Cupid's Match

Capitolo 27. Logan Cothran e Gwen Ramos McRae

La voce di Logan mi risvegliò da una lunga serie di incubi. Stava ringraziando qualcuno prima di richiudere la porta alle sue spalle, ero ancora troppo scossa e intorpidita per riuscire a parlare e seguire i suoi movimenti.

Percepivo il suo sguardo sui miei capelli madidi di sudore. Speravo che non avrebbe fatto domande, non so se sarei riuscita a contenere il fiume di emozioni che avevano dentro, non riuscivo a smettere di pensare alle parole di Darcey e ogni tal volta che pensavo a mia madre provavo una fitta dolorosa al petto. Per mia fortuna Logan sparì dietro la porta del bagno e rimasi sola. Piansi in silenzio, com'ero solita a fare, rannicchiandomi su me stessa. Avevo poche possibilità di tornare a casa e avere la mia famiglia completamente dalla mia parte, mia madre era sempre stata immersa nel suo lavoro e non vedo perché la mia presenza sarebbe bastata per farla ragionare lucidamente.

Dimmi mamma, ti sei mai fermata a pensare se tua figlia fosse ancora viva?

Asciugai le lacrime con le mani sporche di terra provando disgusto. Scommetto che passa tutto il suo tempo a illudere numerose famiglie con uno dei suoi sorrisi docili e speranzosi, forse aveva anche smesso di prendersi cura di suo marito, da quanto tempo non passava del tempo con lui?

Non potei fare a meno di rabbrividire.

Da quando avevo poggiato piede nel furgone di Reed non avevo mai smesso di pormi domande e farmi paranoie, c'erano talmente tante questioni irrisolte che spesso dimenticavo di essere nella lista nera della presidente di una delle mie importanti compagnie esistenti al mondo. Quel pensiero mi fece rilassare i muscoli del viso, ero riuscita a sfuggirle, ma per quanto tempo ancora?

Puntai i gomiti sul materasso e mi sollevai trascinandomi verso l'armadio, afferrai un pigiama offerto dalla casa e dell'intimo, quando mi voltai Logan era allo stipite della porta.

«Adesso ho capito perché non volevi portarmi con te»

La sua espressione cambiò, c'era compassione e tristezza al tempo stesso. Non disse niente e questo mi bastò. Il silenzio era meglio di frase cariche di compassione prese da chissà dove, e in quel momento non avevo bisogno di quello, volevo che mi fosse sbattuta in faccia la cruda realtà dei fatti. Ero pronta a qualsiasi cosa. Mia madre aveva ucciso altri non umani durante la mia assenza? Era passata a fare esperimenti anche su gente comune? Sarebbe andata avanti probabilmente fino alla morte.

Feci per entrare in bagno ma Logan mi bloccò il polso con la sua mano, lo guardai in attesa pregandolo silenziosamente di non dire qualcosa di stupido.

E lui non lo fece.

«Dici che non si fermerà?» Domandò allarmato.

Risi e lui serrò la mascella. «Da chi credi che abbia ereditato la mia testa dura?»

Entrai in bagno senza aggiungere altro, mi chiusi la porta alle spalle e non persi tempo a concentrare le mie attenzioni sulla piccola doccia che avevo di fronte. Il bagno era piccolo ma conservava tutto il necessario: lavatrice, lavandino, water, cesta del bucato e la doccia nella quale all'interno c'erano diverse mensole con un kit di bagnoschiuma ancora nuovo.

Non seppi quanto tempo passai sotto il getto dell'acqua calda, ma quando usci la pelle era fumante e arrossata. Avvolsi il mio corpo nella morsa morbida dell'accappatoio e persi tempo nel dare una restaurata al mio viso usando alcuni dei prodotti che avevo di fronte.

Quando mi guardavo allo specchio provavo una strana sensazione di malessere nel vedere la mia faccia sciupata, le occhiaie erano evidenti e violacee e la pelle tremendamente pallida. Per non parlare del mio corpo. Non mi osservavo da settimane e sembravo essere finita nel corpo di qualcun'altra, le mie curve erano scomparse lasciando spazio solo agli accenni delle ossa, le gambe magre e le braccia che sembravano potersi spezzare da un momento all'altro. Piansi, ma solo fino a quando non nascosi quella vista con degli indumenti.