lama che mi tranciava in due il corpo. Credevo di aver perso le gambe dal dolore, credevo di sanguinare a fiotti, ma nulla di tutto ciò.
Il Gigante Femmina mi aveva preso per la fune del dispositivo di manovra. Allora mi fece volteggiare una volta, e se non fosse stato per Reiner, io sarei morta per la troppa forza centrifuga. Mi si spezzarono due costole, o di più, chi lo sa. Aprii la bocca per lanciare un urlo di dolore, ma ne uscirono solo un verso strozzato ed uno schizzo di sangue. Allora il Femmina si piegò per attaccare Armin che si trovava a terra. Sentii Jean urlare il suo nome e lo vidi agganciarsi alla schiena del gigante per soccorrerlo. Mentre io stavo ancora appesa come un burattino al cavo del dispositivo che teneva saldamente il gigante, Jean tentò la sorte e provò a colpire il nemico nel suo punto debole. Alzai il capo, e nonostante vedessi doppio e la testa mi girava, capii che il gigante teneva la mano sinistra sopra la collottola per coprirla e non essere attaccato. Come avevamo dedotto prima, sembrava dotato di intelletto, ed era ben consapevole del suo punto debole.
Da lontano vidi Reiner che si stava avvicinando a noi a cavallo. Urlai il suo nome come per avvertirlo delle capacità del Femmina. «Reiner!»
Venni strattonata da un movimento violento, oscillavo come un filo d'erba in un giorno di vento, ed ero impotente, senza forza. Ormai era finita. Non avevo più speranza. "Oh, Marco." pensai solo, convinta che di lì a poco mi sarei ricongiunta con lui.

𝗹𝗲 𝗮𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝘁𝗮̀ - [ m. bodt ; j. kirschtein ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora