CAPITOLO 14

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"Non c'è medicina che guarisca quello che non guarisce la felicità".
( Gabriel García Márquez )


Una luce tenue mi costringe ad aprire gli occhi anche se avrei dormito volentiare qualche altra ora. Ci metto un po' a capire dove sono, ma poi ricordo. Ieri sera ho deciso di restare a casa di Ethan. Con Ethan. Nel letto di Ethan. A dormire. Con Ethan.

Scatto immediatamente dal letto e solo quando mi volto mi rendo conto di essere sola. La sveglia segna le 7:25 e un angolino del mio cuore saltella felice perché per una volta sono riuscita a dormire più di quattro ore di fila.

«Ah, ti sei svegliata. Volevo sorprenderti.» Ethan arriva con uno di quei vassoi da letto con un sorriso ingenuo. Sopra c'è posizionato un piatto con due pancake, uno yogurt, un caffè e un bicchiera d'acqua. I suoi occhi seguono i miei e poi sorride. «Non sapevo cosa ti piacesse mangiare la mattina, ero indeciso e quindi... c'è un po' di tutto.»

Ridacchio perché è dolcissimo, soprattuto nelle piccole cose. Mi risiedo a letto quando Ethan si avvicina e posiziona bene il vassoio davanti la mia figura. Sembra indeciso se baciarmi o no, ma io mi tiro leggermente indietro. «Niente baci fino a che i denti non vengono lavati da entrambi, grazie.» Ethan scoppia in una fragorosa risata, ma io sono seria. Insomma, chi cavolo si bacia di prima mattina? «Non ho mai sopportato quei film dove le coppie si baciano appena svegli, chi è che ha questo coraggio?»

«Io ce l'avrei, con te.» Fa spallucce e come al solito un sorriso malizioso compare sul quel visino maledetto. La fortuna mi assiste, perché sembra non aver notato il fatto che ho parlato di coppie, quando noi in realtà non lo siamo.

Osservo il cibo nel piatto e una strana sensazione fa capolino allo stomaco. Non è la fame, è l'ansia. Non ne sono sorpresa, ma delusa. Sono stata stupida a credere che una notte accanto ad uno xanax vivente potesse farla scomparire per sempre.

Odio quando arriva, soprattutto di mattina. La sensazione di oppressione allo stomaco, i battiti accelerati, la concentrazione che va a farsi fottere.

Sono stata stupida a credere che potessi gestirla con così poco.

Mi volto in cerca della mia borsa ma poi ricordo di averla lasciata giù, in soggiorno.

«É tutto ok, Sky? Sei pallida.» Annuisco, anche se non è vero.

"Conta fino a tre. Inspira ed espira" mi ripeto, ma il fiato sembra diventare sempre più corto.

«Sky, guardami. Stai tranquilla. Non è successo niente, ok? Possiamo anche fingere che tu non sia mai stata qui se questa cosa ti spaventa o ti disgusta ma ti prego, stai tranquilla.» Ethan si posiziona davanti al mio viso. Si siede accanto a me, con i piedi fuori dal letto guardandomi con gli occhi più dolci del mondo. Crede che io voglia dimenticare...

«Ethan, quello che è successo ieri sera è una delle cose più normali che io abbia mai fatto negli ultimi anni, non voglio fingere che non ci sia mai stato. Vorrei solo capire come dirlo a Noah...» Cavolo... oggi è stato così semplice? Ho davvero capito perché stamattina l'ansia sta facendo la stronza?

I suoi occhi mi stringono forti, come la sua mano nella mia. La osservo come un tesoro inestimabile, come una pietra preziosa in grado di curare il più grande dei mali. Ethan è una cura vivente.

«Ci penseremo insieme, se ti va. Ma non aggrovigliarti la testa, Sky. Non pensare al dopo, pensa a questo momento. E in questo momento ci siamo tu, io e i pancake comprati al supermercato. Non sono neanche sicuro di averli riscaldati bene.»

Scoppio a ridere con le lacrime che minacciano un'ennesima volta di uscire in presenza di Ethan.

«Ed io che ti credevo un cuoco.»

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