4: È questo mondo ad essere sbagliato.

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La follia, come sai, è come la gravità:
basta solo una piccola spinta.
- Joker






Il riflesso che trovo davanti allo specchio, quando mi guardo la mattina seguente, è proprio quello che mi aspettavo.

L'occhio sinistro è tumefatto e lievemente gonfio.
Sullo zigomo giace un piccolo livido violaceo.

Non posso negare – tuttavia, di rimanere comunque un bel ragazzo anche conciato così.

Chiunque, guardandomi, potrebbe facilmente intuire che sono stato preso a pugni. Eppure, non mi interessa minimamente il parere della gente.

Il problema non è cosa potrebbero pensare gli abitanti di questa cittadina anonima, il problema è come potrebbe reagire Elvira Ricci, mia madre.
Sono ormai cresciuto da quando mi rincorreva per casa con una ciabatta in mano, ma con lei non si può mai sapere cosa potrebbe fare.

Cerco degli occhiali da sole in giro per la stanza, e alla fine li trovo in un cassetto, in mezzo ai calzini.
Come siano finiti lì non ne ho la minima idea.

Li indosso e mi dò una sistemata veloce ai capelli, prima di scendere le scale e raggiungere il piano inferiore.

Mia madre, Simone e Leonardo stanno già facendo colazione.

Io mi avvio alla porta, cercando di evitarli, ma ad Elvira non sfugge la mia presenza. «Tesoro, non fai colazione?» domanda infatti.

Cazzo.

«Sono di fretta, devo incontrarmi con Denis, mangiamo qualcosa fuori.»

«Se mi dai cinque minuti ti accompagno in macchina.» insiste.

«No, grazie, ho bisogno di camminare. Ora vado, ciao!» dopodiché esco in fretta di casa per evitare altre domande.

Cammino fino a scuola e ci impiego circa venti minuti. Avrei preferito prendere l'autobus ma era troppo pieno a avrei rischiato di soffocare chiuso lì dentro, soprattutto a causa della gente che ritiene non sia necessario lavarsi prima di uscire.

Davanti al cancello trovo Denis e Giulia, occupati come sempre a scambiarsi effusioni esagerate e stomachevoli.

«Volete riprodurvi qui?» domando con tono disgustato, attirando la loro attenzione.

I due piccioncini si staccano e Denis viene a salutarmi con una pacca sulla spalla, come d'abitudine.

«Perché porti gli occhiale da sole? Oggi il cielo è nuvoloso.»

A lui non ha senso nasconderlo, così mi sfilo gli occhiali.

«Cavolo, amico, hai sbattuto contro un palo?»

«Ho sbattuto contro una testa di cazzo omofoba. Ma non mi va di parlarne.» borbotto, tirando fuori il pacchetto di marlboro dalla tasca.

«Fratello, basta che mi dici il nome e ci penso io a sistemargli la faccia.»

«Lascia stare. Non c'è bisogno.»

«Come vuoi.» Denis non insiste. «Stasera i miei genitori non ci sono. Vieni da me?»

«Stasera ho gli allenamenti. Se non sarò troppo stanco vengo volentieri.»

Il Lunedì e il Giovedì mi alleno a calcio, non sono una promessa e sicuramente non diventerà mai qualcosa che vada oltre al semplice passatempo, mi piace e me la cavo, così mi alleno con una piccola squadra, composta per lo più da ragazzini che puzzano ancora di latte.

«Amore, vengo io da te.» si affretta a dire Giulia.

È normale che mi stia sulle palle? Infondo non mi ha fatto niente, mi ha solo rubato il migliore amico.

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