Confessions

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Le stelle brillavano nel cielo scuro, il clima ancora tiepido, tipico delle serate australiane. La rada vegetazione si stagliava sullo sfondo e all'orizzonte si poteva distinguere la linea del mare e udirne lo sciabordio lontano delle onde, come il richiamo dolce ed ipnotico delle sirene.

Quella sera avevano deciso di cenare fuori, sul portico, ed ora se ne stavano in silenzio a contemplare la volta celeste. Stufo del disagio che aleggiava tra di loro, Shane prese coraggio e decise di fare lui il primo passo.

In quel momento James, percependo il cambiamento nell'aura attorno a loro, si alzò.

- Vado a prendere qualcosa da bere, vuoi anche tu?

Il figlio lo guardò storto e lo afferrò per una manica, tirandolo e rifacendolo sedere.

- Smettila di continuare a scappare ogni volta che provo a parlarti, James.

- James...? Prima mi chiamavi papà, perché ora...?

- Perché è l'unico modo che conosco per ottenere la tua completa attenzione - rispose il ventunenne, e per un attimo l'ex campione rivide la sua stessa cocciutaggine ad ottenere ciò che desiderava ad ogni costo, quando aveva più o meno la stessa età di Shane. Solo che il figlio gli sembrava con la testa sulle spalle e animato da un coraggio che a vent'anni lui non aveva avuto, e non aveva tuttora.

- Io ti ho parlato di me, di cose che non ho detto a nessuno, quindi adesso mi aspetto almeno la metà in cambio. Non voglio farlo sembrare un ricatto, ma avere segreti non mi piace, papà. Se vuoi averne, va bene. Non ti obbligherò. Ma sappi che è finita. Me ne vado, e di te dimenticherò ogni cosa.

Era deciso e non avrebbe più ceduto davanti a nulla. L'uomo sospirò.

Sì, era vero. Una sera erano andati ancora a mangiare al ristorante e Shane si era lasciato un po' andare, complice l'ottimo vino che era stato servito loro, e gli aveva raccontato ogni cosa, della sua casa, di sé, di Chase. Gli aveva parlato del suo arrivo, ormai quattro anni prima, in quel suolo straniero, in una scuola nuova, che presto avrebbero lasciato, sì, anche sua madre, per trasferirsi in Australia e riallacciare in qualche modo i rapporti con lui, del fatto di essersi perdutamente innamorato di Chase, di aver implorato la propria famiglia di restare o di partire senza di lui, dell'inaspettata conferma che i suoi sentimenti erano ricambiati. E poi aveva perso ogni freno inibitore e si era dilungato sulla sua amicizia con Max, sulla crudeltà disumana subita da Chase, su Rocky e la sua morte, sui due brevi episodi che avevano per protagonista Brad e sul disperarsi di Max per lui, sull'osservare ed essere osservati dalle nuove ambigue coppie formatesi, perché in giro si vociferava che loro fossero la prova lampante che il vero amore esisteva davvero. E ancora gli aveva raccontato della dolcezza di Chase quand'era geloso, della rosa nera, dell'anello, di Niko, della partita di basket, dei cavalli e del fatto di aver annunciato anche a Crystal e alla sua famiglia della sua relazione con Chase.

Infine, proprio alla fine, mentre suo padre lo guardava commosso e intenerito e con un affetto smisurato, gli aveva confessato con un filo di voce il desiderio segreto che da qualche tempo frullava nella sua mente, cioè quello di chiedere a Chase di sposarlo. James si era sentito un vero codardo e non era stato a fargli un lungo discorso sulle responsabilità e le difficoltà che avrebbero prima o poi incontrato, non ce n'era bisogno. Il suo Shane lo sapeva già, nonostante avesse solo ventun anni. Era un ragazzo, d'aspetto, ma era un uomo, dentro.

- Hai... hai ragione. Non sono stato corretto. Chiedimi quello che vuoi sapere e io ti risponderò.

- Perché te ne sei andato? - domandò Shane in un sussurro.

- Io... sia io sia tua madre avevamo solo sedici anni quando ha avuto Crystal. Io promisi di restarle accanto qualunque cosa accadesse poi, be', quattro anni dopo mi annunciò di essere incinta di te e io... io... ho avuto paura. Paura delle responsabilità, delle difficoltà, di essere un incapace. In poche parole, sono scappato per codardia. Ero giovane e, al contrario di te, poco maturo e assai stupido. Me ne andai per un paio d'anni a Miami, dove riuscii a crearmi una discreta fama come surfista.

Fece una pausa, prendendo fiato e spiando il figlio di sottecchi. Il ventunenne aveva un'espressione indecifrabile ma attenta.

- Ben presto però lasciai gli Stati Uniti e mi trasferii qui, in Australia, però in città. Fu lì che imparai ad andare a cavallo e, anche se mi guardi così, con quello sguardo accusatore, la mia amica che mi insegnò a cavalcare era solo un'amica. Non ho mai smesso di amare tua madre, Shane...

- E ora? - si lasciò sfuggire il ragazzo, con la voce roca per il silenzio a cui si stava costringendo. James strinse le labbra e non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo.

- Ma il mare mi mancava, e io ero nel pieno della giovinezza. Comprai questa casa, sì, questa dove vivo ora, e diventai un surfista affermato. A quel tempo, avevo più o meno il tuo aspetto... non sono sempre stato così, magro e sottile. Le gare mi resero famoso, e la mia bravura mi portò a diventare capo del team di surf, composto da alcuni giovani aspiranti surfisti dotati di quel talento particolare che hanno in pochi. Fu così che conobbi Troy. All'epoca aveva sedici anni, eppure era destinato a diventare uno dei migliori.

Mentre parlava del biondo, i suoi occhi dorati brillavano d'orgoglio.

- Presto prenderà il mio posto. Infatti iniziai a gareggiare a un livello più alto, e diventai campione nazionale. Ero nel fiore della mia carriera come sportivo, quando iniziarono a diffondersi voci su di me... voci negative su una mia certa relazione. Mi avrebbero rovinato. Mollai - continuò James, lo sguardo offuscato dai ricordi e la voce che di tanto in tanto tremava.

Shane avrebbe tanto voluto chiedergli di Troy, ma non lo fece. Nella testa gli riecheggiava ancora lo spezzone di discorso ascoltato il giorno prima.

Geloso. Geloso di me. Non ronzargli attorno. Geloso.

Un passo per volta, si disse.

- Perché ti sei fatto vivo solo tre mesi fa?

La domanda lasciò un attimo spiazzato suo padre, poi incurvò le spalle e scrollò il capo.

- Avrei tanto voluto chiedere vostre notizie parecchi anni fa, ma mi mancava il coraggio. T-tre... tre mesi fa il bisogno di vedere i miei cuccioli... sangue del mio sangue... è diventato un bisogno impellente. Non sono senza cuore, Shane. Ti voglio bene, e anche a Crystal. Anche a tua madre. Resterai sempre mio figlio, nonostante tu viva dall'altra parte del globo. Sei e sempre sarai il mio cucciolo, anche se hai ventun anni e sei più maturo di me. Ti voglio bene, Shane. Ora... puoi andare, se restare qui con il tuo vecchio e codardo papà è così insopportabile. Non te lo impedirò. Non ne ho il diritto.

E d'improvviso di anni ne dimostrava più di cinquanta, come fosse invecchiato in un colpo solo. L'aria gelida investì Shane e un brivido gli corse lungo la schiena. Diavolo... nemmeno lui era senza cuore, e vedere suo padre così... abbattuto, depresso... pronto a lasciarlo andare senza nemmeno lottare...

- Ehi, vecchio? Vieni qui. Fatti abbracciare. Non me ne vado. Ma non chiamarmi più cucciolo, chiaro?

Si strinsero goffamente e Shane appoggiò il mento sulla sua spalla. James sussurrò qualcosa come 'agli ordini, capitano!'.

- Mi sei mancato, papà.

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