Prima di iniziare questo capitolo, vorrei avvisarvi cari lettori che una scena potrebbe urtare la vostra sensibilità !!
"Si sente soffocare...
Il suo collo delicato è scomparso dentro due mani enormi con dita callose che stringono così forte da impedirle di respirare.
E' la notte del suo decimo compleanno. Durante la giornata i suoi genitori non hanno fatto altro che urlarsi a vicenda, lanciarsi oggetti e rincorrersi per tutta la casa. Hanno addirittura dimenticato questo evento che Izabel ha aspettato per mesi interi, sperando in un bel regalo.
L'unico regalo che ha ricevuto sono queste mani che ora le stanno impedendo di respirare. Si divincola, calciando via le coperte, cercando di liberarsi, inutilmente. Mentre una mano la tiene inchiodata nel letto, l'altra si sposta con ferocia verso i suoi pantaloncini, afferrandoli con violenza. Izabel sgrana gli occhi e mentre quella mano tenta di entrare dentro le sue mutandine in modo così rude, lei spalanca la bocca tentando invano di urlare. Lei conosce quelle mani: sono le stesse che l'hanno presa in braccio un sacco di volte, le stesse che l'hanno aiutata a fare i compiti per casa.
Una calda lacrima le scorre sulla guancia mentre la vista inizia ad annebbiarsi per la mancanza di ossigeno. Non ha più le forze per dimenarsi. Vorrebbe solo urlare.
Vorrebbe solo urlare..."
Izabel si sveglia di scatto, urlando, col cuore che sembra le stia per uscire dal petto. I capelli incollati al viso a causa del sudore, così come il pigiama al corpo. Ancora in affanno, in cerca di aria, torna a stendersi lentamente puntando gli occhi verso la finestra sul soffitto di legno: la luna fa capolino da una nuvola, smorzando quella luce soffusa che inondava la stanza fino a qualche ora fa. Il ricordo ancora vivido di ciò che successe anni fa sa che le impedirà di dormire perciò si mette l'anima in pace e si prepara ad un'altra notte insonne.
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E' il caos.
Infermieri che urlano e corrono per tutto il reparto portandosi dietro i carrelli con i medicinali e tutte le varie attrezzature. Izabel non sa dove guardare, se i pazienti o il giovane medico con cui dovrebbe parlare che in quel momento sta sollevando uno di loro, che potrebbe pesare un quintale, come se fosse una piuma. Sente la sua voce sovrastare il resto del personale medico dettando ordini sulle diverse procedure da seguire. La ragazza è ancora lì impalata quando, dopo diversi minuti, il dottor Michael alza la testa dalla cartella clinica che si ritrova in mano e nota la sua presenza. Si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, le sorride poi si volta verso una sua collega per dirle qualcosa che Izabel non riesce a sentire e alla fine la raggiunge.
<<Buongiorno, mi scusi se l'ho fatta aspettare>> le dice lui, guidandola verso una finestra che affaccia su un piccolo giardino esterno.
<<Oh la prego, mi chiami pure Izabel.>>
<<Allora anche tu puoi chiamarmi Michael.>>
Si sorridono a vicenda in modo cordiale e poi si siedono su una panchina all'ombra, godendo di quella tregua al caldo asfissiante. Dopo alcuni istanti in silenzio Izabel si gira verso il ragazzo e chiede: <<beh, che ne dici di dirmi il motivo per cui volevi parlarmi?>>
Lui sembra non averla sentita e dopo qualche secondo la ragazza è pronta a ripetere la domanda quando Michael esordisce con: << perché ti sei spaventata vedendomi ieri?>>
Lei sgrana gli occhi per lo stupore, decisamente non si aspettava quella domanda.
Lui si volta a guardarla. O meglio, la fissa negli occhi e poi le chiede: <<quando mi hai visto la prima volta eri in preda al panico, sembrava che tu volessi fuggire da me. Lo stesso è avvenuto ieri: anche se eri più tranquilla, nei tuoi occhi si vedeva che provavi paura. Perché, cosa ti spaventa esattamente?>>
Izabel non sa bene cosa rispondere, sente come un fastidio allo stomaco e inizia a dondolare i piedi per cercare di distrarsi.
<<Non credo siano affari suo, dottor Michael.>>
Lui alza un sopracciglio. <<Non gliel'ho chiesto come dottore, ma per semplice curiosità.>>
<<Bene, tenga le sue curiosità per se>> le risponde Izabel alzandosi in piedi. <<Ora mi scusi ma ho altri impegni.>>
Michael si alza e si posiziona davanti la ragazza coprendola dal sole. <<Izabel scusami se ti ho turbata, non era mia intenzione. E' solo che normalmente infondo calma e fiducia nei miei pazienti, nessuno si è mai spaventato vedendomi, prima che arrivassi tu.>>
Le sposta delicatamente una ciocca dal suo viso piccolo e aggraziato, scoprendo i suoi bellissimi occhi verdi che ora lo stanno guardano con diffidenza.
<<Non mi interessa cosa pensa, non sono affari suoi. Ora se non ha altro da dirmi, devo andare via.>> Izabel prende la borsa che ha poggiato sulla panchina ed è pronta ad andarsene quando il dottore la afferra per il polso facendola voltare verso di lui.
<<In realtà avrei un'ultima cosa da dirti: gli incubi non sempre sono da temere, spesso sono una semplice spinta per portarti ad affrontare ciò che più ti angoscia.>>
La ragazza non riesce più a trattenersi e scoppia a ridere in faccia al giovane medico.
<<Dottor Michael si lasci dire che a quanto pare non ha mai vissuto con la paura. Non ha la più pallida idea di cosa voglia dire vivere perennemente con questa sensazione che le opprime il petto, incapace di lasciarla vivere.>>
Ancora ridendo, Izabel si allontana lasciando un dottore incredulo fermo davanti la panchina.
Come puoi riuscire ad affrontare i tuoi incubi quando la tua paura più grande è così reale?
Quando quella paura vive sotto il tuo stesso tetto e ti costringe a nasconderti, indossare una maschera, sorridere, quando in realtà vorresti solo piangere e urlare fino a scomparire nelle tue stesse lacrime.
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The Lost Me
General FictionE' mai capitato di fare lo stesso incubo per diverse notti di fila? Ci si sveglia urlando, in un bagno di sudore, spesso senza avere qualcuno a cui importi cosa sia successo. Questa è una storia come tante, di una ragazza che ha vissuti traumi i qu...